Siria, un Natale di rinascita che brilla più dei bombardamenti

Siria, un Natale di rinascita che brilla più dei bombardamenti

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di Giusi Greta Di Cristina - Nuova Società
 

È Natale a Damasco, capitale della Siria, l’unico Paese mediorientale in cui le religioni convivono pacificamente, causando per questo l’odio degli estremisti islamici, armati e assoldati dalle grandi potenze petrolifere.


Il regime siriano, di ascendenza Ba’th, rappresenta la parte dell’Islam laico, più vicino al socialismo: intollerabile la sua esistenza per le potenze wahabite e danarose che tanto piacciono all’Occidente affamato di petrolio, disposto a zittirsi sui diritti umani e a far giocare milionarie partite di calcio.


È chiaro che anche in questo caso la religione è stata solo lo specchietto per le allodole, per nascondere interessi economici e geopolitici. O per meglio dire, le scelte religiose corrispondono a precise scelte politiche ed economiche. Basterebbe solo analizzarle per comprendere chi sta con chi e quale sia la posta in gioco: invece, specie nel caso della Siria, le carte si sono volutamente mischiate in modo da rendere la lettura dei fatti confusa e sfruttabile da chi vuole ottenere un determinato risultato.


Sulla Siria si è raggiunto un tale capovolgimento nella narrazione da fare invidia al migliore dei romanzieri distopici: sulle cause, sugli attori principali, su ciò che è effettivamente accaduto. Nove anni di guerra in cui la maggioranza dei mezzi di stampa si sono occupati di diffondere le notizie dettate dall’Occidente, interessato per lo più a dipingere Assad come la fonte di ogni male.


Innanzitutto la guerra civile siriana è stata tracciata come una appendice delle “primavere arabe”: sarebbe stata generata da una serie di rivolte della maggioranza della popolazione contro il regime monopartitico e socialista Ba’th di Bashar Hafiz al-Assad. Contro di lui sono stati immediatamente assurti ad eroi i cosiddetti ribelli da una parte, riuniti sotto la bandiera del Free Syrian Army, e le milizie curde dall’altra, che hanno combattuto contro l’esercito regolare inquadrate nelle YPG (Unità di protezione popolare).


Chiedere da che parte si sia posto l’Occidente risulta quasi retorico: un’unica voce contro Assad ha unito Stati Uniti, Regno Unito, Unione Europea, assieme alle monarchie del petrolio, come si è già detto. Nel gruppo anche Turchia, interessata alla conquista di quello che è stato chiamato in questi mesi “Kurdistan siriano” o Rojava ma in pratica territorio siriano vero e proprio, e Israele, che puntava a ritagliarsi un pezzo di territorio geograficamente rilevante da un punto di vista economico.


Minoritario è rimasto chi ha immediatamente denunciato che dietro i “ribelli” islamici ci fossero i tagliagole dell’Isis: persino l’Europa che afferma di voler combattere la minaccia terroristica ha appoggiato la presenza dei terroristi in chiave anti Assad. La medesima posizione è stata assunta da gran parte della stampa, sia di destra che di sinistra, che ha celebrato i “white helmets” come i liberatori del Paese dal regime dittatoriale di Assad: nessuna fra queste fonti di informazione ha ricordato che i white helmets hanno ricevuto fior fiori di quattrini di finanziamento direttamente dalla Casa Bianca, come affermato quasi innocentemente da Mike Pompeo.

 

L’ appoggio alla Siria socialista e laica sono pervenuti da Cina, Russia e Iran e anche se essi non nascono certo per ragioni filantropiche a lungo andare, per come il conflitto è andato sviluppandosi, si sono rivelati cruciali per la difesa dall’aggressione esterna e per una relativa stabile ripresa alla normalità dopo la liberazione delle città principali.


L’esercito regolare siriano ha difatti sconfitto l’Isis in quasi la totalità del Paese e laddove l’impresa si sta rivelando essere più difficile, ovvero a Idlib, è proprio perché attraverso l’errata battaglia delle YPG curde ha permesso agli Usa, e poi ai turchi, di installarsi nel territorio siriano.


