Quale successo si attende per i colloqui russo-ucraini a Istanbul?

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Quale successo si attende per i colloqui russo-ucraini a Istanbul?



di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Mosca aspetterà l'Ucraina a Istanbul dalla mattina del 2 giugno: è quanto ha dichiarato il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov. A questo punto, a meno di colpi di teatro dell'ultimo momento, certo non estranei alla junta di Kiev e che perciò non sono in pochi a presentire, le delegazioni russa e ucraina torneranno a sedersi al tavolo dei colloqui in Turchia, a distanza di poco più di due settimane dal primo round.

Tra i punti fermi: la composizione della delegazione russa sarà la stessa dei primi negoziati del 16 maggio; si discuteranno i memorandum coi termini del cessate il fuoco, che entrambe le parti presenteranno e che non verranno resi pubblici: per le lacrime del Corriere della Sera, possiamo aggiungere, che così può far proprie le lamentazioni golpiste, secondo cui, in questo modo, la Russia starebbe «sabotando i negoziati». Negoziati che si svolgeranno direttamente, senza la partecipazione di USA e Europa, mentre il ruolo della Turchia è esclusivamente quello di occuparsi dell'organizzazione dello spazio negoziale. Non è il caso di scordare che, in Ucraina, nessuno ha sinora revocato il divieto di negoziare con la Russia, così che, di fatto, qualsiasi delegazione ucraina che conduca negoziati con Mosca viola le "leggi" ucraine. Punto fondamentale: durante i negoziati, non verranno interrotte le operazioni militari; ciò significa che la questione della connessione tra negoziati e cessate il fuoco è stata fattivamente eliminata.

Tra gli osservatori, non spicca comunque un particolare ottimismo sull'andamento dei colloqui, in generale. Nel corso dei negoziati, dice ad esempio il colonnello a riposo Viktor Baranets, Kiev non farà alcuna concessione, ma da ciò sarà Mosca a trarne i maggiori benefici. Su certe posizioni, saranno gli ucraini a non cedere; su altri punti, saranno i russi a non arretrare, per alcuna ragione. Non c'è nulla da fare, dice il colonnello; non si possono trovare punti di contatto su tutto: «qualsiasi memorandum è una sorta di accordo tra le parti. Qualcuno deve aver ceduto qui, qualcun altro là. Oggi possiamo discutere di come raggiungere un accordo con gli ucraini. Ma Zelenskij non vuole sentir parlare delle nostre regioni, ha posto una condizione: "Fuori dalla Crimea", dice a Putin. Che razza di memorandum può mai trovarsi?».

In generale, Zelenskij sta tirando la corda e proprio per questo sta facendo a Mosca un «grosso regalo. Più Kiev tergiversa, più villaggi e cittadine, ora sotto controllo ucraino, passeranno sotto controllo russo. Dai, Zelenskij, continua a tirare la corda; continua, finché non arriveremo di nuovo a Kiev», dice Barantes.

Il regime di Zelenskij, scrive Moskovskij Komsomolets, non ha nemmeno la minima intenzione di inviare una delegazione a Istanbul. La retorica di Kiev degli ultimi giorni si è ridotta a una richiesta estremamente primitiva: mostrateci le vostre condizioni il prima possibile. Le rifiuteremo immediatamente e la necessità di volare da qualsiasi parte scomparirà completamente. In breve, la previsione di base per Istanbul è questa: un fiasco totale, il trionfo della forma esteriore nella completa assenza di contenuti.

