Armi a Kiev? Il gioco delle tre carte di Washington
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Continua a crescere la fame ucraina di armi occidentali e, insieme a quella, il timore che, per una ragione o l'altra, le forniture saranno sempre più scarse, se non addirittura si arresteranno.
Per dire, qualcuno a Kiev comincia a rendersi conto che l'accordo sulle risorse naturali ucraine tra Kiev e Washington non prevede, in cambio, assolutamente alcuna garanzia di sicurezza da parte USA: in un video-blog di Ukrainskaja Pravda, il deputato alla Rada Jaroslav Železnjak ha detto che ci sono già chiari esempi del fatto che la presenza di aziende statunitensi sul territorio ucraino non sia riuscita a fermare i carri armati russi.
Dove sono «le garanzie di sicurezza?» ha detto Železnjak; lo scorso 23 febbraio, Zelenskij «aveva dichiarato che tra gli impegni legati agli accordi sulle risorse naturali avrebbero dovuto necessariamente esserci garanzie di sicurezza. Ebbene, in questo accordo, che costituisce la prima parte, non si fa assolutamente parola di garanzie di sicurezza. Cioè, la clausola delle garanzie è stata eliminata anche come espressa nella formulazione della variante provvisoria, presente nella prima versione che doveva essere firmata prima dello scandaloso incontro del 28 febbraio nello Studio Ovale. Evidentemente, non se ne parlerà nemmeno con una menzione formale».
Per quanto riguarda le dichiarazioni di Trump e di altri funzionari americani che in qualche modo credono che gli investitori americani, o la loro presenza sul territorio ucraino, possano fermare l'esercito russo, ha dichiarato Železnjak, forse dovrebbero chiedere, ad esempio, «alla Philip Morris, o alla Anheuser-Busch, che avevano fabbriche a Kharkov, bombardata dai russi, o alla Coca-Cola, che ha uno stabilimento a Brovari. Anche in questo caso non è servito a fermare i carri armati russi, che non vi hanno prestato molta attenzione. Quindi penso che sia giusto dire che non ci siano garanzie di sicurezza in questo accordo, e questo è un dato di fatto», ha detto Železnjak.
In realtà, ha detto ancora il deputato ucraino, per quanto Trump possa volere che ci siano delle garanzie, «in questo caso specifico dovrebbe comunque esserci una decisione del Congresso; ma non mi risulta che sia stato presentato un disegno di legge in tal senso, soprattutto da parte dei repubblicani. Le mie aspettative, soprattutto dopo il viaggio a Washington, in questo momento sono piuttosto basse in termini di sostegno americano. Trump ha sbloccato l'acquisto di armi per 50 milioni; è molto poco, ma vorrei che questo costituisse un precedente... non mi piacciono molto le dichiarazioni del Presidente Donald Trump, che ha già detto che, grazie all'accordo e a tutto il resto, rientreranno 350 miliardi».
In ogni caso, come scriveva già un mese fa la cinese Xinhua, a prescindere dal destino dell'accordo ucraino-americano sul sottosuolo, gli USA hanno già guadagnato bene dal conflitto ucraino. E ci sono pochi dubbi che continueranno a farlo.
Ora, anche l'ex ministro degli esteri della presidenza Porošenko, Pavel Klimkin si dichiara a dir poco scettico: «Per quanto ci lamentiamo e diciamo che sarebbe bello, ovviamente, che gli americani continuassero a fornirci tutto gratuitamente, non è così che il fan club di Trump percepisce la realtà. Il fan club di Trump dice: “No, non ci interessa l'estero. Gli ucraini possono anche esserci simpatici, hanno fermato la Russia, hanno fermato Putin, ma gli aiuti? No”». E infatti, nota Klimkin, il 90% dei «repubblicani che appoggiano Trump non sostengono alcun alcun aiuto all'estero. Che si tratti dell'Ucraina o di chiunque altro».
