Gli USA e l'avventurismo guerrafondaio degli alleati-vassalli

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L’attacco israeliano al sito nucleare iraniano di Natanz ha suscitato preoccupazioni in America, dal momento che rischia di far deragliare il dialogo con Teheran intavolato a Vienna dall’amministrazione Biden.

Ne scrive sul National Interest Alexander Langlois, il quale annota che l’azione israeliana “dovrebbe essere letta per quel che è: un tentativo palese e inaccettabile di sovvertire i legittimi negoziati diplomatici e mantenere Washington profondamente coinvolta nella Sicurezza del Medio Oriente”.

“Tale attacco – prosegue – rappresenta una classica tattica di spoiler [un’azione volta a rovinare un qualcosa ndr] in quanto è stato ideato per provocare una risposta negativa da parte di Teheran”.

Risposta che avrebbe potuto far saltare il tavolo dei negoziati, appunto, ma al momento Teheran ha scelto un’altra opzione, annunciando che intensificherà l’arricchimento dell’uranio al 60% (Langlois ricorda che comunque siamo ancora sotto la soglia critica necessaria a produrre una bomba atomica, che è del 90%).

Le azioni di sabotaggio portate in questi anni da Israele, annota Langlois, “violano il diritto internazionale e accrescono il potere delle fazioni iraniane più estremiste altrettanto restie a stringere un qualsiasi accordo con gli Stati Uniti”.

Langlois ricorda che a giugno si terranno le elezioni a Teheran, e se entro tale data le trattative di Vienna andassero in porto, favorendo così l’affermazione dei moderati, si potrebbe procedere a un dialogo più ampio sulla distensione regionale.

L’appoggio incondizionato Usa ai suoi alleati provoca disastri

Non solo Israele, anche altri Stati mediorientali alleati degli Usa in questi anni hanno condotto azioni che hanno destabilizzato la regione, basti pensare alla guerra in Yemen o alla crisi tra Arabia Saudita e Qatar, per evitare di citare il rapimento del Primo ministro libanese Saad Hariri ad opera di Riad.

“In ognuno di questi casi – scrive Langlois – l’avventurismo regionale è fiorito perché la presenza militare statunitense, il sostegno militare diretto e la vendita di armi […] garantiscono la sicurezza degli Stati MENA [Medio Oriente e Nord Africa ndr.] a scapito degli interessi degli Stati Uniti o di una pace più ampia. Gli stati MENA commettono atti di violenza perché Washington li abilita attraverso le sue azioni e li protegge con le sue risorse militari”.

Nella sua nota, Langlois non è affatto irenico, anzi è molto critico anche verso l’Iran, tanto che scrive che “non giustifica le azioni maligne iraniane […]. Piuttosto, è utile per comprendere che l’attività maligna è comune a tutti gli stati del Medio Oriente […]. Inoltre, che tale attività è sostenuta e perpetuata dell’idea che gli Stati Uniti difenderanno i propri partner in ogni caso se si tratta di contrastare l’Iran o il terrorismo, indipendentemente dal grado di avventurismo ingiustificato o dalla violazione del diritto internazionale da parte” dei suoi alleati.

“In definitiva – prosegue -, l’opzione migliore per Washington per mitigare le ostilità in tutta la regione è smettere di atteggiarsi a protettore di alcuni Stati, dismettere il suo ruolo di forza di polizia regionale unilaterale e usare la diplomazia per convincere gli Stati [della regione] al dialogo e a istituire meccanismi regionali” che favoriscano la distensione.

Tutto ciò, secondo Langlois, può aver inizio dal successo dell’accordo sul nucleare iraniano. E conclude: “Tali sforzi avranno migliori chanches se gli Usa rigettassero pubblicamente” le iniziative volte a sabotare il dialogo e altre azioni portare “per dare inizio a un conflitto aperto a spese degli interessi degli Stati Uniti e delle persone innocenti. Sfortunatamente, al momento, sembra improbabile che Washington condanni pubblicamente le azioni dei suoi partner MENA mentre sta tentando di cambiare il suo approccio alla regione”.

Gli Usa a Israele: non danneggiate il dialogo con l’Iran

La considerazione finale di Langlois è vera, nondimeno il Timesofisrael dà notizia che dagli Stati Uniti sono pervenuti a Israele pressanti inviti a evitare di rivendicare apertamente le azioni di sabotaggio contro l’Iran, perché ciò è “pericoloso e dannoso oltre che imbarazzante per l’amministrazione Biden che sta tentando di negoziare un ritorno all’accordo sul nucleare con Teheran”.

Un invito che corre in parallelo con l’iniziativa del vicepremier israeliano Benny Gantz, che ha addirittura avviato un’inchiesta sulla fuga di notizie. È ovvio che dall’America sono arrivati anche inviti a evitare tali azioni, com’è ovvio che non siano stati ripresi dai media israeliani né che saranno ascoltati. È ancora troppo presto per sotterrare l’ascia di guerra, sempre che ciò possa accadere in un futuro prossimo venturo.

Di interesse un’altra nota di un giornale israeliano, Haaretz stavolta, che riferisce il contenuto del rapporto annuale della comunità dell’intelligence americana. Alla voce Iran, il documento annota le solite amenità nei riguardi di Teheran, dipinta, come di consueto, come una fabbrica di malignità e considerata avversario degli Usa anche per gli anni a venire.

E però, nonostante tale visione negativa di Teheran, influenzata di certo dagli ambiti anti-iraniani che abitano tale “comunità”, il rapporto riferisce “che la valutazione americana secondo cui l’Iran non si occupa più degli aspetti militari del programma nucleare, vale a dire la produzione di armi nucleari, rimane invariata”.

“Gli iraniani hanno abbandonato alcuni degli obblighi discendenti dall’accordo nucleare del 2015 a seguito del ritiro degli Stati Uniti nel 2018, ma le loro mosse sono reversibili e sono desiderosi di ripristinare l’intesa in cambio della rimozione delle sanzioni”. Insomma, gli allarmi sull’atomica iraniana, sono infondati.

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