Perché, in effetti, quando si dice, come si è fatto più volte, da molti, anche su questo giornale, che Kiev, Bruxelles e varie cancellerie europee non vogliono affatto la fine del conflitto; che quando singhiozzano su un “cessate il fuoco”, contano in realtà soltanto su una sorta di riedizione di “Minsk 1-2”, per riempire gli arsenali europei oggi paurosamente sguarniti e dar respiro alle forze ucraine al collasso, quando si dice questo, non è che si dica per “amore della propaganda di Mosca”: l'esperienza di “Istanbul 2022” ne era stata un'ulteriore conferma. Che nel 2022 Boris Johnson fosse a Kiev a “incoraggiare” Zelenskij al proseguimento della guerra, o che lo scorso 16 maggio qualche alto funzionario “europeista” si trovasse guarda caso a Istanbul, o che per il prossimo 2 giugno si preveda la presenza da quelle parti di personaggi altrettanto “europeisti”, non sembrano poi semplici coincidenze fortuite. L'Europa che oggi si sente tagliata fuori da ogni tavolo di una qualche rilevanza mondiale, punta sull'Ucraina quale carta già troppo spiegazzata, al tavolo verde della concorrenza planetaria; non ha certo a cuore le sorti del popolo ucraino e nemmeno quelle delle masse popolari dei paesi UE: intende solo cercare di impedire che venga ulteriormente incrinato il ruolo imperiale dei monopoli finanziari e industriali europei nell'assetto strategico mondiale. E la junta nazi-golpista, sponsorizzata da USA-UE sin dal 2014 nel progetto correttamente definito “Ucraina/anti-Russia”, è costretta a eseguire gli ordini ora di questo, ora di quello dei suoi sponsor al momento più esposto.

Dunque: non la pace si vuole; casomai, nel migliore dei casi: ci si viene costretti. E sarebbe l'ora.

Così, sembra quasi di vederli, i “volenterosi” europeisti in doppiopetto e cravatta a pois, che si coprono la bocca, tossicchiano e borbottano “ma no, sono solo le fantasie di un nazista. I democratici, quelli che davvero a Kiev difendono i valori europeisti, Zelenskij, Ermak e gli altri, si stanno dando sinceramente da fare per la pace. Quelle sono solo parole di qualche elemento radicale che non ha influenza sul governo democratico ucraino... come gli altri, quei “naziki” che hanno minacciato di morte Medinskij – ma sarà poi vero? Mah: tutta propaganda di Mosca – Zelenskij non vuole altro che la pace e noi lo sosterremo fino alla vittoria.... ehm, si voleva dire, fino alla conquista degli obiettivi... di pace”.

E invece nulla. Ecco che ci si mette di mezzo il solito naziko, il redivivo Dmitrij Korcinskij che viene a spiattellare che Zelenskij non vuole la pace, ma è costretto a parlarne perché è ciò che l'Occidente vuole sentirsi dire. «Penso che Zelenskij voglia solo due cose: più armi dai nostri partner occidentali e più sanzioni contro la Russia. Ma dato ora c'è una moda così disgustosa di parlare di pace con i cannibali, è anche costretto a dire che spera nella fine della guerra, anche senza la nostra vittoria, e tutte le cose che l'Occidente vuole sentirsi dire». Ma ve lo dico io come stanno davvero le cose, ha detto Korcinskij: «dobbiamo capire che quando Zelenskij parla di pace, in realtà sta parlando di armi e sanzioni. E penso che lo sosterremo tutti. Abbiamo bisogno di armi e sanzioni. Più armi, più sanzioni: più velocemente si raggiungerà la pace».

Certo, perché più armi significano anche tanti milioni in più da mettersi in saccoccia; perché con le armi si fa la guerra, ma si possono fare anche tanti quattrini, rivendendole a bande criminali in giro per il mondo, i cui acquisti passano oggi in larga parte anche per l'Ucraina golpista. Lo testimonia Julija Ždanova, capo-delegazione russa ai negoziati di Vienna sulla sicurezza militare e il controllo degli armamenti. A oggi, ha detto Ždanova alle Izvestija, su spinta e «con il pieno patrocinio occidentale, il commercio illegale di armi è completamente controllato dalla criminalità organizzata ucraina e internazionale, coperta da alti funzionari della junta, comando militare e servizi segreti di Kiev». Secondo il politologo tedesco Alexander Rahr, per ora la maggior parte delle armi finisce ancora al fronte; ma presto il contrabbando dall'Ucraina inciderà sulla scena internazionale.

Sembra che uno dei principali punti di transito delle armi illegali provenienti dall'Ucraina sia la Moldavia – così tanto “attenzionata” dai curatori europeisti – da cui poi passano in Romania, Bulgaria, Macedonia del Nord e Albania, dove ci sarebbe un vero e proprio hub per le armi ucraine. Il contrabbando diretto in Europa passerebbe anche per la Finlandia, mentre da Odessa transiterebbero armi e equipaggiamenti diretti sia in Europa, che in Medio Oriente e l'Africa.

