Siria, Isis e la propaganda di Usa e Regno Unito

Siria, Isis e la propaganda di Usa e Regno Unito

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di Eric Draitser, analistica geopolitico per Counterpunch.
(Traduzione L'AntiDiplomatico)
 
Con la guerra in Siria che ha ormai raggiunto il quinto anno, e con l'Isis presente in Medio Oriente e Nord Africa, è chiaro come l'intera regione sia divenuta il teatro di un conflitto maggiore. Ma il campo di battaglia non è solo inquadrabile in una mappa, è uno spazio anche culturale dove le forze dell'impero USA-UK-NATO impiegano una varietà di tattiche per influenzare il corso degli eventi e ottenere un risultato affine agli obiettivi. E nulla ha maggiore effetto della propaganda.

Se la guerra in corso in Siria - e i conflitti post Rivoluzioni arabe in generale - hanno insegnato qualcosa è che il potere della propaganda e le relazioni pubbliche per formare le narrative che impattano eventi politici. Dato il potere dell'informazione nel plasmare il paesaggio politico post-moderno, dovrebbe non sorprendere che gli Usa e il Regno Unito siano divenuti i leader mondiale nella propaganda governativa a livello mondiale. 

Il Guardian ha rilevato recentemente come il Government’s Research, Information, and Communications Unit (RICU) sia stato impiegato nella promozione di informazione, sorveglianza e nel “tentativo di un cambiamento di comportamento” della giovane popolazione musulmana. Questo messaggio non è nuovo ed è stato discusso per anni. L'articolo del Guardian ha esposto le connessioni tra il RICU e varie organizzazioni, campagne sociali e mediatiche, in particolare la campagna Breakthrough Media Network che “ha prodotto decine di siti web, video, film, pagine facebook, account twitter, radio online, tutti con questo titolo 'The Truth about Isis and Help for Syria'”. Considerando la natura dei social media, e la maniera in cui l'informazione (o disinformazione) si è diffusa online, dovrebbe non sorprendere che un numero di video virali, account popolari tweet e altri materiali sembrano allineati con la linea anti-Assad promossa da Londra e Washington.

Del resto, sono prodotti di campagna governativa di propaganda. 

Il Guardian scrive: “Una iniziativa Ricu, che si annuncia come una campagna che fornisce consigli su come raccogliere fondi per i rifugiati siriani, ha avuto conversazioni faccia a faccia con migliaia di studenti in occasione di incontri con studenti universitari. Quella campagna, chiamata Guida per la Siria, ha distribuito volantini a 760.000 case senza che i destinatari si rendessero conto che fossero comunicazioni del governo”.
 
Non è difficile da capire come il governo inglese stia cercando di fare sforzi sempre maggiori per controllare i messaggi sulla guerra in Siria e indirizzare l'attivismo contro la guerra a canali accettabili per l'establishment politico. Immaginate per un momento l'impatto per uno studente di 18 anni, che ha appena iniziato l'Università e si affaccia al mondo politico. Immediatamente incontra attivisti veterani che influenzano il suo pensiero sulla guerra, lo indirizzano su chi sono i buoni, chi sono i cattivi e quello che bisognerebbe fare. L'impatto di questi sforzi è profondo.

Ma si tratta di più interazioni con gli attivisti con prospettive e la creazione dei materiali della propaganda; si tratta della sorveglianza e la penetrazione sociale mediatica. Secondo l'articolo del Guardian: “Uno dei compiti principali del Ricu è quello di monitorare le conversazioni online tra quelle che descrive come le comunità vulnerabili. Dopo i prodotti vengono rilasciati, Ricu monitora il personale 'forum chiave" per le conversazioni on-line”.

E' chiaro come questi sforzi siano di penetrazione online, specialmente attraverso i social media. Manipolando e monitorando in questo modo, il Governo inglese è in grado di influenzare, precisamente, la narrativa sulla guerra in Siria, l'Isis e una serie di questioni rilevanti sia a livello domestico e interessi geopolitici dello stato inglese. Qui giace il nesso tra la sorveglianza, propaganda e politica. 

Ma naturalmente il Regno Unito non è solo in questo sforzo, mentre gli Usa hanno un programma similare con il suo Center for Strategic Counterterrorism Communications (CSCC) che descrive la sua missione in questo modo:
…[to] coordinate, orient, and inform government-wide foreign communications activities targeted against terrorism and violent extremism… CSCC is comprised of three interactive components. The integrated analysis component leverages the Intelligence Community and other substantive experts to ensure CSCC communicators benefit from the best information and analysis available. The plans and operations component draws on this input to devise effective ways to counter the terrorist narrative. The Digital Outreach Team actively and openly engages in Arabic, Urdu, Punjabi, and Somali.
 
Notate che il CSCC è chiaramente un hub dell'intelligence che agisce per diffondere la propaganda di CIA, DIA, DHS, e NSA, tra gli altri: questa missione, naturalmente, è mascherata con una terminologia come “analisi integrata” - termini usati per designare vari componenti della missione CSCC. Come il RICU, il CSCC serve a plasmare la narrativa online sotto il pretesto della lotta alla radicalizzazione. 

