Venezuela, la "libertà" che piace ai Chicago boys

Venezuela, la "libertà" che piace ai Chicago boys

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di Geraldina Colotti

Dopo il premio Sacharov alla libertà di opinione concesso dal Parlamento europeo a nazisti e golpisti venezuelani. Dopo l’abbraccio di Michelle Bachelet a Lorent Saleh, ammiratore di Hitler trasformato in “voce libera contro la dittatura madurista”, ecco arrivare un’altra perla: il Premio alla Libertà 2019 a Maria Corina Machado, del partito Vente Venezuela.

Forse non tutti, in Europa, conoscono il profilo di questa signora dell’estrema destra venezuelana, che si è ben meritata l’epiteto di “Maria violenza” per la sua inveterata inclinazione al golpismo. Forse non tutti ricordano il suo coinvolgimento nei principali piani destabilizzanti organizzati contro il socialismo bolivariano, sia con Chavez in vita – quando Machado dirigeva l’organizzazione Sumate -, sia poi con Maduro.

In questi ultimi vent’anni, la ex deputata filo-atlantista (che sempre si compiace per la foto scattata all’epoca insieme a George W. Bush) le ha provate davvero tutte, forzando le istituzioni bolivariane da ogni lato: sia all’interno, mettendosi a più riprese alla testa delle violenze mercenarie (le guarimbas), sia all’estero, cercando di ritagliarsi un ruolo contro gli interessi del proprio paese. Nel 2014, le è stata tolta l’immunità parlamentare per aver accettato di essere la “rappresentante alterna” di Panama all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).

Cominciava allora a dispiegarsi l’attacco multiforme al Venezuela bolivariano seguito alla morte di Chavez, che ha avuto come uno dei principali campi di battaglia il piano internazionale. Mediante l’espulsione del Venezuela dagli organismi multilaterali, si stavano mettendo le basi per la farsa del “governo parallelo”, avallato da istituzioni artificiali costruite ad hoc, e che avrebbe portato quest’anno all’”autoproclamazione” di Juan Guaidó.

A suo modo, Machado è stata un’avanguardia in tutti i piani tentati in vent’anni da Washington contro il socialismo bolivariano: dal golpe aperto a quello mascherato, dai tentativi di impiantare le “rivoluzioni di colore” a quello di inventare un “modello siriano” imponendo un governo parallelo. In tutti questi casi, l’ansia manifesta di Machado di poter in qualche modo dirigere tutte le operazioni, è sempre stata frustrata dai suoi stessi padrini e dalle altre frazioni della destra, per nulla disposte a far spazio. Questo, però, non vuol dire che la signora non goda di solidi appoggi economici, dentro e fuori il paese.

Il Premio alla Libertà 2019 si chiama LIL Freedom Prize e le verrà consegnato a Buenos Aires durante il 15° anniversario della Relial Red, la Red Liberal de America Latina, che lo definisce il “maggior premio in Diritti Umani”. La premiazione di Machado è dovuta ai “suoi sforzi dedicati durante molti anni per portare la democrazia in Venezuela, nonostante i rischi che questo ha comportato”. La foto che accompagna l’annuncio non lascia dubbi su quali siano i metodi perseguiti dalla ex deputata per “portare la democrazia” in Venezuela. La si vede emergere da fumo e fiamme con la maglietta di Vente Venezuela, attorniata da incappucciati che lanciano ordigni incendiari durante le guarimbas del 2014 (39 morti e oltre 800 feriti, quasi tutti nel campo chavista) e in quelle del 2017 (oltre 100 morti e più di 1.000 feriti, ancora una volta prevalentemente tra i chavisti).