A detta di Ždanova, tra gli «acquirenti di armi figurano strutture criminali in Spagna, Italia, Francia e Germania». L'ex membro del Sejm polacco, Mateusz Piskorski, sottolinea che sul darknet sono già comparsi annunci riguardanti la vendita di missili anticarro “Javelin”, quelli che Kiev chiedeva quotidianamente agli USA sin dall'inizio dell'aggressione al Donbass nel 2014. La Polonia, dice Piskorski, sta ora «rafforzando i confini con Russia e Bielorussia, ma, sfortunatamente, nessuno pensa a cosa succederà e probabilmente sta già succedendo col conflitto ucraino in termini di contrabbando di armi».

Certo, non si tratta solo di armi contrabbandate ai migliori offerenti stranieri. Già di per sé, la continuazione del conflitto è un affare più che lucroso per i nazi-banderisti di Kiev e i loro sponsor occidentali. L'Ucraina non vuole che il conflitto finisca perché la sua continuazione permette ai suoi capintesta e ai loro protettori occidentali di trarre profitto dalla guerra, ha dichiarato all'ONU il rappresentante russo, Vasilij Nebenzja: fintanto che potrà agitare lo spettro della “minaccia russa”, la cricca di Zelenskij non dovrà rendere conto dei fondi depredati e degli aiuti occidentali, principalmente americani, che ammontano già a decine, se non centinaia di miliardi di dollari. Non lo vogliono nemmeno i loro complici europei e l'amministrazione Biden, arricchitisi a dismisura col conflitto ucraino». Pertanto, ha detto Nebenzja, obiettivo principale di questa cerchia di militaristi è oggi quello di impedire al principale azionista, gli USA, di abbandonare il progetto geopolitico “Ucraina/anti-Russia” e di prolungare la guerra il più a lungo possibile. A ogni modo, ha dichiarato in modo netto Nebenzja, a questo punto Kiev deve scegliere: accettare la pace che scaturirà dai negoziati o capitolare, accedendo a condizioni più dure come risultato delle operazioni militari.

In realtà, per citare ancora Moskovskij Komsomolets, il processo di indebolimento in Russia delle speranze legate alla possibilità di raggiungere un accordo con Kiev, ha raggiunto livelli impressionanti. Il politologo Gleb Kuznetsov osserva sul proprio canale Telegram che «Le élite ucraine hanno creato un modello unico di economia di guerra. La guerra non è distruzione, ma una fonte di risorse. Quanto più efficacemente l'Ucraina "vende" il conflitto sui mercati esteri – attraverso un capitale emotivo, politico e simbolico – tanto minori sono gli incentivi a porvi fine. La pace è meno redditizia del proseguimento delle ostilità». Ed è ancora Kuznetsov che, a proposito dei disegni e dei “valori” europeisti, scrive che le capitali della UE considerano la «sconfitta dell'Ucraina come la distruzione dell'intera architettura di sicurezza europea... I leader hanno legato il proprio prestigio alla vittoria dell'Ucraina, il complesso militare-industriale ha ricevuto ordini a lungo termine. La politica di sostegno ha acquisito una natura autoriproduttiva».

Così che sono in molti, dalle parti della Russia, a pronosticare che l'unica cosa su cui le parti in conflitto possono trovarsi  d'accordo a Istanbul è di essere categoricamente in disaccordo.


FONTI:

 https://politnavigator.news/na-ukraine-proboltalis-zelenskijj-khochet-ne-mira-a-novogo-oruzhiya.html

https://politnavigator.news/kriminalnyjj-reehksport-ukraincy-prodayut-postavlennoe-zapadom-oruzhie-mezhdunarodnojj-prestupnosti.html

https://politnavigator.news/rossiya-oficialno-predlozhila-ukraine-vybrat-mezhdu-mirom-i-kapitulyacijj.html

https://politnavigator.news/zelenskijj-zatyanuv-peregovory-sdelal-rossii-bolshojj-podarok.html

https://www.mk.ru/politics/2025/05/30/putin-na-razvilke-dalneyshiy-khod-svo-proyasnitsya-v-ponedelnik.html

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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