Tra guerra e negoziati le cancellerie europee scelgono la guerra

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Tra guerra e negoziati le cancellerie europee scelgono la guerra


di Fabrizio Poggi per l'AntiDIplomatico

Riprendono oggi a Istanbul i colloqui russo-ucraini sul conflitto. In che clima, è facile prevedere, dopo gli avvenimenti degli ultimi due giorni, con gli attacchi terroristici ucraini a strutture civili e militari russe. A proposito di questi ultimi, vorremmo dire che, con eccessiva, a nostro parere, “delicatezza”, ColonelCassad parla di «negligenza pagata troppo cara», a proposito della relativa facilità con cui sono stati portati a termine gli attacchi ucraini (solo ucraini?!?) agli aeroporti di diverse regioni russe in cui è dislocata l'aviazione strategica di Mosca. Un tempo, con termine a nostro parere più appropriato, si sarebbe parlato di “negligenza criminale”, con teste che sarebbero saltate, non solo in senso figurato. Non dubitiamo che, anche in questo caso, vari responsabili saranno chiamati a rispondere, quantomeno con la posizione ricoperta. Ma, in ogni caso, rimangono aperte alcune questioni che, a nostro modesto parere di semplici osservatori (né militari, né politici) di quanto accade a “est del Dnepr”, rendono la faccenda della “Ragnatela” nazi-golpista imbastita, a quanto sostengono a Kiev, da diciotto mesi a questa parte, quantomeno ambigua, dal punto di vista dei possibili coinvolgimenti, interni e esteri, a dar man forte a SBU, GUR, MOU, ecc. 

Per quanto concerne i secondi, tralasciando per un momento il molto probabile contributo all'operazione da parte dei soliti “volenterosi” (volenterosi di arrivare alla guerra a ogni costo e con ogni prezzo da far pagare alle masse), basti citare la possibile implicazione di una repubblica ex sovietica quale il Kazakhstan: non solo quanto a vicinanza logistica all'area di Celjabinsk e al capannone affittato per nascondere il TIR carico di droni, quanto proprio alla sua insorta “inimicizia” nei confronti della Russia, di cui pure Mosca da tempo non fa mistero e che quindi dovrebbe quantomeno tenere sul chi va là i Servizi russi.   

Ci asteniamo qui dal prender parte alla gara per indovinare quali e quanti velivoli russi siano stati colpiti, danneggiati o distrutti e in quale percentuale rispetto al totale dell'aviazione strategica del paese e, dunque, di quanto possa risultare “indebolita” la capacità di deterrenza russa. Ovvie e scontate le vanterie naziste, riprese dai soliti fogliacci guerrafondai nostrani - è ormai inutile citare la o le testate: non cambiano mai - che sbandierano bellicosamente alcuni improvvidi titoli di blogger russi su una “Pearl Harbour” subita dal Cremlino, in seguito alle esternazioni di Zelenskij sulla «distruzione del 34% dei velivoli strategici, vettori di missili alati». Ma quale Pearl Harbour, sbotta il deputato della Duma Evgenij Popov, «perché questo panico?... Sì, è spiacevole. Sì, i colpevoli devono essere puniti. Ma non è una Pearl Harbor. La risposta al nemico: quella dovrà essere una Pearl Harbor».

Lo stesso rappresentante USA per l'Ucraina nella precedente amministrazione Trump, Kurt Volker, ha dichiarato a TWP World che, pur dando per buone le percentuali ucraine sui risultati degli attacchi, non se ne dovrebbero sopravvalutare gli effetti.

In ogni caso: sì «i colpevoli devono essere puniti»; e, se ci è permesso, tra i responsabili da dover punire dovrebbero esserci anche e soprattutto quei signori che, in patria, come minimo non hanno adempiuto al proprio dovere. La prima ed elementare domanda che si pone il solito semplice osservatore di cui sopra è: se il SBU nazista ha avuto a disposizione un anno e mezzo di tempo per mettere a punto e portare a termine l'operazione, di cosa si stavano occupando, nello stesso periodo, le varie agenzie (e sono molte, tra militari, di polizia e quant'altro) di intelligence del Cremlino? Interi diciotto mesi! Dove guardavano quei Servizi in quest'ultimo anno e mezzo? Tanto più che, come ricordano gli osservatori, un attacco del genere con droni era già stato portato, nel febbraio 2023, a Machulishchi, in Bielorussia, col danneggiamento di un A-50 d'allerta precoce russo. Dunque, in che direzione puntavano le loro “attenzioni di lavoro” funzionari e agenti dei Servizi di un paese che, per quanto, sul teatro ucraino, stia conducendo una limitata “Operazione militare speciale”, per ammissione della stragrande maggioranza dei suoi stessi esponenti politici, osservatori militari, politologi e via dicendo, si trova a fare i conti con una guerra ormai apertamente dichiarata dall'Occidente collettivo, in generale e dalla “coalizione dei volenterosi”, in particolare? Una guerra che quei “volenterosi” criminali non si preoccupano ormai più nemmeno di mascherare, come proclamano dalle parti di Londra, Berlino, Parigi, sostenendo platealmente che, comunque vada a finire con l'Ucraina, già altri fronti sono in preparazione, dal Baltico all'Asia centrale, per “ridurre alla ragione” il Cremlino? Ripetiamo: dal semplice punto di osservazione del cittadino comune, è pensabile che un settore così vitale del potenziale deterrente di un paese nucleare, quale l'aviazione strategica, veda velivoli di calibro decisivo “parcheggiati” a bella vista sulle piste di aerodromi che, per quanto distanti dalla linea del fronte oggi guerreggiata, sono comunque esposti alle “attenzioni” di altri soggetti, quelli sì, molto più decisivi sullo scacchiere planetario, di quanto non siano i SBU, GUR, MOU nazisti? Domande puerili, certo; ma ce le poniamo.

