Israele: come ripulirsi l’immagine sporcando quella degli altri

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Israele: come ripulirsi l’immagine sporcando quella degli altri


di Luca Busca

Recentemente ho fatto un post su Facebook in merito ai deliri di Fratoianni, il Giuda non pentito che ha tradito Mohammad Hannoun, disconoscendolo e consegnandolo alla “giustizia” mediatica come finanziatore di Hamas e del terrorismo. Tra non ricordo e altre spericolate arrampicate sugli specchi il vice portavoce di AVS, ha negato la lunga collaborazione con uno dei più importanti referenti del popolo palestinese in Italia. Come l’ultimo degli sprovveduti è caduto nella trappola della propaganda nazi-sionista, che pretende di fare di Hannoun e di tutta la solidarietà italiana al popolo palestinese il capro espiatorio su cui fondare il recupero di immagine dello Stato criminale di Israele.
Il mio post ha suscitato un putiferio di reazioni: ho dovuto bloccare un paio di nazi-sionisti e ho ricevuto minacce tra le più assurde: “ti segnalo”; “faccio vedere il post ad AVS a cui sono iscritto”; “ti devi vergognare”; “queste stronzate non si possono sentire” (anche se erano scritte); etc. etc. Quello che mi ha colpito di più sono state le reazioni indignate all’interno del gruppo “Comitato cittadini attivi e democratici in difesa della Costituzione”: “così fate del male ai palestinesi ...”; “Hamas è uno strumento di Netanyahu”; “Hamas è un gruppo terrorista responsabile del 7 ottobre”; “la violenza di Hamas va condannata come quella di Israele”; “i Gazawi sono i primi a non sopportare Hamas”. Fa impressione il livello di ignoranza di persone che si proclamano a favore del popolo palestinese, di Sinistra, difensori dei Diritti e della Costituzione e, immagino, del Diritto Internazionale.

Mi sembra il caso, quindi, di riepilogare i fatti di questi giorni e, soprattutto, recuperare un po’ di nozioni in materia di Diritto Internazionale. In primo luogo Mohammad Hannoun è un cittadino palestinese, con cittadinanza giordana, è nato nel 1962 e vive in Italia, a Genova, dal 1983. È laureato in architettura e nel 1993 fonda l’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (Abspp), con la quale raccoglie fondi da destinare alla sopravvivenza del popolo palestinese, vessato dai soprusi israeliani. Per ovvie ragioni non è ben visto dalla lobby nazi-sionista che da anni lo perseguita spiandolo e indagando sui suoi movimenti fisici e finanziari.

Nel frattempo a livello mondiale l’immagine di Israele è tracollata come mai prima d’ora. Il genocidio, che continua imperterrito a Gaza, e la pulizia etnica in atto in Cisgiordania con l’ulteriore ampliamento dell’occupazione di territori palestinesi, ha indotto anche l’opinione pubblica italiana, generalmente sonnolenta, a indignarsi per il massacro di bambini mediante violenza e fame praticato dallo Stato criminale di Israele. Per far fronte al problema la lobby nazi-sionista italo-israeliana ha attuato la solita strategia della “distrazione delle responsabilità”. La colpa dell’accaduto deve ricadere sui palestinesi, è stato Hamas con l’attacco del 7 ottobre 2023, ad avviare il “conflitto”. Hamas è un’associazione terroristica pericolosissima che ha cellule (chissà se attive o dormienti?) anche in Italia.

Come capro espiatorio, viene individuato il personaggio più in vista della comunità palestinese e il più idoneo per screditare l’intero il movimento  solidarietà e, di conseguenza, di protesta che si è costituito a fatica in Italia. Per realizzare il piano, sembra che la Procura si sia fatta aiutare per raccogliere ulteriori prove in Palestina. Qui sarebbero intervenuti i più efficienti Servizi Segreti del mondo, quel Mossad che ha lavorato sotto copertura per tre anni pur di rifilare cellulari e cercapersone esplosivi ai leader di Hamas. Lo stesso che, però, non ha saputo prevedere il 7 ottobre e ha lasciato sguarnita la linea di confine tra Gaza e Israele da cui partì l’attacco. Misteri dell’efficienza a intermittenza!

“Una grande parte dei «gravi indizi di colpevolezza» nei confronti degli indagati è, infatti, costituita da documentazione trasmessa dallo Stato di Israele «tramite i canali della cooperazione». Non, dunque, dall’autorità giudiziaria israeliana all’esito di rogatorie internazionali e con il rispetto di tutte le garanzie procedurali. Bensì, dall’esercito israeliano (Idf) «nel corso di operazioni militari»: l’operazione «Scudo difensivo» del 2002 e quelle che, dopo l’attentato del 7 ottobre 2023, hanno raso al suolo Gaza.”

(Fonte ilmanifesto.it/quei-gravi-indizi-raccolti-senza-garanzie)

Queste prove inoppugnabili sono essenzialmente foto, probabilmente relative a incontri tra Hannoun e altri attivisti palestinesi; dichiarazioni pubbliche del capro espiatorio; intercettazioni telefoniche. Di particolare rilievo secondo l’accusa gli incontri con Ismail Haniyeh, leader di Hamas assassinato da Israele nel luglio del 2024. Cioè, rilevante non è l’omicidio ma gli incontri con Hannoun. Tra le telefonate la più riportata dalla stampa filosionista è stata quella in cui Hannoun avrebbe dichiarato: “Noi ci sacrifichiamo con i soldi, loro ci mettono il sangue”. Situazione che riguarda oltre duecentomila palestinesi di Gaza.


