L'Analisi di Alberto Negri - "Iran e Arabia Saudita arriveranno allo scontro?"

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di Alberto Negri* -  Ispionline



Iran e Arabia Saudita arriveranno allo scontro? Sì, ma ancora per procura. L’Arabia Saudita non è in grado di condurre direttamente una guerra contro l’Iran e nel caso accadesse può farlo soltanto con il decisivo sostegno americano. E questo nonostante le spese di Riad per la difesa siano state nel 2016 di circa 64 miliardi di dollari e quelle iraniane di 12. Anche i dati dell’economia sono nettamente a favore dei sauditi che vantano un Pil di 650 miliardi di dollari mentre gli iraniani intorno ai 400 miliardi di dollari. Per non parlare della produzione petrolifera: quella saudita è più che doppia rispetto a quella iraniana. Il confronto tra le due economie può diventare ulteriormente penalizzante per l’Iran se gli americani decidessero di imporre nuove sanzioni a Teheran.


I dati sulla potenza militare pendono dal lato iraniano per numero di soldati e in alcuni settori, ma i sauditi possono contare su un arsenale tecnologicamente più avanzato. Eppure i sauditi, che pure godono dell’appoggio aereo degli americani, non riescono neppure a battere la resistenza degli Houthi sciiti zayditi dello Yemen che di recente non solo hanno lanciato un missile vicino a Riad, con il probabile aiuto degli Hezbollah libanesi come addestratori, ma hanno sanguinosamente sfidato Riyadh facendo fuori immediatamente l’ex alleato ed ex presidente Abdullah Saleh quando ha annunciato di volere aprire negoziati con l’Arabia Saudita.





La guerra tra Riad e Teheran resta quindi sempre una guerra per procura e si potrebbe dire anche per fortuna: basti pensare a cosa potrebbe significare in termini di rifornimenti petroliferi sui mercati vedere in fiamme i terminal del Golfo.


Lo scontro, cominciato con lo scisma tra sciiti e sunniti originato della battaglia di Kerbala nel 680, risale in tempi più recenti al 1979, anno della rivoluzione iraniana che con l’Imam Khomeini non solo spazzò via l'effimero impero dello Shah ma fece tremare anche le monarchie assolute del Golfo. Per contrastare la repubblica islamica, l’Arabia Saudita e gli emiri del Golfo finanziarono la guerra di Saddam Hussein contro l’Iran: 50-60 miliardi di dollari vennero inutilmente bruciati nelle paludi dello Shatt el Arab insieme a un milione di morti. Teheran per quella guerra durata otto anni non ha mai perdonato i sauditi: era questa un’altra puntata del secolare conflitto tra arabi e persiani.


Lo scontro è una rivalità di potenza per il controllo del Golfo ma è anche ideologico-religioso per l’influenza nel mondo musulmano. Con la sua teocrazia Khomeini ha realizzato una repubblica dove sia pure in modo assai controllato e manovrato dall’alto si svolgono elezioni da 37 anni mentre l’Arabia Saudita è una monarchia assoluta in pugno a una dinastia familiare con cinquemila prìncipi del sangue che rivendica il titolo di Custode della Mecca e della Medina.


I due sistemi sono antitetici e per gli sciiti il fondamentalismo wahabita è diventato un termine usato come insulto: “takfiri” per Teheran sono i sauditi ma anche i jihadisti dell'Isis. A loro volta i sauditi sono soliti denigrare gli sciiti come miscredenti. La scontro ha quindi assunto una connotazione marcatamente settaria che ovviamente non facilita gli accordi.


Dopo la guerra irachena nel Golfo per l’occupazione del Kuwait, i rapporti tra i due paesi erano migliorati durante la presidenza di Hashemi Rafsanjani ma le tensioni sono riesplose con la caduta di Saddam nel 2003 e l’occupazione americana dell’Iraq. Questo è stato vissuto dai sauditi come un tradimento degli americani che hanno assegnato il potere alla maggioranza sciita emarginando i sunniti che prima controllavano la Mesopotamia ed enormi risorse energetiche. È stato così che l’Iran ha esteso la sua influenza tra gli sciiti dell’Iraq mettendo in agitazione il fronte sunnita e i sauditi che hanno sostenuto al Qaeda, il Califfato, Jabhat al-Nusra e altri gruppi jihadisti in funzione anti-iraniana e anti-Assad.


L’idea dei sauditi era quella di spezzare la cosiddetta Mezzaluna sciita tra Teheran-Baghdad-Damasco e gli Hezbollah libanesi: un asse strategico che dall’arco del Golfo, attraverso la Mesopotamia, arriva fino al Mediterraneo.


Questo è il motivo strategico per cui gli iraniani considerano le loro frontiere reali mille chilometri più avanti rispetto a quelle ufficiali sullo Shatt el-Arab, come ha del resto dichiarato pubblicamente il generale Qassem Soleimani


La guerra in Siria e la campagna saudita in Yemen contro gli Houthi sciiti sono gli ultimi due capitoli del faccia a faccia tra iraniani e sauditi. In Siria l’Iran vuole mantenere al potere Assad e ora, dopo l’intervento militare della Russia, ha accentuato la sua presenza con l’esercito regolare e i Pasdaran, le Guardie della Rivoluzione. Riad continua a insistere perché Assad venga sbalzato dal potere ma di fatto, insieme alla Turchia e al fronte sunnita, ha perso questa guerra mentre non riesce a vincere neppure quella nel “cortile di casa”, in Yemen, una sorta di Vietnam arabo.
 

Per questo lo scontro si è fatto ancora più acceso: vincerà non solo chi ha più risorse, tenuta e alleati ma chi saprà attuare la strategia più sofisticata e lungimirante.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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