La trappola delle polarizzazioni

La trappola delle polarizzazioni

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Vi racconto questo aneddoto.

Qualche tempo fa sono stato invitato a prendere parte ad un intervento culturale a Roma. Una discussione per riflettere su come le autorità stavano affrontando la crisi sanitaria, una discussione impostata criticamente in merito allo strumento del green pass. Chi mi legge sa benissimo come la penso a proposito: lo concepisco come una leva incostituzionale per indurre illegalmente le persone ad una scelta che non potrebbe essere indotta che mediante una legge specifica, chiara, rispettosa di quanto stabilito dalla Costituzione all’art. 32. Legge che peraltro in questo caso specifico contesterei comunque (come faccio per gli over 50).

Una premessa.

Sono sempre stato contro il certificato verde, senza se e senza ma, tuttavia ho scelto di vaccinarmi e tutto sommato non mi sono mai pentito di averlo fatto. Non ho scelto a cuor leggero: ho avuto paura, tanta, e ho avuto paura quando ho consigliato ai miei familiari di fare lo stesso. Nella mia testa, dopo aver ponderato quelli che a mio avviso erano gli elementi in gioco, sono giunto alla conclusione che fosse la cosa meno peggiore da fare. Solo come preambolo personale, aggiungo poi che non ho mai parlato di vaccini, mai. Ho sempre e solo parlato di diritti e di Costituzione. Non scrivo di ciò che non comprendo pienamente e di ciò su cui non credo di nutrire competenze sufficientemente solide.

Ebbene, quando toccava a me parlare durante quel famoso evento, la moderatrice mi ha introdotto dicendo: «diamo la parola al nostro vaccinato». Così. Non penso ci sia stata cattiveria in quelle parole, non ve n’erano le ragioni (mi avevano invitato loro, con calorosa cortesia), eppure in quel momento la caduta di stile mi risultò semplicemente intollerabile.

Sono rimasto francamente di stucco: in un convegno pensato per criticare una subdola coercizione che subordinava il godimento di alcuni diritti fondamentali della Costituzione ad una scelta del tutto personale e intima, ero stato io stesso “stigmatizzato” per aver scelto a modo mio sul mio corpo. Mi sono alzato e sono andato via.

Derive isolate, probabilmente si, eppure sintomatiche di una polarizzazione che semplifica (nell’accezione più negativa del termine) e che sono figlie dei tempi che viviamo: pericolosissime, perché funzionali ad un certo scopo e, sospetto, architettate ad arte prima ancora che si realizzino.

Criticare le misure del governo automaticamente ti rendeva un no-vax, un vichingo all’assalto a Capitol Hill. Se nutrivi legittimi dubbi sullo strumento vaccinale, diventavi terrapiattista, complottista: male, malissimo. Se provavi però a porre qualche dubbio in merito alle critiche mosse ai vaccini (alcune davvero “originali”), frequentemente scattava la tagliola inversa: eri dipinto come un instupidito, un inebetito, un minus habens che se l’era bevuta. E quelle certezze, quella sicumera, mi terrorizzavano: come si fa ad essere così convinti e così sicuri di cose che non si conoscono e che per loro stessa definizione non si possono conoscere fino in fondo? Da uomo frequentemente tormentato dal dubbio, francamente spesso mi è successo di provare spaesamento.

Sta succedendo la stessa cosa in questi giorni, in queste drammatiche settimane di guerra, e ci siamo ricascati con tutte le scarpe ancora una volta: da un lato coloro i quali dipingono il governo ucraino (e in taluni casi il popolo ucraino) come una comunità di nazisti; dall’altro lato chi vede in Putin una sorta di unto dal Signore, promotore di una guerra inevitabile, persino di una guerra di liberazione.

Se provi a sottoporre ai primi che le responsabilità dell’occidente atlantista (e del fantoccio Zelensky) sono esorbitanti, quelli non riescono a vedere che il vichingo di sopra, riscopertosi ora putiniano, e non è affatto un caso che si argomenti come a sostenere certe posizioni siano coloro i quali erano scettici nei confronti dei vaccini: è un tentativo di screditare il punto di vista altrui, ridicolizzandolo con la semplificazione già sperimentata e rodata negli anni appena trascorsi. Dall’altro lato, tuttavia, scatta il politicamente corretto dell’anti mainstream (o il mainstream del politicamente scorretto, decidete voi) e se provi a sostenere che, in base a quanto sappiamo in questo momento, agli elementi di cui disponiamo oggi, questa guerra è da condannare drasticamente e vibratamente allora diventi automaticamente un irriducibile NATO boy, uno che le ha sganciate personalmente le bombe su Belgrado, che magari era nel Donbass ad ammazzare i civili russofoni.

È una rinuncia alla complessità ed semplicemente soffocante: una semplificazione polarizzata che rischia di restituire una realtà falsata e fuorviante. Non è accettabile ed è profondamente disfunzionale (quantomeno dal punto di vista a mio avviso funzionalmente sano, quello della sovranità costituzionale democratica).

Che sia del tutto casuale, poi, a me non lo farà credere mai nessuno.

Sono convinto sia una trappola bella e buona e se così fosse avremmo una ragione in più per non finirvici dentro: la narrazione dominante la spara grossa, alimenta al massimo un racconto intollerabilmente sciocco, farsesco e fanaticamente surreale alla David Parenzo, per indurre una reazione, per spingere all’istintuale e tutto sommato fisiologica repulsa che quasi ti costringe a quella maledetta polarizzazione.

Una polarizzazione fatta di certezze assolute, di giudizi sferzanti e convintissimi, che generano smarrimento in colui il quale prova a fermarsi un attimo, in quello che prova a porsi e a porre qualche domanda proprio perché vuole tentare di capire, di elaborare una riflessione anche morale (mai banale, mai scontata per un essere umano): perché dinanzi alla morte di tante persone innocenti, dinanzi ad una tragedia umanitaria di tali proporzioni credo sia davvero il minimo, sia irrinunciabilmente doveroso, la base della nostra stessa civiltà (a prescindere dal fatto che la circostanza non sia la prima e a prescindere dai colposi silenzi contraddistintici in passato). La Costituzione dovrebbe indurci a ripudiarla la guerra, anche quella altrui, tutte quelle rispetto alle quali possa nutrirsi il seppur minimo dubbio, anche la più piccola incertezza.

E qualcuno ci guadagna: chi si avvantaggia dalla distrazione di massa cui questa polarizzazione ineluttabilmente induce. È quanto più mi preoccupa, quanto costringe alla veglia: ogni qualvolta ci hanno indotto alla polarizzazione (vedi le farse in materia di diritti civili, che se solo alzavi la mano per porre un quesito diventavi un fascista omofobo che picchia le donne) lo scopo era sempre e soltanto uno: allontanare dai temi propri del welfare state, predisporre ulteriore macelleria sociale, alimentare la ristrutturazione e il riadattamento dello sfruttamento, dell’avido e iniquo dominio dei più forti sui più deboli.

Savino Balzano

Savino Balzano

Savino Balzano, nato a Cerignola nel 1987, ha studiato Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Perugia. Autore di "Contro lo Smart Working" (Laterza, 2021) e di "Pretendi il Lavoro! L'alienazione ai tempi degli algoritmi" (GOG, 2019). Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro, collabora con diverse riviste.

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