E tutto ciò – compresi gli attentati terroristici alle linee ferroviarie, con morti e feriti – alla vigilia del secondo round di colloqui a Istanbul, che si tiene oggi, con prospettive che, anche senza gli ultimi avvenimenti, già nei giorni scorsi non lasciavano presagire alcunché di positivo. È così che il politologo Pavel Danilin affermava domenica pomeriggio: «Se domani l'Ucraina non accetterà le condizioni del Memorandum russo e, evidentemente, non le accetterà, le condizioni successive saranno molto più dure. E per il mondo intero, alla vista del bombardiere strategico russo in fiamme, sarà chiaro perché queste condizioni saranno ancora più dure». In effetti, prima ancora di Kiev, sono le cancellerie europee che non hanno alcuna intenzione di permettere alla junta golpista di accettare alcunché.

Dunque, già in anticipo è abbastanza chiaro che varie condizioni, che la delegazione russa a Istanbul presumibilmente ribadirà, come una zona cuscinetto di almeno una trentina di km (distanza per artiglierie e droni) in prossimità dei confini e la fine dell'invio di armi occidentali a Kiev, non verranno accolte dai golpisti.

Vasilij Stojakin, su Ukraina.ru, scrive senza mezzi termini che Istanbul-2 somiglia a un teatro dell'assurdo: è ormai un luogo comune affermare che l'obiettivo dei colloqui di Istanbul sia convincere Trump che la controparte non vuole negoziare; «non c'è altra motivazione per i colloqui: entrambe le parti credono di poter ottenere di più. Ma anche in questo contesto, il nuovo round di colloqui sembra un vero e proprio teatro dell'assurdo». Sono ormai noti i punti chiave delle richieste russe, pur se non direttamente proclamati in un memorandum che Kiev avrebbe preteso pubblico ancor prima delle trattative: l'Ucraina  deve confermare lo status di paese non allineato e non nucleare; Kiev deve riconoscere i nuovi confini, ridurre gli effettivi militari e rinunciare alla armi offensive. Già in partenza, si sa che Kiev respingerà tutti questi punti: in ogni caso, la “coalizione volenterosa” che sta alle spalle della junta non le permetterebbe di accoglierli. E, comunque, quanto accaduto il 1 giugno, è lì a dimostrare che, sul Dnepr e a ovest di esso, non c'è alcuna intenzione di rendere effettivo il così tanto sbandierato “cessate il fuoco” che, si urla, sarebbe Mosca a non volere.

Come che sia, nota Viktorija Nikiforova su RIA Novosti, l'Europa non abbandona i tentativi di insinuarsi al tavolo dei negoziati, brandendo i “Taurus” tedeschi. I turchi, prudenti, chiedono agli europei di non intervenire nei negoziati: hanno già sabotato la prima Istanbul, ora non si può loro permettere di farlo di nuovo. Per parte loro, gli americani vogliono solo allontanarsi il più rapidamente e il più lontano possibile dal conflitto scatenato dalla precedente amministrazione. 

Ma l'aspetto forse più interessante è che il Comitato investigativo russo abbia rapidamente riclassificato l'attacco alle linee ferroviarie, da atto terroristico a “crollo spontaneo”. Certo, dice Nikiforova, è possibile che sia davvero così; anche l'ipotesi di un intervento dell'alta politica ha il proprio «diritto di esistere: un attacco terroristico contro civili avrebbe potuto benissimo mandare all'aria i negoziati a Istanbul. In questo modo, non ci sono motivi per annullarli, quantunque, appunto perciò, Kiev abbia significativamente rafforzato le proprie posizioni negoziali».

Più chiaro ed esplicito di tutti sembra essere il ministro britannico per la sicurezza Tom Tugendhat che a Odessa, al Forum per la sicurezza nel mar Nero, ha affermato chiaro e tondo che «abbiamo una scelta molto semplice in questi negoziati. Ci schiereremo per i paesi che difendono la libertà? O ci inchineremo a un dittatore il cui appetito cresce quanto più mangia? Sappiamo cosa succederà in questi negoziati. Niente di inaspettato... Sarà una farsa e una perdita di tempo. Ma dobbiamo farlo affinché tutti possano vedere che l'Ucraina ha fatto tutto il possibile. Per questo sostengo pienamente il Presidente Zelenskij nella sua partecipazione». In che modo? Semplice: sabotando le richieste chiave russe e appoggiando «tutti coloro che, come Merz e noi, stanno facendo il possibile per garantire che questi negoziati non portino al disarmo dell'Ucraina».

In questo clima, difficile attendersi qualche risultato che non sia la guerra.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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