La “pasionaria”  Timosenko fiuta una rivincita su Zelenskij?

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La “pasionaria”  Timosenko fiuta una rivincita su Zelenskij?

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


I lettori ricorderanno certamente la nefasta “bionda con la treccia”, ex primo ministro nella Kiev della cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2005: Julija Timošenko, divenuta una “martire”, per i media occidentali, quando nel 2011 fu condannata per malversazione di fondi pubblici per un accordo sul gas – ironia del fato – con la russa Gazprom; “beata in terra” quando, nel 2014, ne fu intercettato un colloquio telefonico in cui diceva che avrebbe sganciato volentieri una bomba atomica sul Donbass; infine, ex terza classificata al primo turno delle presidenziali del 2019, poi vinte dall'attuale nazista-capo Vladimir Zelenskij.

Ebbene, quando sembra che sul Potomac e sul Senne cominci a far capolino una certa stanchezza delle troppo plateali bravate del golpista-presidente, la ex ferale “regina del gas”, la “pasionaria” della democrazia euroatlantica, come a fiutare l'aria, esce dal limbo in cui era sembrata avvolta negli ultimi quattro anni e, per dar più risalto alla propria voce e distinguersi da una “ucrainizzazione” che a Ovest sta diventando indigesta, interviene sulla polacca Gazeta Wyborcza, sostenendo che «Gli ucraini possono fornire alla NATO la migliore forza bellica d'Europa», forte di un'esperienza acquisita sul campo: «Il nostro esercito è un nuovo modello, che gli europei vorranno emulare in termini di preparazione, tattica e responsabilità di cui è forte ogni soldato».

Ogni soldato, possiamo aggiungere, addestrato a sparare a bruciapelo sui prigionieri; reclute prelevate in strada a forza di manganellate e mandate al macello prive della minima preparazione; militari addestrati a farsi scudo della popolazione civile, a dislocare artiglierie e carri armati in mezzo agli edifici civili, a bombardare scuole, ospedali, fermate d'autobus del Donbass: un “nuovo modello” che gli eserciti dei paesi NATO possono applicare nelle nuove “sfere d'espansione” dell'Alleanza atlantica nel Sudest asiatico, in Africa, o ovunque gli USA chiamino a raccolta gli “alleati”.

Un intervento, quello della Timošenko, che induce a pensare intenda candidarsi a dare a USA, UE e NATO quello che l'attore d'avanspettacolo col tridente tatuato in fronte non è stato capace di dare; o, quantomeno, non nelle forme e coi tempi richiesti dai suoi tutori, e che si è risolto nel penoso (per lui) spettacolo bellicista di Vilnius.

Difficile, e in fondo non poi così produttivo, dire se l'uscita della bionda “atomica” farà effetto su qualcuno a Washington o Bruxelles e, se e quando lo dovesse fare, quale aspetto avranno o quali regioni attraverseranno, a quel punto, i confini dell'Ucraina “arancione” e golpista.

Non sarà forse nient'affatto casuale che la “Jeanne d'Arc” abbia scelto per le sue considerazioni un giornale di quella Polonia reazionaria e sanfedista che da tempo brama a intervenire (e restare) nell'Ucraina occidentale? Quella Polonia in cui, d'altra parte, solo il 40% degli intervistati si è espresso per l'adesione di Kiev alla NATO; quella Polonia il cui settore agricolo rischia di rimanere in ginocchio per le importazioni agricole ucraine, imposte dalla UE: nel 2022 l'importazione di grano ucraino è aumentata di 168 volte rispetto al 2021 e quella di mais di 300 volte; nei primi quattro mesi del 2023 è stato importato 610 volte più frumento ucraino rispetto allo stesso periodo del 2022.

Come che sia, a Vilnius la “sentenza” sembra sia stata pronunciata e, per ora, abbastanza perentoria: per gli analisti militari yankee, l'adesione dell'Ucraina alla NATO è fuori discussione. In occasione del summit a Vilnius, l'americana Foreign Affairs titolava «Non fate entrare l'Ucraina nella NATO»; per le sue bizze sguaiate, Politico ha scritto che il nazigolpista-capo «si spinge troppo in là»; The Washington Post ha sottolineato che la leadership USA «si è infuriata» per le pretese del clown nazista.

E ha per certi versi ragione Viktorija Nikiforova che, su RIA Novosti, scrive che Washington i propri obiettivi li ha già raggiunti e, dunque, non sa che farsene di un ulteriore grattacapo: col conflitto in Ucraina gli USA sono riusciti a raggiungere i propri scopi, tra cui quello di abbattere i legami tra Mosca e Berlino, mandare in pezzi l'economia europea, la cui produzione migra verso gli USA; «il profitto è assicurato, gli USA passano all'incasso. Hanno tutt'altro che bisogno di un rischio di guerra mondiale».

L'America profonda sostiene l'isolazionismo, afferma Nikiforova, e non ne vuol sapere di sfide esterne; i principali concorrenti di Biden, sia repubblicani che democratici, promettono di porre fine al conflitto in Ucraina; gli elettori americani hanno intuito che la guerra in Europa potrebbe attraversare l'Oceano e non vogliono assolutamente che i missili russi arrivino fino agli Stati Uniti.

Gli americani cominciano a giudicare ridicola «l'idea che la Russia trasformi l'Ucraina in una piazzaforte per il successivo attacco all'Europa». Il pericolo per il Vecchio continente è semmai quello dei piani yankee di trasformare l'Ucraina postbellica in un “porcospino”: senza fornirle alcuna garanzia di “sicurezza”, pomparla però di armamenti e addestrare i suoi soldati. In questo quadro, possono acquistare un senso anche le farneticazioni della “martire bionda” su «la migliore forza bellica d'Europa»: quando cesseranno le ostilità tra Russia e Ucraina, ci sarà nel centro d'Europa un esercito possente, ben addestrato e ben armato, con una buona esperienza di combattimento, accuratamente rifornito di tutto il necessario dagli USA.

Alla fine del conflitto, però, osserva Viktorija Nikiforova, ci sarà un “esercito” completamente sconvolto: milioni di disoccupati, uomini angosciati, vaganti in una terra bruciata; milioni di ucraini furiosi, «che hanno visto i propri compagni morire per la NATO e i miliardi di Zelenskij, continuamente ingannati e disprezzati dagli "amici e partner" europei. A est, ne hanno già viste a sufficienza; dunque, non rivolgeranno gli sguardi a Ovest?».

Ma Zelenskij o Timošenko che sia, bruna o arancione che sia la “rivoluzione” ucraina, il lezzo dei miliardi euroatlantici non significa altro che lussuoso marciume nelle tasche dei golpisti e miseria e morte per le masse ucraine.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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