Musicisti rock e cantautori: i nuovi poveri dimenticati

Musicisti rock e cantautori: i nuovi poveri dimenticati

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Tra i nuovi poveri ci sono anche i musicisti rock e i cantautori. Lo dicono i numeri. E lo ribadisce su RollingStone Cristiano Godano, cantante dei Marlene Kuntz. 
Stando a un’analisi degli streaming audio e video condotta da Alpha Data tra il 18 gennaio 2019 e il 17 luglio 2020 solo l’1% dei cantanti monopolizza il 90% degli stream. Le cose non vanno meglio con le radio, dove l’1% degli artisti fruisce di tutti i passaggi, il 99,996% per la precisione.

Per quanto riguarda lo streaming, dice sempre la ricerca di Alpha Data, solo il 10% dei cantanti cattura l’attenzione del pubblico, mentre il restante 90% è ascoltato dallo 0,6% degli utenti. Mentre quasi la metà degli artisti totalizza meno di 100 stream (100 clic, 100 like). 

Ah, quanta miseria! - dice Godano. Non guadagni un cazzo, e per giunta paghi un’azienda - o la tua etichetta lo fa per te - per provare ad avere un po’ di streaming in più. Ma, dice, anche se arrivassi a 3 milioni, risultato eclatante, guadagneresti comunque cifre ridicole: 250 euro per milione di clic (in fondo puoi leggere i calcoli precisi fatti da Godano) 

Fanculo Internet. E Fanculo pure i 250 euro.
Quando arrivarono i giradischi, dice, i musicisti dell’area classica [quaternaria] ne rimasero inorriditi, ritenendo inammissibile un ascolto che non fosse live. Si dice che Stravinskij, allora giovane e rivoluzionario, avesse invece compreso che forse non c’era nulla da fare, e che bisognava seguire la corrente, il cosiddetto Mainstream. 

Mainstream, dice Treccani, a partire dal 1950 indica nel Jazz uno stile basato su convenzioni comunemente accettate. Col tempo, dice Wikipedia, «Mainstream» è stato usato come aggettivo per indicare una corrente culturale tradizionale o convenzionale, comunque dominante, quindi seguita da un grande pubblico. 
Che dire?, le idee dominanti sono sempre quelle della classe dominante. Ma qui la classe è quella del clic. Anche se in questo caso parlare di classe è del tutto inappropriato, se per classe intendiamo il proletariato e per lavoro intendiamo il lavoro produttivo di capitale. Più coerente è parlare di popolo, di popolo del clic.

Ma che cos’è il popolo del clic?

Il popolo del clic è il Mainstream. E il Mainstream, lo dico alla buona, è una sofisticazione della lotta di classe.
Godano lo dice in modo abbastanza chiaro. In Internet, dice, la ricchezza (per meglio dire: la remunerazione) è appannaggio di pochi, per tutti gli altri è sostanzialmente un raggiro aggratis.

Nota bene, Godano non parla di lavoro a gratis – ma di truffa, di una sorta di patto leonino nel quale uno dei soci in affari viene escluso dagli utili societari. Internet, per Godano, non è una catena di montaggio, ma è un’impresa anonima, una combriccola, nella quale il profitto è diviso in modo non democratico. 
Godano pone il tema del valore (del valore del suo lavoro di cantante) dal punto di vista della circolazione, del mercato discografico o del mercato del clic. È il cliente (il clic) che determina quali prodotti sono degni di una valorizzazione. 

Dal punto di vista del mercato, e dell’analisi economica neo-classica, non c’è nulla da eccepire, e Godano non deve venire a piangere miseria. Anche se, di recente, persino Luigi Zingales ha detto che il mercato produce prezzi al di fuori di ogni grazia.

Sia come sia, posto dal punto di vista del mercato e della teoria neo-classica, il discorso di Godano appare come il solito piagnisteo del trombato. Di colui che avrebbe il prodotto giusto, sicuramente migliore di quello di Ariana Grande che fa 10 miliardi di clic o di Ariana ft. Nicki Minaj che fanno 1 miliardo, 2 miliardi, 100 fantastiliardi di clic, ma con un prodotto scadente, senza aura, senza arte, senza cervello, solo culo, tette e bpm a mille. 

Se invece Godano provasse a porre il problema dal punto di vista della produzione, la musica cambierebbe, e troverebbe una sponda in altri lavoratori, sfruttati come lui. Ma a questo punto dovrebbe rinunciare al mito e all’aura, e mettersi in testa di guadagnare tanto quanto un tornitore.

Ma, diciamocelo, cosa sarebbe la vita di un cantante senza il mito del rock e l’aura dell’artista? Meglio sperare che una giovane regista usi una canzone di Godano in una serie di Netflix, serie di cui il popolino del clic si spanza, e dunque sperare di accaparrarsi di una quota ragionevole di ricchezza, così come è capitato a Nick Cave, che, se avesse contato sulla vendita di dischi, sarebbe morto di fame. 

I produttori… vadano a farsi fottere! 

Se poi l’ultimo disco di Godano somiglia a una colonna sonora di uno spaghetti western, non diamogli addosso. Fare soldi non è fine a se stesso, è un modo spiccio per mostrare di avercela fatta, di essere arrivati; un modo per trasformare l’aura in aureola. 

 


Posto che, nessuno lo sa con precisione, neanche fra gli addetti ai lavori, una media verosimile dei vari pareri il valore di un singolo stream è circa 0,005 euro lordi (conosco un discografico che pensa sia piuttosto 0,0005). Se usate Spotify con le pubblicità, ovvero se non pagate l’abbonamento, la cifra è minore, e si assesta su 0,003 euro lordi.

Dunque, quanto valgono 50.000 streaming? 50.000 per 0,005 fa 250 euro lordi. Questa cifra è da spartire con la casa discografica: in genere l’80% va a lei e il 20% va all’artista/band. Quindi in questo caso alla band vanno 50 euro lordi. Va da sé che se il gruppo è di 4 elementi e divide gli introiti, a testa ogni singolo elemento guadagna da Spotify 12,5 euro. Al lordo delle tasse.

Proviamo con un un milione di streaming. 1.000.000 per 0,005 fa 5000 euro lordi, il 20% fa 1000 euro lordi. Diviso 4 fa 250 euro lordi a testa. Cioè: tu, pinco pallo, arrivi col tuo gruppo di quattro elementi a fare 1 milione di streaming (mica cazzate) e vieni ricompensato con 250 euro lordi. Not bad. Infine 100 milioni di streaming: fatti tutti i calcoli fa 25.000 euro lordi a cranio. 

Ti compri una golf [da proletario].

Leo Essen

Leo Essen

Ha studiato all’università di Bologna con Gianfranco Bonola e Manlio Iofrida. È autore di Come si ruba una tesi di laurea (K Inc, 1997) e Quattro racconti al dottor Cacciatutto (Emir, 2000). È tra i fondatori delle riviste Il Gigio e Da Panico. Scrive su Contropiano e L’Antidiplomatico.

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