Iran, Total e tutte le debolezze geopolitiche dell'Unione Europea

Iran, Total e tutte le debolezze geopolitiche dell'Unione Europea

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Al summit sui Balcani della settimana scorsa i leader europei hanno rimarcato la volontà di mantenere l’accordo sul nucleare iraniano e l’intenzione di non farsi intimidire dagli Stati Uniti, ma la Casa Bianca ha dimostrato rapidamente quali sono i reali rapporti di forza transatlantici e seppellito le speranze europee. Washington vuole un embargo totale sull’Iran e se un’azienda, qualsiasi azienda del mondo, continuerà a fare affari con la repubblica islamica sarà passibile di sanzioni, comprese quelle più temute: le sanzioni secondarie, che colpiscono negli Stati Uniti le aziende che violano le sanzioni all’Iran. Le aziende europee adesso hanno tre mesi di tempo per chiudere i rapporti commerciali con Teheran. L’Unione europea vorrebbe reagire unita e forte contro l’uscita degli Stati Uniti dall’accorso sul nucleare iraniano (JCPOA) e salvare i suoi affari nella repubblica islamica, ma la verità è che Bruxelles non può tutelare e proteggere gli interessi delle sue aziende perché in realtà sono gli USA a fornire (e quindi poter togliere) quella protezione. Questo è il prezzo che paghiamo, questo è il prezzo della supremazia del dollaro.

 
Anni fa la Commissione europea e i leader dei Paesi membri hanno concesso agli Stati Uniti il diritto di il veto assoluto sulla loro economia e la loro diplomazia. L’arma per applicare questo diritto è la legge dell’extraterritorialità. Anche se l’Ue vuole far credere diversamente, con le buone o con le cattive le multinazionali europee devono seguire per forza le regole statunitensi. Non importa la nazionalità e luogo delle operazione, qualsiasi azienda usi il dollaro USA nelle sue transazioni, operi negli Stati Uniti o faccia ricorso a banche statunitensi, può subire azioni legali e sanzioni a seguito dell’infrazione delle leggi americane; anche se queste avvengono fuori dagli Stati Uniti come nel caso delle operazioni in Iran proibite dalle sanzioni americane. Detto più semplicemente: vuoi fare affari con Teheran nonostante le sanzioni di Washington? Fai pure, ma negli Stati Uniti non potrai fare più niente, né potrai più usare il dollaro e il circuito bancario americano nelle transazioni globali.

 
Da una punizione così severa e di così ampia portata è difficile sottrarsi, chi può stare nella globalizzazione senza usare il dollaro? Praticamente nessuno, sicuramente nessuno di importante. Con questa logica, gli unici a non essere colpiti dalle sanzioni americane potrebbero essere gli importatori di tappeti persiani. I contratti che regolano il commercio di Petrolio, gas e altre materie sono formulati in valuta statunitense, così come tutti i contratti relativi ai grandi servizi e alla realizzazione delle grandi opere (strade, ferrovie, aeroporti) e di tutte le cose importanti di cui l’Iran ha bisogno per svilupparsi  Questo è il potere del dollaro, questa è l’arma principale della supremazia americana, quell’impero chiamato genericamente “globalizzazione” da chi vuole farne parte parte senza riconoscere il potere imperiale dell’egemone. Al momento della creazione dell’euro c’è stato chi ha parlato di una valuta in grado di fare da concorrente all’egemonia del dollaro, ma non si è andati in quella direzione. L’euro funge da riserva per le banche centrali – rappresenta circa il 30% delle riserve monetarie internazionali – ma fuori dall’eurozona non è molto usata negli scambi commerciali. Negli ultimi anni proprio l’Iran ha proposto di stipulare contratti petroliferi in euro, ma l’Ue non si è mai occupata della questione preferendo mantenere la fedeltà al dollaro.

 
La Cina sta iniziando a concludere contratti petroliferi in yuan, e insieme all’India ha annunciato di voler continuare a comprare petrolio iraniano, ma nonostante il peso economico dei due giganti asiatici la strada da fare è ancora lunga. L’obiettivo di Pechino e degli altri BRICS è costruire un sistema monetario multilaterale alternativo a quello del dollaro, ma ci vorrà molto tempo prima che si consolidi creando una vera alternativa, e l’Iran non ha tutto questo tempo. La situazione era già difficile prima a causa della sfiducia sul destino del JCPOA, presto diventerà impossibile.  

 
Oltre alla ragnatela del dollaro, Washington ha anche un altro strumento micidiale per fare pressione sui gruppi industriali europei: l’accusa di esportare componenti ritenuti strategici dagli Stati Uniti. C’è tutta una lista di componenti che non possono essere esportati in paesi ritenuti ostili, una lista che può essere allungata a piacimento. Non parliamo solo di componenti militari o paramilitari, l’alta tecnologia di ogni settore industriale ha fatto sì che praticamente qualsiasi multinazionale che operi in settori che vanno dall’edilizia al biomedicale, dal settore energetico a quello aereonautico o dalle telecomunicazioni al settore automobilistico fa ricorso a brevetti, componenti, software e hardware avanzati che sono o possono essere classificati come strategici, e quindi sottoposti a blocco delle esportazioni. A quel punto, le aziende dovrebbero fare una scelta obbligata: stare nel mercato statunitense (e globale) o stare nel mercato iraniano?

 
Ecco quindi perché le dichiarazioni dell’Unione europea per difendere il JCPOA non spaventano e non rassicurano nessuno. Il punto più alto del bluff è stato raggiunto quando Juncker ha annunciato l’attuazione dello statuto di blocco, un regolamento del 1996 che vieta alle compagnie e ai tribunali dell'Ue di rispettare le leggi sulle sanzioni straniere e stabilisce che nessuna sentenza straniera basata su tali leggi abbia alcun effetto nell'Unione. Spiegato più semplicemente, lo statuto di blocco non serve a proteggere le aziende che violano le sanzioni ma a punire quelle che le rispettano: una cura peggiore della malattia, una scelta tra la peste e il colera, che ovviamente non ha funzionato.

 
La francese Total infatti ha comunicato immediatamente la fine dell’attività estrattiva nel giacimento iraniano South Pars, seguita dalla danese Maersk, il primo shipping container petrolifero del mondo. La lista delle multinazionali che diranno addio all’Iran sarà lunga; c’è la francese Airbus, la PSA la Renault, la Siemens, la Bayer, l’Eni, FCA e tante altre aziende, molte italiane. Il problema però è che alla base di questa apertura europea nei confronti della repubblica islamica c’è solo una logica affaristica, non politica, e quando si tratta di comprare gente disposta a vendersi per affari gli americani non si fanno superare da nessuno.

 
Anche dotarsi di strumenti legali per provare a salvare la forma dell’accordo è inutile, all’Iran non interessano le chiacchiere e le scartoffie, la repubblica islamica ha bisogno di fare accordi commerciali, di investimenti, di una copiosa liquidità e della possibilità di usarla livello internazionale. L’America però ha scelto di stritolare l’Iran e i Paesi della Ue non possono farci niente, perché non sono niente, sono solo i leader deboli e viziati di un protettorato americano, personaggi da operetta alla guida di Paesi che vanno bene per fare le comparse ma non saranno mai più protagonisti della storia.

 
Federico Bosco
 
 

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