America Latina, verso un anno di svolta

America Latina, verso un anno di svolta

Una sintesi della rubrica Brecce

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In una intervista esclusiva per Brasil de Fato, il coordinatore del Movimento Sem Terra, l’economista João Pedro Stedile, ha sostenuto che il 2021 sarà l’anno del vaccino universale, della lotta sociale, e del cambiamento in America Latina. Nuovi rapporti di forza, ha detto, verranno a crearsi con le probabili vittorie elettorali della sinistra alle presidenziali di febbraio in Ecuador, poi a quelle di aprile in Perù e, sempre in aprile, alle regionali e comunali in Cile, quando si eleggeranno anche i rappresentanti per l’Assemblea Costituente.

Una svolta che, secondo Stedile, isolerà il governo di estrema destra di Jair Bolsonaro in Brasile, evidenziando maggiormente i guasti provocati dalla sua gestione, e aumentando le possibilità di vittoria per l’alternativa. “Quando avremo accesso al vaccino – ha detto Stedile – si apriranno nuovi spazi per le lotte di massa”. Secondo un recente studio dell’Istituto di statistica, nel 2021 i brasiliani poverissimi saranno 13,7 milioni. La povertà estrema riguarderà tra il 10 e il 15% della popolazione, il doppio rispetto al 2019.

Situazione analoga a quella esistente nelle altre parti del continente, dove si sono applicate le ricette neoliberiste, nonostante il fallimento dei governi in carica e la crisi conclamata delle “democrazie” che guardano a Washington.

Un esempio su tutti, la Colombia, paese asservito agli Stati Uniti e grimaldello per tutti i piani USA di destabilizzazione nel continente. Un paese in cui gli spazi di agibilità politica per l’opposizione sono bloccati dal 1948, quando venne ammazzato il leader liberale Eliécer Gaitán. Un paese di massacri, diritti violati e accordi disattesi, com’è avvenuto per gli accordi di pace tra governo e guerriglia, seppelliti sia nelle carceri dove vengono isolati e repressi i prigionieri politici, sia nei cimiteri, dove finiscono quasi quotidianamente ex guerriglieri che hanno accettato quegli accordi, e leader sociali.

Un altro esempio di involuzione autoritaria, corruzione e disuguaglianze, è il Perù, paese che, al pari dell’Italia e della Colombia, perpetua una vendetta infinita nei confronti dei prigionieri politici di Sendero Luminoso. L’ultimo giro repressivo ha riguardato l’arresto di oltre 70 esponenti del movimento Movadef, con l’accusa pretestuosa di “terrorismo”, nonostante non gli si possa addebitare nessun fatto concreto, se non quello di essere considerato “il braccio legale di Sendero Luminoso”.

Sono stati arrestati avvocati, famigliari, artisti, per evitare che il tema del bilancio e della memoria storica si incontrasse con le manifestazioni e gli scioperi – ultimo quello dei minatori – che si stanno svolgendo nel paese per chiedere un’Assemblea Nazionale Costituente.

Ricordiamo che il Perù è la sede del nefasto Gruppo di Lima, un’alleanza internazionale reazionaria nata nel 2019, dichiaratamente per contrastare la diffusione del chavismo nel continente americano, svuotando dall’interno la Unasur, l’Unione delle nazioni del sud. Il gruppo di Lima è formato da Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Panamá, Paraguay, Perú e Santa Lucía.

Contro la rivoluzione bolivariana in Venezuela, ha agito e intende continuare ad agire di concerto con il cosiddetto Gruppo di contatto dell’Unione Europea, i cui interessi sono quelli di mantenere in piedi, magari in altre forme, la farsa dell’autoproclamazione di Juan Guaidó come presunto “presidente a interim del Venezuela”. Perché? Perché nelle banche europee e in quelle nordamericane ci sono il denaro e l’oro del popolo venezuelano che in questo modo si potrebbe continuare a rubare impunemente attraverso il burattino di Washington autoproclamato.

Del Gruppo di Lima fanno parte altri paesi nei quali è forte un’organizzazione di classe, come l’Honduras, e come il Paraguay e il Guatemala, dove si va costruendo un blocco sociale alternativo. Paesi dove la lotta di classe deve pagare, però, un prezzo salato giacché poco è cambiato nella struttura repressiva dai tempi delle feroci dittature del secolo scorso al soldo della Cia.

