Come reagiranno i salariati alla normalità della guerra?
di Federico Giusti
Nei giorni scorsi il Consiglio dell’Unione Europea ha dato il via, anche formalmente, al programma di investimenti militari denominato Security Action for Europe (SAFE) che permetterà agli stati di accedere a un fondo di 150 miliardi di euro per piani di spesa, investimenti nella difesa e nella sicurezza, acquisto di armi e munizioni. Non aggiungiamo altro a quanto già scritto ma incredibilmente questa notizia è passata sotto silenzio, i processi in atto sembrano quasi invisibili quando invece si materializzano, giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi.
Il riarmo prosegue a ritmi serrati e in questa fase iniziale (per intenderci a partire dal marzo scorso quando la Ue ha deciso la svolta militarista con la pubblicazione del Libro Bianco) sono stati messi a punto i primi progetti comunitari per offrire impulso alla ricerca e produzione di sistemi di arma.
Quando si parla di genocidio del popolo palestinese prevalgono sovente ragioni etiche e morali del tutto apprezzabili ma insufficienti a comprendere la ragione di questa immane strage che va avanti da mesi. E tra le ragioni ve ne sono alcune specificamente economiche meritevoli della massima attenzione, in Israele da decenni la ricerca in campo tecnologico è di natura duale senza distinguere tra civile e militare, in quel paese il colonialismo da insediamento ha affermato, con la sopraffazione, l’idea che un popolo possa essere sradicato e cacciato dalle proprie terre accusandolo di connivenza con il terrorismo.
Il caso Israeliano è un autentico laboratorio ad esempio per una società militarizzata con migliaia di riservisti chiamati ogni anno ad addestrarsi o una costante opera di revisionismo storico che ormai confonde deliberatamente sionismo con semitismo anche per giustificare le azioni intraprese dai Governi di Israele.
E presto ci diranno che alcune aziende nazionali sono fuori mercato, per scongiurare la chiusura e i licenziamenti delle maestranze dovranno riconvertirle alla produzione bellica come sta già avvenendo in Germania. In questo modo la produzione militare sarà presentata come panacea di ogni male e non ci saranno obiezioni di sorta nel sottoporre le maestranze a controlli asfissianti fino ad impedirne gli scioperi.
Sotto i nostri occhi sta crescendo la assuefazione alla idea della guerra, ce la presenteranno come necessaria per difendere l’occupazione, per far riprendere la crescita economica, per difenderci da ipotetici nemici ovviamente creati ad arte per giustificare il Riarmo. E ogni giorno diffondono ad arte notizie che presentano minacce sensibili attorno a noi dalle quali urge difenderci.
I paesi Nato con spesa militare inferiore al 2% del Pil intanto hanno già dichiarato di arrivare alla fatidica cifra nell’anno corrente trovando debita copertura di spesa a discapito dello Stato sociale e contando sul fatto che le spese militari saranno in deroga ai tetti di spesa comunitari e al rapporto tra Pil e debito.
Sempre in questa prima fase, la Ue ha chiesto ai paesi membri di adottare politiche sinergiche in campo militare e sono nati appositi progetti e associazioni temporanee di impresa per favorire la produzione di sistemi d’arma tecnologicamente elevati al fine di competere nei mercati mondiali. Alcuni autorevoli esponenti degli Esecutivi hanno crescenti difficoltà a distinguere il loro ruolo di Governo da quello di promotori e piazzisti di armi , avviene in Italia ma anche in altri paesi comunitari che a seguito di missioni diplomatiche all’estero la presenza di aziende di armi sia sempre più rilevante; negli Usa il passaggio dei managers di aziende di armi agli scranni del Congresso, o viceversa, è una realtà da tempo consolidata.
Ma mentre la Ue spera di guadagnare fette di mercato nella produzione di armi, piegando la ricerca universitaria a fini di guerra, passeranno molti anni nei quali la dipendenza dagli Usa consentirà alle multinazionali di questo paese affari e introiti incredibili. E la subalternità di paesi europei agli Usa e alla Nato dovrebbe anche far riflettere sul ruolo della Alleanza Atlantica e sugli effetti della stessa sugli interessi nazionali.
Questa lunga premessa si rende necessaria perché la stragrande maggioranza della forza lavoro è non solo silente spettatrice dei piani di riarmo ma si illude che questi processi non abbiano ripercussioni sulle loro stesse condizioni di vita e di lavoro. E i sindacati nel loro complesso non sembrano avere ancora preso piena coscienza dei piani di riarmo e delle conseguenze che questi piani avranno anche sulla normale contrattazione.
