Dal Medio Oriente all'Ucraina: tregua fragile e nessuna pace in vista
di Alex Marsaglia*
PARTE I - Il Medioriente: la fragile tregua in un contesto di assalto imperialista.
La Terza Guerra Mondiale a pezzi, nella fortunata espressione coniata da Papa Francesco, sembrava essersi palesata nella sua unità totalizzante con l’unione di più fronti nella notte del 13 Giugno, in seguito all'offensiva israeliana condotta con massicci attacchi aerei a sorpresa contro le infrastrutture nucleari, basi militari e aree residenziali nel territorio iraniano. La notte seguente l’Iran, dopo aver raccolto la solidarietà di Russia, Cina e del Sud Globale rispondeva con pesanti bombardamenti su tutto il territorio israeliano. Lo scambio di colpi è continuato fino all’escalation di domenica 22 Giugno quando Trump ha ordinato il bombardamento diretto dei siti nucleari di Fodrow, Natanz e Isfahan avvenuto con bombardieri B-2 decollati direttamente dal suolo americano. Il giorno seguente è arrivata una risposta, molto telefonata, da parte dell’Iran sulle basi americane nel Golfo e infine il 24 Giugno la tregua, che per il momento sembra reggere, anche se in modo molto precario. Alberto Negri da esperto dei conflitti internazionali e di Medio Oriente ha spiegato magistralmente qui (https://youtu.be/SVaMpNsP5qQ?si=uygoK9C6jHz1wVUO) come il bellicismo sfrenato di Netanyahu non si arresterà di certo ora che ha trovato in Trump una sponda importante. Soprattutto considerando che l’ideologia sionista è sostanzialmente imperniata da una potente spinta colonizzatrice, come spiegava magistralmente Edward Said: “(il sionismo) non si definì mai chiaramente come un movimento di liberazione ebraico ma, piuttosto, come un movimento ebraico per la colonizzazione dell’Oriente”[1]. Dall’altra parte, troviamo un Iran che ha annunciato la propria vittoria e che aveva già dato nell’ultimo anno dimostrazioni di forza, arrivando a colpire il territorio israeliano più volte in seguito agli attacchi subiti alle ambasciate e da Hezbollah. Bisogna anche considerare che il motivo di fondo che muove la Repubblica iraniana continua ad essere una spinta anticolonialista e antimperialista, come aveva già notato a suo tempo Foucault che, come inviato del Corriere della Sera, analizzava la rivoluzione khomeinista descrivendola come una mobilitazione di massa non violenta, radicata in un sentimento condiviso trascendente e anti-modernista contrario al potere colonialista e coercitivo dello Scià di Persia. A tal proposito, non è casuale che l’attuale erede dello Scià, Reza Pahlavi, proprio nei giorni dell’attacco di Israele alla Repubblica islamica si sia dichiarato più volte a favore del Regime Change, mettendosi “a disposizione”. La domanda fondamentale da porsi in questo caso è: a disposizione di chi? Occorre avere ben chiara la netta distinzione che passa tra restaurazione e rivoluzione che è centrale per capire la dinamica regressiva che si sarebbe instaurata nel caso di riuscita della spallata alla Repubblica da parte di Israele. Infatti, sarebbe tornato un erede al trono della dinastia Pahlavi, cioè un monarca che avrebbe governato per diritto divino abolendo il sistema partitico, facendosi promotore della classica linea della restaurazione. Difficile sostenere che una simile evoluzione sarebbe andata a favore del popolo iraniano. Piuttosto le potenze occidentali e israeliane che hanno mosso le fila dell’attacco alla Repubblica islamica, muovendo cellule dormienti all’interno per decapitare i vertici politici, ne avrebbero giovato. Insomma, si sarebbe trattato dell’ennesimo tentativo, visto innumerevoli volte negli ultimi anni, di rovesciamento di un governo eletto da parte di potenze straniere.