Dispiace sentire ancora manifestanti gridare che siano state le YPG a sconfiggere l’Isis: non avrebbero potuto farlo né per le forze numericamente disposte, né tantomeno per gli aiuti militari di cui l’organizzazione terroristica ha sempre goduto. Ha sì combattuto contro esso, ma prestando il fianco a chi lo finanziava.


In Siria si voleva ripetere l’esperienza già consumata nella Libia di Mu’ammar Gheddafi, con l’unica differenza della disposzione diretta delle truppe americane, proprio nella zona ricca di giacimenti. Gli altri Paesi – quelli UE in particolare – hanno poi seguito il classico posizionamento filo atlantista. Per ottenere l’appoggio da parte dell’audience si è usata qualsiasi forma di discredito contro Assad: per settimane siamo stati bombardati da notizie e foto circa un attacco chimico a Douma (da parte di Assad contro i propri cittadini, ça va sans dire) a base di fosforo bianco. I nostri maitre a penser della sinistra italiana (da Saviano a Littizzetto a Boldrini) si sono prestati alla diffusione di questa notizia con le famose foto della mano sulla bocca.


Tutto il mondo contro Assad, insomma, un dittatore che uccide il proprio popolo, che quando bombarda lo fa chirurgicamente, solo contro ospedali e civili, anche quando è in una fase militare favorevole!


Quell’attacco – che era visibilmente una fake news dato che il fosforo bianco brucia i tessuti immediatamente al contatto e non avrebbe dato il tempo di fotografare bambini colmi di polvere bianca dalla testa ai piedi – è stato sconfessato proprio in queste ultime settimane attraverso l’opera di Wikileaks, che è riuscita ad ottenere una mail interna all’Opac (l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) in cui un ispettore che nel 2018 partecipò all’indagine apre sui gravi dubbi circa la veridicità di quanto trasmesso in via ufficiale.

 

Senza alcun tipo di ritegno si sono inventate verità false pur di arrivare all’obiettivo di distruggere un Paese, di mettere fuori gioco un presidente e un governo.


Ma la Siria non è stata la Libia e ad un certo punto il giocattolo si è rotto. L’avanzata dell’esercito regolare siriano, la forza e la determinazione di Assad, l’abnegazione e l’appoggio da parte del popolo hanno arrestato e sconfitto i ribelli, che altro non erano che jihadisti che per anni hanno ucciso e torturato civili e militari, giornalisti e volontari col pieno appoggio dell’Occidente che li ha protetti e armati. Insomma, il ribaltamento dei fatti ha prodotto la situazione per cui un governo che combatteva i terroristi dell’Isis – l’unico Stato del Medio Oriente che lo ha fatto finora – è stato per anni additato come terrorista e i terroristi disegnati come legittimi ribelli (magari anche democratici!).


Ma i problemi della Siria non si fermano ai soli attacchi militari compiuti da terra dagli eserciti occupanti turco e americano e dal cielo coi bombardamenti israeliani che stanno continuando, anche in queste ore. Quando si analizza la questione siriana, la povertà della popolazione, la difficoltà nel ripristinare uno schema di vita decoroso non si pensa mai alle sanzioni economiche che l’Unione Europea ha imposto contro il Paese. Nel documento ufficiale si legge; “[…] In linea con la strategia dell’UE relativa alla Siria, l’UE ha deciso di mantenere le misure restrittive nei confronti del regime siriano e dei suoi sostenitori poiché continua la repressione della popolazione civile. […] Le sanzioni attualmente in vigore nei confronti della Siria includono un embargo sul petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell’UE e restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche o online.”. Inoltre a un consistente numero di persone ed enti che appoggiano il regime di Assad è vietato viaggiare, lasciare il Paese ed il congelamento dei beni.


Come ha dichiarato Bashar al-Assad nell’intervista effettuata da Monica Maggioni e poi trasmessa solo su RaiPlay (ma che tutti abbiamo potuto seguire on line grazie alla diffusione da parte del governo siriano, irato per la mancata messa in onda dalla rete di Stato italiana), ogni menzogna è stata scoperta (potete visionare il video completo sul canale youtube). Una intervista che volutamente non è stata mandata in onda perché il presidente legittimo della Siria fa affermazioni che fanno male, malissimo all’Occidente.