Il sito della Relial Red non lascia d’altronde alcun dubbio su quale sia la nozione di “libertà” e diritti umani che diffonde questa agguerrita rete internazionale, creata nel 2004 “con l’appoggio della Fondazione Friedrich Naumann per la Libertà in America Latina”, e sponsorizzata da agenzie affiliate alla Cia come la NED. Al centro del sito, campeggia infatti la frase di Milton Friedman: “La libertà economica è un requisito essenziale della libertà politica”.
Vale ricordare che Friedman, teorico del liberismo ferocemente contrario a qualunque intervento dello Stato in economia, ha ispirato a suo tempo le politiche di Margareth Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli Stati Uniti, ed ha avuto una influenza determinante nelle devastanti scelte economiche imposte al Cile durante la dittatura di Pinochet. Per questo veniva chiamato “l’anti-Keynes”. E’ stato professore emerito di economia presso l’università di Chicago dal 1946 al 1976, anno in cui ha ricevuto il Nobel.

I suoi allievi, definiti per questo “Chicago boys”, hanno guidato passo per passo l’attuazione delle riforme pinochettiste. E lo stesso Friedman ha personalmente accompagnato quel piano rispondendo a una lettera del dittatore cileno nel 1975, e poi andandolo a incontrare a Santiago.

Friedman è considerato il fondatore del pensiero monetarista, e le teorie della “scuola di Chicago” continuano a essere insegnate anche nelle università venezuelane, e persino a influenzare le politiche monetarie, il cui principale obiettivo – com’è noto - è la stabilità dei prezzi. Risulta quindi ancora utile rivedere il filmato dello scontro verbale tra Machado e Hugo Chavez, avvenuto in parlamento nel 2012.

Uno scontro a proposito delle nazionalizzazioni, degli espropri, della proprietà statale e di quella privata. La deputata aveva peraltro chiaramente espresso allora la sua idea di “libertà”: la libertà del capitalismo di razziare senza freni le
risorse del paese, comprimendo al massimo la forza lavoro. Chavez le aveva risposto a tono, accettando il confronto, ma premettendo che “aquila non caccia mosca”. Il ronzio di quelle mosche è però aumentato negli anni, amplificato dai megafoni dei potentati economici a livello internazionale, e supportato anche dalle quinte colonne che si sono incuneate nel “laboratorio bolivariano” per sabotarne dall’interno il cammino.

Un ronzio trasformato in boato 2.0 da una guerra mediatica tesa a capovolgere i termini del conflitto a proprio vantaggio. Oggi che a produrre “contenuti” sono anche le reti sociali, vengono perciò diffuse notizie grottesche come quella secondo la quale “Guaidó ha autorizzato l’uso dei droni militari alla frontiera colombo-venezuelana”. E con quale autorità avrebbe potuto farlo?

Una bufala, evidentemente, ma intanto la menzogna si diffonde, intanto il denaro rubato al popolo venezuelano defluisce nelle tasche dei ladroni: che promettono agli USA altro bottino, com’è filtrato dalle conversazioni telefoniche della finta ambasciatrice in Gran Bretagna nominata dall’”autoproclamato” a proposito della svendita dell’Esequibo. Ma ecco che, dalla Colombia, arriva la dichiarazione di Julio Borges, altra pedina sporca del “governo di transizione”: Maduro – dice – ha già venduto le acque territoriali contese tra Venezuela e Guyana… ai cubani.

Poi, per mantenere alta la finzione, si dà spazio alla notizia secondo la quale l’autoproclamato si recherebbe a New York per partecipare al foro Concordia, previsto il 23 e 24 settembre, insieme ad altri esponenti del partito Voluntad Popular. Un incontro organizzato per pesare sull’Assemblea Generale dell’Onu, a cui dovrebbe partecipare il presidente Maduro, il 26 settembre. L’anno scorso, Maduro aveva pronunciato una dura requisitoria contro l’imperialismo USA e i suoi vassalli, che ripropongono una truffa semplice ma ben sostenuta: quella che la libertà senza freni del capitalismo porterebbe anche la libertà per tutti. Affermazioni smentite dal numero sempre crescente degli esclusi nei paesi governati dalla democrazia borghese. Affermazioni che la rivoluzione bolivariana cerca di smontare ogni giorno, costruendo un indirizzo diverso da quello ancora vigente nel Cile di Sebastian Piñera, e nell’Argentina di Mauricio Macri, dove Machado riceverà il “premio alla libertà”.
 

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