Occorre infine capire quali sono gli interessi che hanno mosso l’Occidente, guidato come al solito dagli Stati Uniti, in questo attacco. Ebbene, in primo luogo troviamo la fondamentale importanza della Repubblica iraniana come perno dell’allargamento dei BRICS in Medio Oriente. Tale espansione ha preso il largo proprio in seguito al Vertice di Kazan del 22 - 24 ottobre 2024 a cui hanno partecipato per la prima volta i membri dei BRICS+, con Iran ed Emirati Arabi quali stati membri a tutti gli effetti. È evidente che un allargamento egemonico del Sud Globale, stretto nell’alleanza dei BRICS, alle potenze del Golfo Persico avrebbe minato alle fondamenta il potere imperialista degli Stati Uniti. Infatti, verrebbe intaccato il petrodollaro che è la vera base su cui poggia il castello di carta degli Stati Uniti come potenza imperialista nella sua fase decadente. Una spallata a questo vorrebbe dire avviare definitivamente verso il viale del tramonto l’imperialismo americano, che già ha perso il suo dominio unipolare.
In secondo luogo, occorre ricordare che lo scorso autunno il blocco imperialista e colonialista si è mosso attivamente completando l’opera nell’altra Repubblica Araba del Medio Oriente, quella sorta anche qui in seguito alla Rivoluzione anticolonialista del Partito baathista in Siria, figlia della rivoluzione per l’indipendenza e la sovranità nazionale che mosse Nasser in tutta l’area a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Ebbene, anche in questo caso, come molti di voi ricorderanno, questa rivoluzione è stata affossata dopo un lungo lavorio di restaurazione da parte delle potenze colonialiste occidentali iniziato nel 2011 con le Primavere arabe (quelle che hanno portato all’assassinio di Gheddaf e allo smembramento della Libia) ed è culminata proprio con la spallata al Governo Assad lo scorso novembre 2024 da parte delle brigate del fondamentalismo islamico foraggiate dagli stessi colonialisti. Il Regime Change è stato così portato a termine dopo 13 lunghi anni di agonia per la Repubblica Araba di Siria. E il cambio di regime in Siria è in continuità diretta con l’aggressione barbarica all’Iran nel tentativo di far cadere il suo governo legittimo. Queste sono le vittorie dell’asse imperialista e colonialista degli scorsi mesi, la cui testa d’ariete è stata Israele, che in seguito alla caduta di Assad si è impossessata delle alture del Golan. È quindi importante capire qual è il retroterra che ha portato all’assalto israeliano del 13 Giugno alla Repubblica iraniana per capire dove siamo diretti. Ed è altrettanto fondamentale capire che c’è continuità tra quanto accaduto in Libano con la decapitazione di Hezbollah, in Siria con la storica fine del movimento baathista e il fallito tentativo (per ora) di abbattere la rivoluzione islamica in Iran. Se non si coglie questo aspetto non si riesce a capire il movimento della Storia nell’area e si è quindi messi totalmente fuori prospettiva quando si approccia all’attuale quadro mediorientale.
PARTE II - La NATO e l’UE come teste d’ariete verso la Russia.
Se fin qui abbiamo visto perché il Medio Oriente viva una condizione fortemente precaria, in cui si può parlare di tregua, ma solo all’interno di un preciso contesto di assalto imperialista e colonialista alle potenze emergenti del Sud Globale che stanno trovando forza nell’unione dei BRICS, scardinando l’egemonia Occidentale nell’area fondamentale per il potere economico-monetario del Golfo Persico. Occorre ora spostare l’attenzione al quadro dell’Est Europa, per comprendere come non vi sia alcuna Pace in vista, anzi. Il defilarsi isolazionista americano dal fronte ucraino, definito da Trump, ha portato l’Unione Europea a entrare come principale finanziatore di questo fronte della Terza Guerra Mondiale a pezzi.
Stiamo assistendo precisamente a questo con il venir meno dei fondi statunitensi che per lungo tempo hanno sostenuto e ricostruito l’esercito ucraino distrutto dai lunghi anni di guerra, iniziata nel Donbass nella primavera 2014.