Dunque, la fame di armi di Kiev cresce col passare del tempo e non è dato sapere quali tempi possano attendersi per la junta nazigolpista, nonostante la prosopopea europeista sul riarmo e le assicurazioni di perenne sostegno a Kiev «fino alla vittoria». Tutto ciò, a fronte del fatto che, per esempio, il parco obici britannico è praticamente sguarnito, dopo che tutti i pezzi da 155 sono stati forniti a Kiev. È quanto scrive Army Technology, secondo cui Londra ha probabilmente consegnato all'Ucraina tutti i propri obici semoventi “AS90” da 155 mm, svuotando completamente i depositi dell'esercito. Sembra che già nel 2023 Kiev avesse ricevuto 32 delle circa 80 unità di “AS90” presenti negli arsenali britannici e a oggi, scrive Army Technology, non è chiara la sorte delle rimanenti cinquanta unità; così che il potenziale di artiglierie britannico di calibro 155 mm è rappresentato soltanto da un piccolo parco di 14 sistemi “Archer”.
Ma c'è comunque chi non dispera e, anzi fa sfoggio di alterigia bellicista, con la prospettiva di impartire a breve scadenza l'ordine del “posto di manovra generale – assumere assetto Zulu” delle marine da guerra.
È così che, dall'antro cumano temporaneamente decentrato a Bruxelles, l'ex primo ministro lituano e attuale commissario europeo alla difesa, l'oracolo Andrius Kubilius, ha vaticinato che se Donald Trump non riuscirà a convincere Vladimir Putin a concludere la pace con Kiev, allora ci penserà la UE a mettere le cose a posto. Come farà, è un altro discorso. Anzi: è il solito ritrito discorso euroliberale secondo cui per fare la pace è necessaria la guerra. Dunque, l'Europa potrebbe presentare in quattro e quattr'otto argomenti più convincenti di quelli yankee, a «favore della pace», aumentando significativamente il sostegno militare all'Ucraina. Fino a oggi, ha ricordato Kubilius dal suo nuovo antro d'Averno nordeuropeo, UE e USA «hanno fornito all'Ucraina circa 40 miliardi di euro all'anno in aiuti militari. Ma potremmo spendere la stessa cifra per acquistare armi moderne in Ucraina, che costerebbero circa la metà» di quelle prodotte nei paesi UE o in USA.
Conti alla mano, ciò equivarrebbe a raddoppiare di fatto il volume di «armi che Kiev riceverebbe per gli stessi 40 miliardi di euro. Il valore reale» del sostegno euroatlantico salirebbe a 80 miliardi di euro. Non fa una piega. Inoltre, i «nuovi prestiti SAFE sostenuti dalla UE offrono agli stati membri proprio questa opportunità, quella cioè di utilizzare i prestiti per aumentare il sostegno militare all'Ucraina». E, al colmo del delirio divinatorio, Kubilius ha rivelato che proprio così «la formula della “Pace attraverso la forza” può davvero funzionare nella pratica».
In teoria, notano gli osservatori di PolitNavigator, l'Europa potrebbe veramente concretizzare la minaccia; il problema è quanto tempo le occorrerà per superare gli infiniti accordi burocratici e raggiungere il consenso tra gli stati membri. Soprattutto, non è ben chiaro dove prendere quei soldi, a meno di non aumentare all'infinito i limiti del debito. D'altra parte, è proprio per questo motivo che Bruxelles insiste sulla formula del congelamento delle ostilità, invece che su un cessate il fuoco definitivo, con concessioni territoriali e tutto il resto fissato sulla carta. Il congelamento darebbe all'Europa il tempo di cui ha bisogno per prepararsi.
Prepararsi e armarsi di tutto punto per respingere l'aggressione della Russia che, "tra cinque anni, o forse anche prima”, attaccherà senz'altro un “paese UE, o forse anche più di uno”, parola dell'oracolo liberal-europeista.
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