I futuri scenari bellici e la rinascita dei Pacifinti

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I futuri scenari bellici e la rinascita dei Pacifinti

 

di Federico Giusti

Un anno fa Santoro provò a utilizzare, con i soliti opportunismi viste le dichiarazioni poi rese sulla Nato, il tema della pace come argomento principe della campagna elettorale, la risposta fu assai deludente, una percentuale irrisoria a conferma che da 30 anni a questa parte gran parte di noi si è abituata alla normalità della guerra.

Per analizzare gli scenari futuri dovremmo studiare non solo i documenti ufficiali ma anche ascoltare le parole espresse nella Commissione Difesa del Senato. Autocelebrazioni o ricette ideologiche di qualunque provenienza siano non servono ma perfino le segnalazioni sulla presenza effettiva del militarismo finiscono con l’infrangersi in un muro, la normalità della guerra è ormai passata e dovremmo evitare che anche l’economia di guerra diventi una scelta obbligata.

Sentire frasi del tipo “il rifiuto della guerra parte da noi” conferma la natura ideologica ed individuale di un approccio parziale ed errato che mette davanti all’analisi economica e oggettiva della realtà i nostri pur giusti desiderata. E dietro a ordini del giorno presentati nei Comuni e destinati a confondersi con atti per intitolare le strade a qualche gloria ufficiale, dietro alle sante alleanze si consuma il fallimento del pacifismo nostrano e di quel variegato mondo che invoca alleanze vaste poi spendibili anche in campo elettorale. Ma la esperienza di Santoro dovrebbe avere insegnato che non basta parlare di pace per ricevere consensi soprattutto se da decenni partecipi a svariate guerre, se il sindacato non ha mosso un dito per la riconversione delle produzioni da militari a civili, se pensi di difendere l’occupazione anche costruendo armi.

Limiti macroscopici del pacifismo nostrano, autoreferenzialità di alcuni movimenti che non vanno oltre l’obiettivo locale, assenza di una lettura critica degli scenari Nato e Ue, per questo si ignorano documenti strategici come la Bussola europea.

Siamo davanti alle solite marcette riproposte come forma di lotta contro la guerra, silenzio assoluto invece attorno alla manovra di Bilancio europeo, alle prime avvisaglie di quella italiana, ci si inventa nemici fittizi per non fare i conti con quelli reali. E da qui la tendenza ormai cronica a non leggere i documenti ufficiali altrimenti sapremmo dell‘aumento dei militari in ogni forza armata, del progetto di una riserva da cui attingere e analoga a quella realizzata in Israele, della richiesta di maggiori investimenti in campo tecnologico e infrastrutturale in sintonia con i piani regionali della NATO e al nuovo Piano Militare di Difesa Nazionale. E sapremmo anche quanto importante sia la difesa dell’ambiente se ogni base militare di nuova costruzione presenta ampio ricorso alle energie rinnovabili, a nessuno viene in mente di contestare questo ecologismo da giardinaggio spiegando i dati dell’inquinamento derivanti dalle guerre.

Le nuove linee guida operative in materia di difesa sono da tempo oggetto di discussione ma seguono intanto direttive già note che vanno dall’ammodernamento complessivo degli strumenti bellici e delle infrastrutture fino alle tecnologie per rispondere alle minacce ipersoniche, spaziali e cibernetiche, dalla attenzione verso le aree strategiche (ad esempio l’Africa) fino all’utilizzo di tecnologia quantistica e intelligenza artificiale e a tale scopo urge in tempi rapidi uno specifico reclutamento di figure altamente specializzate che operino in ambito duale, civile e militare e ad alto valore scientifico.

E intanto le infrastrutture militari sono confuse con quelle civili al pari dei processi di innovazione tecnologica, si parla di nuove basi militari rispettose dell’ambiente e questa veste ecologista del riarmo dovrebbe essere attenzionata come i principi guida del Ministero ossia prontezza, reattività e capacità decisionale in tempi ridotti.

E i sindacati oggi in piazza contro il riarmo dovrebbero qualche parola spenderla sul sistema di carriere e livelli retributivi in deroga alle norme che regolano il personale statale, favorire nuove assunzioni di militari, accordare paghe decisamente maggiori rispetto agli altri dipendenti pubblici, costruire per i militari un welfare allargato e magari prevedere maggiori sconti sugli anni contributivi a fini previdenziale al fine di mandare in pensione prima dei 60 anni (ma con il massimo dell’assegno) e procedere con assunzioni di nuovi professionisti della guerra.

 E quanto maggiore sarà il richiamo alla sicurezza tanto più agevolato sarà il compito dei Governanti nel giustificare trattamenti di miglior favore alle forze armate creando quel giusto mix tra paura, rassegnazione e una sorta di senso del dovere che spinge da tempo gli italiani a perdere ogni valutazione critica dell’esistente, a fidarsi ciecamente delle narrazioni ufficiali e governative salvo poi sbraitare dai social.

Sarebbe invece utile riflettere su quante strade potremmo rifare o quanti ospedali riaprire solo con i fondi destinati al “ringiovanimento dei ranghi” e alla “valorizzazione delle competenze”, sul perché da 30 anni i sindacati confederali non abbiano speso una parola sulla riconversione delle imprese di armi che presto si presenterà come soluzione a tutela della occupazione

La domanda senza risposta è cosa intendiamo fare davanti a un esponenziale aumento delle spese militari, alla sempre maggiore confusione alimentata tra tecnologie duali e civili, alla prossima manovra di Bilancio, davanti a Riarmo e riconversione dell’economia a fini di guerra.

Ma invece di rispondere alle domande tanto scomode quanto indispensabili, meglio prepararsi alla ennesima Perugia Assisi, una marcia non violenta davanti alla violenza sistematica della guerra e del militarismo mette tutti d’accordo, dagli antagonisti al centro sinistra. E nel nome della pace si possono anche giudicare inutili i dubbi sul ruolo della Nato, sui processi autoritari in atto nella società, una santa alleanza pacifista da spendere domani a fini elettorali. Perché alla fine chi il potere non lo ha non smette di agognarlo per andare poi ad assumere decisioni analoghe a quelle degli avversari politici e prova ne sia la sudditanza del centro sinistra alla Nato, alla economia di guerra e alla cultura militarista che imperversa nelle scuole di ogni ordine e grado.

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