Come spesso accade in questo confuso momento della storia in cui la lettura delle relazioni internazionali riflette terminologie e inquadrature che nulla hanno a che vedere col presente, si rischia di perorare cause il cui obiettivo va in senso diametralmente opposte rispetto a quello che si vorrebbe ottenere.


Così chi afferma di stare dalla parte dei popoli che lottano per la libertà appoggia chi quei popoli li sta usando per occupare illegalmente il territorio sovrano di una nazione alleato del nemico numero uno (in questo caso Erdogan).


Quale che sia stata la spiegazione, tutto il marasma delle posizioni hanno dato vita a un ampissimo fronte internazionale contro Assad: dagli Usa alla Turchia, da Israele alla Nato, dall’Ue alle monarchie assolutiste arabe, appoggiate da chi per la natura delle convinzioni che professa dovrebbe posizionarsi da tutt’altra parte. L’incapacità di leggere il mondo attuale, coi cambiamenti in atto, con le nuove disposizioni del potere che determina un nuovo assetto di ordine, produce mostri di questo genere (che continua ad oggi, come abbiamo visto, senza soluzione di continuità).


La Siria è un Paese che ha vinto, contro mille nemici, contro il mondo. Ed è questo che non tollerano gli Usa che di rifitano di lasciare i territori occupati e distruggono i giacimenti che trovano per strada mano a mano che la guerra sta finendo col vantaggio dei siriani. È questo che non tollera chi pensava di fare affari d’oro e di creare un’altra Libia. È questo che non tollera quel mondo islamico estremista che non può permettere la vittoria di un modello laico di Islam. È questo che non tollera chi pensa di poter fare del Medio Oriente terra di spartizione tra Israele e Turchia.

 

Dal canto loro, i Paesi amici hanno offerto ognuno il proprio aiuto secondo la propria visione di relazioni politiche: la Russia è intervenuta militarmente secondo la pratica dell’intervento su invito (Assad è stato chiaro: si è definito, assieme alla Russia, che i Turchi devono al più presto lasciare il Paese, zittendo le voci di chi parlava di “accordi di spartizione” della Siria tra Russia e Turchia o di chi parla di frapposti imperialismi), così come l’Iran. La Cina, invece, in linea con la “politica di responsabilità” ha rilanciato la presenza della Siria dentro la nuova Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta, per quel che concerne la ricostruzione del Paese e il corridoio siriano come via commerciale verso l’Europa. Un rapporto win win questo, in quanto i cinesi ci guadagnerebbero sul tema economico e strategico e la Siria verrebbe ricostruita e attiverebbe un numero decisamente importante di posti di lavoro destinati ai rifugiati che stanno tornando a casa.


Nel momento esatto in cui stiamo scrivendo, a Idlib si combatte quello che è probabilmente lo scontro finale: l’esercito governativo, con l’ausilio della Russia, sta bombardando il territorio per tentare di prendere il controllo dell’autostrada che collega Damasco con Aleppo e mettere in fuga l’esercito dei terroristi jihadisti sostenuti dalla Turchia e da altri oppositori armati stranieri. Chi in questo momento, in Italia o altrove, chiede la “no fly zone” non si batte per la pacificazione ma aiuta la Turchia. Le prossime ore forse saranno decisive, o forse ci sarà da aspettare, ma è certo che il mondo sarà un altro dopo questa guerra.


Non sappiamo ancora come finirà la scaramuccia tra Trump e Erdogan: il presidente americano ha chiesto a quello turco di ritirarsi dalle zone “curde” della Siria, probabilmente a causa del grande disappunto che si è creato tra gli statunitensi sulle vicende in Siria. C’è chi ha addirittura ipotizzato una rottura in seno alla Nato talmente grave da portare la Turchia ad uscirne. Saranno i prossimi giorni a dirci come si evolveranno le vicende.


Intanto a Damasco si festeggia il Natale. Ed anche ad Aleppo.

I francescani raccontano delle luci in città, degli alberi addobbati per le strade, dei presepi dentro le chiese. Raccontano dei rappresentanti delle altre religioni che festeggiano insieme a loro, dei non cattolici che condividono questo clima di serenità ritrovata e di gioia, di voglia di riprendere le vecchie abitudini. In Siria, con al governo un partito di musulmani socialisti e laici, il Natale è festa nazionale.


In Siria stanno vincendo i siriani, stanno perdendo tutti gli altri.

 

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