Si accende il "secondo fronte" del Caucaso: cosa può succedere ora

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Si accende il "secondo fronte" del Caucaso: cosa può succedere ora

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Se la questione non fosse tragica, soprattutto per le popolazioni di quell'area del Caucaso ex sovietico, si potrebbe cominciare ripetendo l'adagio del … tanto tuonò che piovve.

Il 19 settembre, a manovre militari congiunte armeno-americano ancora in corso, l'Azerbajdžan ha attaccato l'enclave armena del Nagorno-Karabakh, la regione che “vanta” forse il record negativo di essere stata fra le prime (se non la prima) aree di acuta e aperta tensione nazionale nel periodo a cavallo tra fine anni '80 in URSS e inizio dei famigerati “malvagi '90”, come i comunisti russi definivano gli anni del el'tsinismo più selvaggio. Una regione rimasta relativamente (molto relativamente) “tranquilla” dopo gli accordi di pace tripartiti di Mosca del novembre 2020, a conclusione dell'ennesimo periodo di guerra, ma che, sia per le mire turche, che per gli enormi interessi energetici e strategici euroatlantici, davvero in pace non lo è mai più rimasta.

Nella mattinata del 19 settembre, è stato il Ministero della guerra azero ad annunciare di aver dato avvio a una “operazione anti-terrorismo localizzata” sul territorio del Karabakh, con tiri di artiglierie su Artsakh, compresa la capitale Stepanakert. Più tardi, il consigliere presidenziale azero Khikmet Gadžiev, ha dichiarato che «la distruzione dell'infrastruttura militare del regime illegittimo in Karabakh costituisce l'obiettivo principale dell'operazione anti-terrorismo dell'Azerbajdžan».

Come da copione vecchio e stravecchio, pretesto formale per l'inizio delle operazioni sarebbe stato qualche mezzo militare azero saltato su mine ma, come i lettori di questo giornale ricordano, da settimane Baku stava concentrando mezzi militari sul confine con l'enclave armena e alle frontiere della stessa Armenia.

Si ricorderà che lo stesso primo ministro armeno, Nikol Pašinjan, forte del megafono de La Repubblica, aveva addirittura incolpato pretestuosamente Mosca di “inattività” del contingente di pace russo schierato nella regione, cogliendo così l'occasione per sospendere l'adesione al ODKB e volgere lo sguardo a ovest per prossime alleanze.

Al momento, comunque, difficile dire fino a che punto Baku intenda portare a fondo l'operazione e se, con il perenne sostegno di Ankara, non pianifichi una “soluzione definitiva” per Artsakh. L'esercito azero parla ovviamente di “colpi portati con estrema precisione”, esclusivamente su obiettivi militari armeni, e precisa di aver avvisato il contingente di pace russo dell'avvio delle operazioni. Ma Baku ha comunque lanciato un chiaro ultimatum, esigendo il completo ritiro di tutte le formazioni militari armene dal Karabakh e la liquidazione del governo di Stepanakert; in sostanza: la definitiva eliminazione di Artsakh.

Già in fine mattinata di martedì, erano diffuse immagini di colpi di artiglierie e razzi azeri portati su batterie missilistiche antiaeree armene, anche nell'area di Stepanakert e video sulla eliminazione di postazioni armene per la guerra elettronica, allo scopo di assicurare a Baku il completo dominio dell'aria e garantire la necessaria copertura all'avanzata di mezzi e truppe di terra.

Intorno alle 14 ora italiana, Colonelcassad riportava una dichiarazione del Ministero della guerra armeno, secondo cui la situazione sulla frontiera armena era “stabile”. Dal momento che la più recente politica di Pašinjan ha praticamente messo una croce sulla questione del Nagorno, considerando di fatto il Nagorno-Karabakh come parte del Azerbajdžan, è credibile che Erevan consideri ciò che sta avvenendo a Stepanakert un argomento estraneo alla “stabilità” della situazione armena. Cosicché, a questo punto, anche gli impegni del ODKB non si estendono a Artsakh e nessuno interviene a fermare le forze di Baku.

Dunque, dato che Mosca non ha alcuna intenzione di mettersi in mezzo al conflitto armeno-azero e anche Teheran potrebbe avere qualcosa di pesante da dire solo nel caso che Baku, stante i riflettori puntati sul Nagorno, decidesse di approfittarne per ritagliarsi anche un corridoio armeno verso l'enclave azera di Nakhicevan, allora tutto il fardello sembra ricadere su Erevan, se veramente intende conservare il Karabakh.

In ciò che sta accadendo ora in Artsakh non c'è purtroppo nulla di “straordinario”: cinque anni di politica di Nikol Pašinjan, giunto al potere sull'onda dell'ennesima “rivoluzione colorata”, dovevano condurre a questo, e le ultime sue scelte hanno accelerato il corso degli eventi.

Cinque anni di avvicinamento a UE, USA, NATO, osserva ancora ColonelCassad, hanno fatto dell'ex giornalista ed ex oppositore Pašinjan il grimaldello per la svolta occidentale di una paese a suo tempo considerato il più sicuro alleato di Mosca in Caucaso: un passepartout fidato, come lo era stato a suo tempo Viktor Jushchenko nell'Ucraina della seconda metà degli anni 2000.

In conclusione, se alla pretesa di Baku sul completo ritiro di ogni forza armata armena dal Karabakh, il Ministero della guerra armeno risponde che «l'Armenia non ha truppe in Karabakh», con ogni probabilità ciò significa che Pašinjan non ha alcuna intenzione di difendere Artsakh militarmente, capitolerà e proclamerà ancora a La Repubblica che la colpa è tutta di Mosca.

Tra l'altro, sembra difficile sfuggire al sospetto di una plateale concertazione di piani per infiammare l'intera regione caucasica, così ricca di risorse e snodo particolare per i transiti di quelle risorse, se si pensa a come l'attacco azero coincida temporalmente con le notizie che hanno preso a circolare negli ultimi due-tre giorni, su preparativi per un colpo di stato in Georgia, un'ennesima “majdan”, questa volta a Tbilisi, ai danni di un governo georgiano considerato “non sufficientemente anti-russo”. Ancora una volta, come era accaduto per l'Ucraina del 2013-2014, il pretesto per le “rivolte” di piazza dovrebbe essere la decisione della Commissione europea sul riconoscimento – o non riconoscimento - della Georgia a paese candidato UE.

Difficile non ripetersi: ma, come sempre, i reazionari sono assolutamente prevedibili, ma non per questo meno pericolosi.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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