Brancaccio-Realfonzo al FT: Draghi Keynesiano? No un "tecnocrate della distruzione creatrice"
Dopo il via libera del Movimento 5 stelle dato con il voto degli iscritti sulla piattaforma Rousseau, con un Sì risicato, l'investitura di Mario Draghi a Presidente del Cosniglio è ormai cosa fatta.
Emiliano Brancaccio, economista e docente dell'Università del Sannio insieme al suo collega Riccardo Realfonzo criticano, in un articolo sul Financial Times, la narrativa dominante, come già ribadito più volte, in merito al fatto che Mario Draghi sia stato chiamato per gestire le "enorme" quantità di denaro dal Recovery Plan europeo.
Inoltre, i docenti, spiegano che i governi tecnici hanno lo scopo di “indebolire le forze parlamentari per aumentare l'autonomia del governo nella gestione delle poche risorse disponibili nel mezzo di gravi crisi economiche”.
A tal proposito, ricordano le esperienze le crisi del 1992 con Amato-Ciampi e del 2011 con Monti.
Questa di Draghi non sarà differente, citando l'esempio dei 209 miliardi di euro previsti per l'Italia nel prossimi sei anni, sostengono “127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all'anno”. Sugli 82 miliardi a fondo perduto precisano che “l'importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo. Considerato che un accordo su rilevanti imposte pan-europee appare improbabile, i paesi membri dovranno contribuire come di consueto in relazione al PIL nazionale, il che implica che l'Italia dovrebbe pagare non meno di 40 miliardi. La sovvenzione europea netta è quindi di soli 42 miliardi, o 7 miliardi all'anno. Infine, se si considera che nella prossima sessione l'Italia contribuirà alla parte restante del bilancio UE per circa 20 miliardi, il trasferimento netto totale scende a meno di 4 miliardi all'anno.”
Alla fine, “l'Italia riceverà molto meno di 10 miliardi all'anno dall'Europa per i prossimi sei anni: una somma modesta se paragonata a una crisi che ha distrutto oltre 160 miliardi di PIL solo lo scorso anno, molto più delle passate recessioni.”
Brancaccio e Realfonzo nelle loro conclusioni sottolineano come “nel suo recente rapporto per il G30 Draghi abbia esortato i governi a sostenere la ‘distruzione creatrice’ del libero mercato: non certo Keynes, ma una versione ‘laissez-faire’ di Schumpeter”.