Chi comanda i cieli? Iran e Israele tra propaganda e realtà bellica

Le bugie dei cieli: quando la propaganda sostituisce l’analisi militare

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Chi comanda i cieli? Iran e Israele tra propaganda e realtà bellica

La superiorità aerea, così come il più ampio concetto di "controllo dei cieli", è uno degli elementi chiave in ogni moderno conflitto. Questo concetto indica la capacità di una forza militare di operare liberamente nello spazio aereo nemico, riducendo al minimo l'interferenza da parte delle controparti avversarie. Il grado di controllo aereo varia su una scala che va dalla completa supremazia aerea alla parità o addirittura alla negazione dell’uso dello spazio aereo (air denial), dove nessuna parte riesce a imporre la propria egemonia. 

Il vantaggio aereo permette operazioni strategiche come bombardamenti mirati, supporto tattico alle truppe terrestri, lancio di paracadutisti, rifornimenti aerei e movimenti logistici rapidi. Tuttavia, nonostante la sua importanza, il controllo dei cieli non garantisce mai un risultato definitivo né esente da rischi. La storia recente mostra che anche le potenze con i sistemi d’arma più avanzati possono subire perdite significative per mano di forze meno sofisticate ma dotate di tattiche creative, conoscenza del territorio e determinazione alla resistenza.
 
Iran-Israele: una guerra asimmetrica sotto i cieli mediorientali  

Negli ultimi giorni, il Medio Oriente è stato scosso da una serie di attacchi reciproci tra Iran e Israele, culminati in una escalation senza precedenti. L’entità israeliana ha attaccato in maniera proditoria lanciando una campagna denominata “Rising Lion”, colpendo obiettivi sensibili iraniani, inclusi impianti nucleari a Natanz e Fordow, uccidendo comandanti militari di alto livello e figure scientifiche legate al programma nucleare iraniano. In risposta, l'Iran ha sferrato l’operazione “True Promise 3” e altre ondate successive di attacchi missilistici, utilizzando armamenti avanzati come i Fattah, progettati per bypassare i sofisticati sistemi di difesa israeliani. 

In questo contesto, entrambe le parti hanno rivendicato il pieno controllo dei cieli. Il presidente statunitense Donald Trump ha tronfiamente annunciato: “Abbiamo il controllo totale e completo dei cieli sopra l'Iran”, una dichiarazione roboante che sembra suggerire un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nelle operazioni israeliane. Dall’altro lato, un portavoce iraniano ha ribattuto sostenendo che Teheran ha il “completo controllo dei cieli israeliani”, grazie ai suoi attacchi missilistici riusciti e ben assestati. 

Tuttavia, guardando oltre i toni propagandistici, emerge una realtà molto più complessa e frammentata. 

I limiti della narrativa mainstream  

Le dichiarazioni di "controllo completo" da parte di entrambi gli schieramenti sono emblematiche di un atteggiamento retorico tipico dei conflitti contemporanei. Questo tipo di linguaggio serve soprattutto a inviare segnali interni ed esterni di forza e determinazione, ma spesso non corrisponde alla realtà operativa. 

Ad esempio, nonostante Israele possieda una delle aviazioni più avanzate del mondo – con caccia F-35 e sofisticati sistemi di difesa come Iron Dome e Arrow – è stato costretto ad ammettere la perdita di almeno un drone Hermes 900 e persino di un caccia stealth F-35 nel cielo di Varamin, vicino a Teheran.  

Dall’altra parte, l’Iran, pur non godendo di una reale superiorità aerea tradizionale, ha dimostrato di poter infliggere danni simbolici e materiali attraverso attacchi missilistici mirati. Le sirene antiaeree udite nella capitale Tel Aviv e in città israeliane come Beer Sheva e Dimona, quest’ultima sede di un sito nucleare, indicano che il sistema di difesa israeliano, sebbene all’avanguardia e presentato come insuperabile, non è perfetto. 

Chi controlla realmente i cieli?  