In sostanza il castello accusatorio si fonda sul fatto che “fossero tutti consapevoli della destinazione reale delle raccolte dei fondi. Soldi che finivano anche «alle esigenze operative dell’ala militare», al sostegno «delle famiglie dei martiri, dei feriti e dei prigionieri».”

(Fonte l’incommensurabile, irraggiungibile www.open.online-inchiesta-finanziamenti-hamas-hannoun-intercettazioni).

Questo procedimento in sostanza si basa sulla criminalizzazione di Hamas. Si dà per scontato che Hamas sia un’organizzazione terroristica, priva di alcun riconoscimento politico e giuridico.

Se a livello mediatico lo stigma della propaganda nazi-sionista ha sicuramente un valore enorme, risulta difficile capire come un preconcetto possa aver valore a livello giuridico. Hamas nasce nel 1987, sotto la pressione della Prima intifada, come ramo politico palestinese dei Fratelli Musulmani. Raccolse sempre maggiori consensi grazie alle attività di sostegno sociale della popolazione vessata da Israele, al radicamento sul territorio e alla lotta alla corruzione che pervadeva l’Autorità Nazionale Palestinese guidata, fino al 2005, dall’altra forza politica palestinese, Fatah di Mahmud Abbas, in arte Abu Mazen. Nel 2006 i palestinesi scelsero a grande maggioranza di essere rappresentati dalla forza politica che consideravano più idonea ad affrontare le costanti violazioni del Diritto internazionale dello Stato criminale di Israele. Con un’affluenza del 75%, Hamas si aggiudicò 74 seggi su 132, mentre Fatah si fermò a 45.

Da allora Israele, con la complicità di Fatah, ha impedito ad Hamas di prendere il controllo politico della Cisgiordania, dividendo lo Stato Palestinese in due: Gaza sotto il controllo, legittimo, di Hamas; sotto la finta amministrazione di Fatah la Cisgiordania ha continuato a subire la costante espansione della colonizzazione israeliana. Va notato che, a oggi, Hamas non è mai stata condannata da tribunali internazionali come la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) o la Corte Penale Internazionale (CPI) come associazione terroristica. Inoltre, nonostante i tentativi da parte degli Stati Uniti e di Israele, anche l’ONU non ha mai riconosciuto Hamas come associazione terroristica.

Al contrario in più occasioni alti funzionari delle Nazioni Unite hanno definito Hamas come “l’autorità che de facto governa a Gaza, ha capacità politiche e militari”. In altre si fa riferimento al "popolo palestinese e i suoi rappresentanti legittimi" o al "diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese". In sostanza Hamas è il referente politico e militare che governa Gaza e che sarebbe legittimato, dal voto del 2006, a governare anche la Cisgiordania. D’altra parte non potrebbe essere diversamente visto che all’ONU su 193 paesi ben 157 hanno riconosciuto la Palestina come Stato sovrano e, quindi, implicitamente anche l’autorità di Hamas.

Molti di questi paesi intrattengono regolari relazioni diplomatiche e commerciali con Hamas. In sostanza solo gli Stati Uniti e una piccola parte delle sue colonie si ostinano a definire Hamas come associazione terroristica. Inoltre, non si capisce per quale motivo anche l’amministrazione Trump, sia sceso a patti per raggiungere un accordo di pace, anche se finto, con un’organizzazione terroristica, contraddicendo così ogni presupposto etico e morale del credo pseudo–democratico occidentale.

In conclusione sarebbe arrivato il momento di sospendere i giudizi e le espressioni di gradimento personali nei confronti di un’autorità statale e prendere atto della situazione reale. Hamas è l’espressione politica del popolo palestinese, è l’interlocutore del loro Stato e gestisce l’esercito di liberazione. Poco importa se i suoi ideali piacciano poco ai governi delle colonie americane, il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese va rispettato ai sensi del Diritto internazionale. Ordinamento giuridico, questo, che in Medioriente viene violato quotidianamente e a farlo è lo Stato criminale di Israele, non Hamas. Chi commette un genocidio, chi vìola la sovranità di uno Stato occupandone i territori e uccidendone i cittadini civili va fermato, non chi cerca di difendere la popolazione da questi soprusi.

Tantomeno va fermato chi raccoglie fondi per sostenere questa popolazione, vittima di vessazioni da oltre settant’anni. Perseguire Mohammad Hannoun per i suoi contatti con le autorità locali palestinesi, per altro assassinate da Israele, e perché forse queste ultime avrebbero gestito parte dei fondi raccolti è semplicemente ridicolo. È come perseguire la Rai per aver avuto contatti con la Regione Abruzzo in merito alla raccolta fondi organizzata in occasione del terremoto dell’Aquila nel 2009.

Luca Busca

Luca Busca

Inizio il mio percorso giornalistico nel 1982, nel 1984 ottengo l’iscrizione all’albo dei pubblicisti come collaboratore del quotidiano La Repubblica e dell’Agenzia Giornalistica Telegraph. Entrato nel mondo musicale live come ufficio stampa, fondo, alla fine del 1984, la mia prima azienda di organizzazione di eventi musicali.  Dal 1987 al 2002 ho curato sei edizioni del Roma Live Festival, la rassegna Rock della capitale.
Come direttore di produzione ho poi partecipato alla realizzazione di Reality show, lavorando in Messico, Santo Domingo, Kenya, Sudafrica e India. Sono stato
commerciante, e amministratore di un’azienda che si occupava di fotovoltaico. Nel frattempo sono tornato a fare il giornalista occupandomi prima di arte (Next Exit), di viaggi (omonimo inserto di Repubblica) e ora di vino e olio per la rivista e la guida Bibenda. Sono anche docente presso la Fondazione Italiana Sommelier. Da un paio di anni scrivo per il blog Sinistrainrete e l’AntiDiplomatico

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