È solo del 2019, infatti, una delle sentenze contro i delitti compiuti in Paraguay nell’ambito del Piano Condor, la struttura creata da Washington con la quale i dittatori del Cono Sur si scambiavano i favori, uccidendo gli oppositori ovunque si trovassero, e facendoli scomparire. Il Paraguay è stato sotto la morsa della più longeva dittatura di tutta la storia latinoamericana, quella di Alfredo Stroessner, che ha insanguinato il paese per 35 anni, dal 1954 al 1989.

 Oggi, il Paraguay è uno dei paesi con il tasso di disuguaglianza più alto dell’America del Sud. Il 24% della popolazione (oltre 335.000 persone) vive in povertà estrema, mentre i super-ricchi guadagnano fino a 22 volte di più dei poveri. Anche il Paraguay ha un sistema bloccato da una parvenza di democrazia che non consente un’alternativa a sinistra. Lo si è visto con il golpe istituzionale compiuto contro Fernando Lugo, il “vescovo dei poveri” che aveva vinto le elezioni nel 2008 all’interno di un’alleanza progressista, ma troppo ibrida per non cedere alle pressioni per rovesciarlo.

Un golpe istituzionale apparentabile a quello che, l’anno dopo, disarcionerà il presidente progressista Manuel Zelaya in Honduras. Zelaya avrebbe voluto indire un referendum per chiedere l’ingresso nell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America, creata da Cuba e Venezuela.

Insieme al Gruppo di Lima, il Paraguay ha partecipato alla fondazione di un’altra alleanza reazionaria, sempre nel 2019, il Prosur, con la quale si è cercato di chiudere definitivamente la strada al Mercosur, di cui il Paraguay è stato fondatore nel 1991, e dal quale si è voluto espellere con forza il Venezuela.

In Paraguay continua a operare la guerriglia comunista dell’Esercito popolare paraguaiano, che ha in carcere molti prigionieri politici, donne e uomini, duramente repressi. In questi giorni, dal sindacato degli avvocati argentini arriva un appello, appoggiato e condiviso dai movimenti popolari in America Latina e anche in Europa.

Denuncia la scomparsa di una ragazzina di 14 anni, figlia di due prigionieri politici, che viveva in Argentina insieme alla zia Laura Villalba, sorella di Carmen Villalba, prigioniera politica da 17 anni. Dall’Argentina, paese confinante con il Paraguay, Laura si era spostata per far visita ai parenti in carcere, accompagnata dalla figlia Maria Carmen e dalla nipote Lilian, entrambe di 11 anni, entrambe argentine, che volevano conoscere i genitori, dirigenti contadini, imprigionati.

Le ragazzine sono state aggredite, torturate e uccise in un finto conflitto con la guerriglia, mai avvenuto. Laura, già duramente colpita per l’assassinio di una figlia e della nipote, è rimasta intrappolata in Paraguay insieme all’altra nipote, di 14 anni, detta Lichita, nata in clandestinità. Entrambe sono state braccate dall’esercito. La strategia del governo, denunciano i movimenti internazionalisti nei loro comunicati, è chiara: in base alle informazioni dell’intelligence militare, con l’appoggio di quella nordamericana, israeliana e colombiana, ha saputo che l’estate scorsa diversi figli di prigionieri che vivono in Argentina hanno passato la frontiera per vedere i genitori, sia quelli che combattono in montagna, sia quelli in carcere.

Un’occasione ghiotta per ricattare i guerriglieri e colpire dove più fa male, ovvero prendendosela con i figli e con i familiari. Quasi in mese fa, un contadino della zona, ha visto un gruppo di militari delle forze speciali, accompagnati da alcuni civili, portarsi via Lichita. Il 23 dicembre è stata catturata anche Laura Villalba, che però è ricomparsa in carcere, accusata di essere un “elemento logistico” fondamentale per la guerriglia, nonostante viva da oltre 10 anni in Argentina.