Il grafico in questione riporta proprio come le fonti di finanziamento stiano venendo rapidamente dirottate a carico dell’Unione Europea che, sotto la Presidenza americana di Trump, dovrà sobbarcarsi il fardello del fronte ucraino. Il Presidente americano ha più volte chiarito che trattandosi di una questione europea, se ne sarebbero dovuti occupare gli stati appartenenti all’Unione, concepita come testa di ariete su questo lato della scacchiera esattamente come Israele lo è per il lato mediorientale. Stiamo quindi chiaramente parlando di una potenza egemonica, quella statunitense, in aperta fase di decadenza, che delega ai propri quisling la gestione e il finanziamento dei tanti fronti aperti. Che ne resta dunque del vecchio assetto unipolare uscito dalla Seconda Guerra Mondiale? Poco, se come abbiamo colto persino il Ministro Crosetto si lascia scappare parole di verità sull’inutilità della NATO: “Una volta USA ed Europa erano il centro, ora c’è tutto il resto con cui va costruito un rapporto”. E infatti, quello che sta divenendo sempre più un carrozzone inutile, viene lasciato al finanziamento dei quisling. Questa è la linea politica di Trump che è sempre stato molto chiaro sulla volontà di delegare la gestione di determinate strutture, ormai desuete, riducendo inutili voci di spesa dal bilancio americano sempre più in affanno. E il vertice NATO dell’Aia conclusosi il 25 Giugno ha sostanzialmente approvato tale ordine degli Stati Uniti, portando per i Paesi membri la spesa annua per la Difesa militare al 5% entro il 2035. Tale onerosissimo ordine è stato fatto eseguire ai quisling con la minaccia dell’abbandono diretto dell’Alleanza da parte degli Stati Uniti che avrebbero fatto da sé. Questa è la diplomazia del capo verso i suoi servi: esegui per il tozzo di pane o muori di fame. I tempi sono quelli della carestia insomma. E in effetti i conti per i Paesi membri sono presto fatti e le sforbiciate che dovranno infliggere allo stato sociale per sostenere tali spese militari sono rilevantissime, considerando soprattutto che ai quisling è stata tolta la sovranità monetaria e quindi non hanno leve di manovra in ambito di politica economica. Il dato di fondo ben più grave che è passato tuttavia è che la guerra alla Russia è un obiettivo di lungo periodo, da mettere a bilancio di previsione e da sostenere con fondi crescenti spolpando le economie dei membri NATO fino all’osso. Le parole di Rutte sembrano ormai quelle del generale Cadorna “Siamo pronti a soffrire e morire insieme”, ha intimato lo scorso 24 Giugno ai membri del vertice. Insomma, un’alleanza ormai basata unicamente sui sacrifici è destinata alla rotta, tanto più se si considera che non ha ottenuto vittorie nemmeno negli anni scorsi.
Poco importa tuttavia la vittoria alle popolazioni che sotto questi governi dovranno patire, ciò che importa è che la Pace non arriverà finché non ci sarà un cambio politico. E ciò che conta per l’imperialismo americano in fase decadente per il momento è che questi quisling restino saldi al potere per pagare le spese e incassare le ondate di scontento politico, poi si vedrà.
[1] E.W. Said, La questione palestinese, Il Saggiatore, Milano, 2011, p. 117
*Nato a Torino il 2 maggio 1989, assiste impotente per evidenti motivi anagrafici al crollo del Muro di Berlino. Laureato in Scienze politiche con una tesi sulla rivista Rinascita e sulla via italiana al socialismo e si specializza in Scienze del Governo con una tesi sulle nuove teorie dell’imperialismo discussa con il prof. Angelo d’Orsi. Collabora per un breve periodo alla rivista Historia Magistra. Idealmente vicino al marxismo e al gramscianesimo. Per una risposta sovranista, antimperialista e anticolonialista in Italia e nel mondo intero.