Dovrebbe notarsi che il CSCC diviene una propaganda generale non solo dei governi Usa, ma anche per i suoi alleati di politica estera (Israele, Arabia Saudita, Gran Bretagna), oltre alle Ong amiche come Human Rights Watch, Amnesty International, o MSF. Anche il Ney York Times scrive: 

“[Il CSCC] imbrigliarirà tutti i tentativi esistenti di countermessaging dai dipartimenti federali molto più grandi, tra cui il Pentagono, Homeland Security e le agenzie di intelligence. Il centro inoltre coordina e amplifica i messaggi simili da alleati stranieri e agenzie non governative, nonché da accademici musulmani prominenti, leader di comunità e studiosi religiosi che si oppongono allo Stato islamico”.

Il filtraggio di queste informazioni mette al centro la questione della narrativa dominante della questione sulla Siria, Libia, Isis e altre questioni correlate. Con i social media e il cosiddetto “citizen journalism” divenuto così importante nell'influenzare l'opinione pubblica, è importante considerare il grado di manipolazione di questi fenomeni.

Sono ormai ben documentate le miriadi di modi in cui i governi occidentali abbiano pesantemente investito in strumenti per manipolare i social media per formare le narrative. Infatti, la Cia ha investito milioni in startup dei social media, attraverso l'arma dell'investimento conosciuta come In-Q-Tel. 

La Cia sta spendendo decine di milioni di dollari fornendo miliardi a queste compagnie per sviluppare la capacità di fare ogni cosa dalla collezione dei dati alla sorveglianza a tempo reale.

La verità è che il governo da anni cerca di manipolare i social media. Tornando al febbraio 2011, ai tempi della guerra alla Libia e Siria, una storia interessante è stata quella pubblicata dal PC World con il titolo Army of Fake Social Media Friends to Promote Propaganda che ha spiegato in un linguaggio mondano che: 

... Il governo degli Stati Uniti ha contratto HBGary per lo sviluppo di software in grado di creare più profili di social media falsi per manipolare e influenzare l'opinione pubblica su questioni controverse, promuovendo la propaganda. Potrebbe anche essere usato come sorveglianza per trovare opinioni pubbliche con i punti di vista contrari al potere. Si potrebbe quindi potenzialmente avere persone "false" con campagne diffamatorie nei confronti di quelle "reali".
 
Gli attenti osservatori della guerra della Nato-Usa in Libia si ricorderanno quanti account twitter nacquero miracolosamente, con decine di migliaia di follower l'uno, “report” sulle “atrocità” perpetrate da Gheddafi e il suo esercito e la richiesta di una No Fly Zone con il regime change. Certamente uno si chiede ora, come moti di noi all'epoca, se questi account non fossero semplici fakes creati da un programma del Pentagono, o troll pagati.
 
Un esempio recente della disinformazione recente sui social media è stata (e continua ad essere) impiegata nella guerra su Siria/Isis, quando nel dicembre 2014 un “propagandista twitter sull'Isis” conosciuto come Shami Witness (@ShamiWitness) è stato scoperto essere un uomo chiamato “Mehdi,” (poi confermato come Mehdi Biswas) descritto come “an advertising executive” con base  a  Bangalore, India. @ShamiWitness veniva citato come fonte autorevole di informazione su Isis e Siria dai media mainstream, oltre che da “indipendenti ed affidabili” blogger come Eliot Higgins (aka Brown Moses) che ha citato Shami ripetutamente. Quest'ultimo “esperto” sull'Isis è ora accusato in India di crimini che vanno dal “supporto all'organizzazione terroristica, muovere guerra allo stato, attività illecite, cospirazione, sedizione e promozione della violenza”. 

In un altro esempio della manipolazione dei media, ad inizio 2011, con la guerra in Siria appena iniziata, un blogger conosciuto allora come la “Gay Girl in Damascus” è divenuta famosa come una fonte d'informazione chiave per descrivere la situazione nel paese. Il Guardian, tra gli altri, l'ha plaudita come “una improbabile eroina della rivolta” che “sta catturando l'immaginazione dell'opposizione siriana con un blog che è divenuto famoso come il movimento di protesta prosegue la sua lotta di fronte alla repressione del governo”. Comunque, dal giugno 2011, la “brutale onestà di Gay Girl” si è rivelata per una fabbricazione ordita da un certo Tom MacMaster. Naturalmente, gli stessi che descrivevano la “Gay Girl” come una legittima fonte d'informazione sulla Siria immediatamente abbandonarono il blog. 

Tuttavia, la narrativa di fondo sulla repressione brutale rispetto ad una pacifica dimostrazione di piazza proseguì. Mentre la fonte veniva screditata, la narrativa rimaneva intatta.
 
E quest'ultimo punto è forse la chiave di volta: la manipolazione online è disegnata a controllare le narrative. Mentre la guerra può essere combattuta sul campo di battaglia, è ugualmente combattuta per i cuori e le anime degli attivisti, consumatori di news e cittadini ordinari nell'occidente. Il Regno Unito e gli Usa hanno entrambi capacità di guerra sull'informazione, e non hanno paura di usarle. E quindi, noi non dovremmo avere paura ad esporle.

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Quando leggete gli articoli del Fatto Quotidiano, Repubblica e altri dalla Siria che citano il famigerato Osservatorio siriano dei diritti umani, o un servizio della Rai da New York per aggiornarvi su Aleppo, i media italiani perseguono questi strumenti di guerra sull'informazione. E l'AntiDiplomatico non avrà paura di continuare a denunciarli.

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