Quello di Lichita, invece, si configura come un altro caso di sparizione forzata. Già un altro figlio dei prigionieri politici Alcides Oviedo e Carmen Villalba è stato ucciso quando aveva 14 anni. “Come nell’Argentina degli anni ’70 – denunciano gli avvocati – gli Stati, siano essi civili o militari, ricorrono alla tattica di perseguire e uccidere i familiari, come hanno fatto con le due bambine di 11 anni”. I legali si rivolgono quindi alle organizzazioni della sinistra latinoamericana e anche a quelle della chiesa cattolica, affinché si pronuncino e appoggino le denunce presso gli organismi internazionali.

Anche in Guatemala, paese che reca ancora i segni dei 36 anni di guerra civile vissuti nel secolo scorso, la lotta di classe si fa sentire. Migliaia di persone protestano da settimane per chiedere la rinuncia del presidente in carica, Alejandro Giammattei, e degli oltre 115 deputati alleati del governo. E la repressione è forte. Molte organizzazioni popolari, soprattutto indigene, chiedono un’Assemblea Nazionale Costituente.

 Rappresentanti delle comunità indigene di dieci paesi dell'America Latina si sono riuniti per due giorni a Cochabamba, in Bolivia, per lanciare una serie di proposte, tra cui quella di un’Assemblea Nazionale Costituente, che metta al centro i loro diritti. L'iniziativa, intitolata “Incontro dei popoli e organizzazioni Abya Yala verso la costruzione di una America plurinazionale”, è stata convocata dall'ex presidente boliviano Evo Morales, e ha visto la partecipazione di personalità di rilievo delle comunità indigene di Ecuador, Argentina, Messico, Venezuela, Brasile, Perú, Panama, Guatemala, Cile e Bolivia.

Nel suo intervento introduttivo, Morales ha rivolto un appello all'unità delle organizzazioni sociali e ai popoli indigeni latinoamericani di fronte alle sfide importanti che si dovranno affrontare nel subcontinente. Responsabile della attuale crisi – ha detto Morales - è “il sistema capitalista. Un sistema che accaparra e condanna milioni di persone alla fame”. Quindi, l’ex presidente boliviano ha citato uno studio del Credit Suisse, secondo il quale “42 milionari del pianeta posseggono la stessa ricchezza di 3.700 milioni di cittadini”.

Alla chiusura dei lavori, è stato approvato un documento in cui si propone di estendere a tutte le nazioni latinoamericane il sistema istituzionale plurinazionale in vigore in Bolivia, e di ridare spazio alla medicina tradizionale e ai meccanismi ancestrali di produzione riguardanti anche il cibo e il bestiame. I partecipanti hanno poi deciso di rilanciare i meccanismi di integrazione regionale come la Celac, l'Unasur e l'Alba, e di creare un nuovo organismo, Runasur, specifico per stimolare l'aggregazione dei popoli originari latinoamericani.

Con questa situazione dovrà fare i conti la nuova amministrazione statunitense guidata da Joe Biden. Leggendo l’ultimo libro di Barack Obama, si capisce che, al centro, ci sarà principalmente la politica del “dividi et impera” nei confronti di Venezuela e Cuba. Il nostro obiettivo, ha scritto Obama, è lo stesso dei repubblicani, solo che cerchiamo di ottenerlo con un metodo diverso. E così ha spiegato l’avvicinamento a Cuba: in questo modo – ha detto – abbiamo disinnescato un argomento utilizzato dal governo cubano per tutti questi anni: quello di considerarci un nemico.

La strategia del “golpe suave”, usata durante i suoi mandati per rovesciare i governi non subalterni, ha già fatto la sua ricomparsa a Cuba, mediante le manifestazioni degli artisti pro-occidentali. Nei confronti del Venezuela, si userà come grimaldello la strategia del ricatto dell’Unione Europea, altro fattore impiegato per dividere il governo cubano da quello bolivariano. Nei confronti del Nicaragua, colpevole di aver voluto affidarsi ai cinesi nella costruzione del Canale, si continuerà con l’asfissia usando come punta di lancia i paesi vicini, in primo luogo il Costa Rica.

 Rispetto al Centroamerica vi sarà, come sempre, un’attenzione speciale, magari cercando di riattivare una versione dell’Alleanza per la Prosperità lanciata da Obama riguardo a temi come l’immigrazione, la corruzione, il crimine organizzato e le droghe.

L’Italia, all’interno dell’Unione Europea, sta già cercando di fare la sua parte, esportando il suo modello di “lawfare” e di “umanitarismo” militarizzato. 

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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