Senza adottare un manuale di storia per ricordare ai salariati che militarismo, riarmo, svolta autoritaria e guerra sono opzioni delle classi dominanti destinate a dividere anche la forza lavoro lasciandola in preda dei nazionalismi, urgerebbe (il condizionale è d’obbligo) prendere atto del contesto in cui ci troveremo nei prossimi mesi. Perché quando sarà palese il crollo del potere di acquisto favorendo forti rivendicazioni salariali finalizzate a recuperare il potere di acquisto perduto le risposte dello Stato e delle associazioni datoriali poterebbero essere negative, repressive, di rifiuto a priori, di chiusura del dialogo tra le parti sociali. In quel frangente toccheremo con mano la realtà del riarmo con le spese militari giudicate indispensabili, al contrario di quelle sociali, e di conseguenza saranno negate le risorse atte a restituire dignità e potere di acquisto ai salari e alle pensioni.
Allo stesso tempo pensiamo che sia in corso una svolta autoritaria e securitaria e il Pacchetto sicurezza dovrebbe rappresentare un argomento di discussione nei luoghi di lavoro perché le sue norme mirano alla criminalizzazione del conflitto nei luoghi di lavoro e in tutta la società seppellendo con lunghe pene detentive i conflittuali.
Non serve evocare immagini retoriche o ricorrere al classico linguaggio militante che poi, a nostro modesto avviso, allontana dalla comprensione della realtà la stragrande maggioranza dei salariati, questo pacchetto di norme restringe gli spazi di libertà e di democrazia collettiva, ciascuno di noi potrebbe finire sul banco degli imputati per avere bloccato i cancelli di una azienda che licenzia o un cantiere dove costruiscono una grande opera nociva per l’ambiente e la nostra salute o una base militare (per giustificare la quale magari aggiusteranno qualche strada). Ma il carcere potrebbe arrivare anche solo per avere solidarizzato con l’occupazione di un immobile sfitto da decenni per restituirlo a un uso sociale e collettivo.
SAFE è stato approvato dai governi degli stati membri senza passare dal Parlamento Europeo in virtù di una procedura speciale attivata dalla Commissione. Per capire meglio ricordiamo solo che la procedura speciale non è stata adottata quando in ballo c’erano fondi destinati ad uso sociale giusto per capire i due pesi e le due misure adottate a favore della guerra e della militarizzazione dei territori.
Attorno a questi temi varrebbe la pena rompere la cortina di silenzio per aprire un dibattito nel mondo del lavoro senza costruire scioperi a freddo, e per questo con scarso seguito, ma prevedendo anche l’astensione dal lavoro dentro un percorso di mobilitazione a partire almeno da scuola e ricerca per rilanciare l’autonomia del sapere dalla cultura e pratica di guerra.
Sarà molto difficile spiegare, tra qualche mese, alla forza lavoro le conseguenze del militarismo imperante quando i piani di riarmo saranno già adottati, basti solo ricordare le difficoltà in cui i paesi si dibattono ancora dopo la guerra in Ucraina, i costi dei prodotti energetici, la stagnazione delle economie nazionali e comunitarie. Molti si chiedono a cosa serva la mobilitazione quando i Governi hanno già deciso di intraprendere alcune strade, noi crediamo, anche con la memoria della storia passata, che l’opposizione dei lavoratori e delle lavoratrici ai piani di Riarmo sia determinante per costruire un terreno ostile e di aperta opposizione alla guerra che porta solo sventure alle classi meno abbienti.
I 150 miliardi di euro del piano saranno prestiti a lungo termini da restituire con gli interessi, chi pensa che la guerra non abbia dei costi si sbaglia, ci hanno raccontato che l’indebitamento dei paesi era sbagliato e nocivo per l’economia come non era accettabile chiedere un allentamento dei vincoli in materia di spesa per sanità e istruzione, ora dicono l’esatto contrario e l’indebitamento viene promosso a fini di guerra.
E a quanti, ad esempio, dicono che si regalerebbero troppi soldi ai migranti ricordiamo che beneficiari di questi prestiti saranno anche i paesi denominati “EEA-EFTA” ossia Norvegia, Islanda, Liechtenstein che certo non hanno bisogno dell’aiuto generoso di paesi come Irlanda, Italia, Grecia e Portogallo alle prese con una crisi economica e sociale ormai evidente.
Non sarà facile costruire nei prossimi mesi una contronarrazione sul tema della guerra e del riarmo ma la sottrazione di risorse al sociale, alla sanità alla istruzione o alla bonifica dei territori, la erosione del potere di acquisto di salari e pensioni saranno acuite dal Riarmo. E allora, prima di diventare noi stessi dei replicanti che ripetono, come in un mondo dispotico, messaggi di plauso ai processi di militarizzazione e di mera subalternità ai domunanti, sarà il caso di aprire una discussione nei luoghi di lavoro e nelle realtà sindacali, farlo con argomenti ragionati e non attraverso schemi ideologici precostituiti, nell’interesse dei salariati e per non diventare noi stessie carne da macello delle future guerre e dei progetti securitari che mirano direttamente alla criminalizzazione di ogni forma di opposizione, sindacale, culturale sociale e politica.