Una resa incondizionata a un nemico (ormai) dichiarato

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Una resa incondizionata a un nemico (ormai) dichiarato



di Leonardo Sinigaglia

A prima vista potrebbe sembrare un trattato di pace siglato dopo la resa incondizionata di un paese a un suo nemico, ma si tratta in realtà dell’accordo imposto dal presidente Trump ai suoi “alleati” europei. Una vera e propria umiliazione che ha definitivamente archiviato qualsiasi surreale idea riguardo alla pretesa “autonomia” dell’Unione Europea e al suo essere qualcosa di diverso da un’entità al servizio degli Stati Uniti, la cui azione ed esistenza è possibile esclusivamente nei modi, nei tempi e negli spazi decisi da Washington.

Nonostante l’Europa abbia sacrificato la propria economia sull’altare della guerra per procura voluta dagli USA contro la Federazione Russa, abbia accettato di incrementare le provocazioni anti-cinesi e abbia aperto le porte alla penetrazione sempre più invasiva del capitale finanziario americano, l’Impero, nella sua arroganza sconfinata, ha ritenuto di dover esigere ancora tributi da parte dei suoi vassalli. Tariffe unilaterali del 15%, 600 miliardi di dollari di investimenti, 750 miliardi di dollari di energia e una “grande quantità” di armi: in cambio di tutto ciò l’Europa non otterrà nulla. Si tratta di un vero e proprio “trattato ineguale”, simile a quelli che le potenze occidentali imposero alla Cina nella seconda metà del XIX Secolo, a cui ora proprio i paesi europei sono costretti da quello che ci è stato presentato come il nostro più fedele e disinteressato alleato.

Se le promesse dovessero essere mantenute si tratterebbe di una vera e propria catastrofe per l’economia europea: non solo le esportazioni negli USA verrebbero fortemente danneggiate,  ma un volume mastodontico di capitali verrebbe indirizzato oltreoceano,  mentre la manifattura del continente, già fortemente provata, vedrebbe costi ancora più alti a fronti di ritorni sempre inferiori. In coerenza con la realtà oggettiva del sistema imperialista unipolare, gli Stati Uniti interagiscono con l’Europa sulla base di un rapporto squilibrato e parassitario. L’Occidente extra-statunitense ha potuto godere, a intermittenza, delle briciole che Washington aveva interesse cadessero dal suo tavolo, ma ora, con il proprio dominio in piena crisi, è il momento di tirare la cinghia e di utilizzare qualsiasi risorsa disponibile per tentare di sopravvivere.

Donald Trump ha bisogno di capitali per tentare di mettere in campo disperatamente quella reindustrializzazione senza la quale qualsiasi prospettiva di riuscire a resistere in uno scontro con Cina e Russia  sarebbe semplicemente ridicola. Biden, resosi conto della crisi, aveva iniziato con l'Inflation Reduction Act e il Chips Act a tentare di strappare capitali agli “alleati” di Germania e Taiwan, ma le crescenti necessità belliche hanno spinto Trump ad accelerare, usando una tattica terroristica per imporre ai vassalli pesanti tributi imperiali. La politica commerciale è stato lo strumento col quale costringere gli altri paesi ad accettare rapporti economici talmente sbilanciati da non permettere nessuna mistificazione riguardo alla loro vera natura coloniale.

A difendere l’operato della von der Leyen vi sono solo le forze del centrodestra italiano, interessate a non scontentare Trump e a sostenere il valore della “mediazione” operata da Giorgia Meloni. Una posizione indifendibile che batte per indegnità persino figure come Renzi e Calenda, che hanno apertamente parlato di “capitolazione” dell’Europa. Si tratta però di voci sterili: se l’Europa esistesse veramente come entità autonoma, capace di scelte indipendenti, avrebbe sfruttato l’occasione per porre termine alla politica suicida di conflitto ad oltranza con la Russia e la Cina, unendosi anzi ad esse per contrapporsi agli Stati Uniti. Ma l’Europa non potrà mai muoversi in tal senso, perché essa è strutturalmente orientata al soddisfacimento degli interessi statunitensi. I federalisti europei, anche quelli in buona fede, che in queste ore berciano contro i “sovranisti”, contro chi ha “indebolito l’Europa” dovrebbero guardarsi allo specchio per trovare il vero colpevole: promuovendo gli interessi occidentali, essi hanno tradito quelli dei paesi del continente; nel nome dell’unità europea, essi hanno sancito la totale sottomissione dell’Europa al giogo americano.

Il vergognoso epilogo delle “trattative” tra Washington e Bruxelles certifica il fallimento del “sogno europeo” per come è stato tratteggiato dai suoi sostenitori. E’ evidente che non possa esserci futuro, che non possa esserci vita in Occidente. L’Italia non è chiamata a scegliere tra “contare nel mondo” come parte dell’Europa o l’irrilevanza alla quale la condannerebbe il “sovranismo”, ma tra esistere fuori dall’Occidente o incancrenirsi fino alla morte all’interno di esso.

Leonardo Sinigaglia

Leonardo Sinigaglia

Nato a Genova il 24 maggio 1999, si è laureato in Storia all'università della stessa città nel 2022. Militante politico, ha partecipato e collaborato a numerose iniziative sia a livello cittadino che nazionale.

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