Nel conflitto tra Iran e Israele, il controllo dei cieli non si misura solo in termini di tecnologia o superiorità numerica, ma anche attraverso la capacità di sostenere nel tempo le operazioni militari senza esaurire risorse critiche. In questo senso, il fattore tempo sembra giocare a favore della Repubblica Islamica. I sistemi d’arma israeliani, come i missili delle difese aeree Iron Dome, Arrow e David’s Sling, sono estremamente sofisticati ma anche molto costosi: un singolo missile Arrow 3 può arrivare a costare decine di milioni di dollari. Ogni ondata di attacco iraniano, soprattutto se composta da decine di missili balistici e cruise, mette a dura prova la capacità di Israele di mantenere un tasso di intercettazione elevato senza incorrere in un rapido esaurimento delle scorte. 

Inoltre, lo Stato ebraico dipende fortemente dalle forniture estere – principalmente dagli Stati Uniti – per rimpiazzare gli armamenti utilizzati. Questo crea una vulnerabilità logistica che potrebbe emergere in modo crescente con il protrarsi del conflitto. Al contrario, l’Iran, pur non possedendo una rete industriale avanzata come quella israeliana, ha sviluppato una propria capacità produttiva interna di missili e droni, riducendone i costi unitari e aumentando la sostenibilità strategica delle sue azioni offensive. 

Sebbene Israele mantenga una sorta di superiorità aerea locale grazie al supporto USA e alla sua avanzata tecnologia, questa non si traduce automaticamente in un controllo definitivo dello spazio aereo iraniano. Gli attacchi israeliani, condotti con precisione su obiettivi sensibili, dimostrano una certa libertà operativa, ma non eliminano la capacità iraniana di colpire in risposta obiettivi strategici. L’abbattimento di un drone Hermes 900 e lo schianto di un F-35 vicino a Varamin testimoniano che neanche l’aviazione israeliana è invulnerabile. 

Dall’altro lato, l’Iran non ha mai rivendicato una vera e propria supremazia aerea nel senso classico del termine, ma ha mostrato di poter sfidare il sistema difensivo israeliano con tecnologie innovative come i missili Fattah, capaci di bypassare gli scudi anti-missile nemici. Le sirene antiaeree udite nelle città israeliane, inclusa Dimona – dove si trova probabilmente il centro nucleare segreto – indicano chiaramente che Tel Aviv non è in grado di garantire una protezione completa del proprio spazio aereo. 

Il ruolo degli Stati Uniti rimane cruciale, nonostante Washington continui a ribadire che l’operazione israeliana è stata “unilaterale”. La chiusura dell’ambasciata a Gerusalemme, il ritorno anticipato del presidente Trump dal G7 e alcune dichiarazioni ambigue sul controllo dei cieli iraniani lasciano intendere un coinvolgimento statunitense ben oltre il livello ufficialmente dichiarato. 

Quindi, se da un lato Israele può rivendicare una superiorità tecnologica e operativa relativa, dall’altro l’Iran riesce a minare questa pretesa attraverso una strategia basata su persistenza, economia del conflitto e uso intelligente di armamenti meno sofisticati ma molto efficaci. Il controllo totale del cielo resta una chimera, e il conflitto si gioca su un equilibrio precario tra potenza offensiva e resistenza difensiva. 

Una guerra aperta  

Come abbiamo visto, il controllo totale del cielo è un mito: l’Iran ha mostrato di poter infliggere danni simbolici e pratici, mantenendo una buona capacità di deterrenza. La guerra aerea tra i due paesi è destinata a proseguire in un equilibrio precario, alimentato da una continua corsa agli armamenti, attacchi preventivi e minacce reciproche. 

In un contesto globale sempre più polarizzato, la narrazione della vittoria facile e della supremazia assoluta si rivela illusoria. La guerra dei cieli tra Iran e Israele è una battaglia fatta di tecnologia, propaganda e capacità di resistenza. Il fattore principale sembra proprio quello legato al tempo. E questo, gioca a favore di Teheran. 

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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