Ondata repressiva in Perù. Arrestate un centinaio di persone, anche alcuni avvocati

Ondata repressiva in Perù. Arrestate un centinaio di persone, anche alcuni avvocati

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Un centinaio di arresti e perquisizioni in tutto il paese, e una caccia alle streghe ancora in corso. Questo il bilancio di un’operazione di polizia contro alcune organizzazioni politiche peruviane come il Movimento per l'amnistia e i diritti fondamentali (Movadef), considerato il braccio legale dell’organizzazione guerrigliera Sendero Luminoso. La polizia e la procura del Perù sostengono che gli arrestati “obbedivano agli ordini” dei dirigenti comunisti prigionieri come Abimael Guzmán Reinoso. Il fondatore dell'organizzazione guerrigliera è stato arrestato il 12 settembre del 199e e condannato a due ergastoli che, da quasi trent’anni sta scontando in isolamento assoluto nel Penale Militare, un centro di tortura della Base Navale del Callao a Lima. Guzmán ha compiuto 86 anni, non usufruisce di assistenza medica nonostante la sua salute sia molto debilitata, sia per le torture subite che per l’età. I prigionieri politici, tutti in età molto avanzata e molto debilitati sono stati esclusi anche dall’ultimo decreto emanato per il Covid, che ha consentito di lasciare il carcere ai detenuti di oltre 65 anni. Ieri è stato arrestato anche l’avvocato di Guzmán, Alfredo Crespo, un militante molto conosciuto a livello internazionale: un doppio abuso, sia per il legale che per il suo assistito, a cui viene imposto un ulteriore isolamento. Insieme ad avvocati, movimenti sociali e pezzi di sinistra peruviana intenzionata a chiudere con un’amnistia il periodo della guerra di cui restano pochissimi sopravvissuti, il Movadef appoggia il passaggio alla lotta politica intrapreso da anni dai comunisti combattenti in carcere. La chiusura di un sistema politico corrotto e repressivo, pronto a garantire l’impunità al fujimorismo e a perpetrare l’avvicendarsi di una pletora di corrotti e affaristi, si manifesta con evidente accanimento contro l’opposizione popolare non addomesticata, che lotta per una trasformazione strutturale degli assetti di potere, e che rivendica il diritto del popolo alla rivolta. Un’operazione di polizia presentata come risultato di anni di inchieste, pedinamenti e intercettazioni, che però appare totalmente inconsistente fin dalle prime “prove” esibite alla stampa, consistenti solo in incontri di solidarietà degli avvocati dei prigionieri politici e in volantini che ne chiedono la liberazione. In un'intervista, il comandante generale della polizia, César Cervantes, ha dichiarato che, durante l’operazione “Olimpo”, si sono rispettati i diritti umani “in ogni momento”. Una versione respinta dalle dichiarazioni di famigliari e testimoni che parlano di detenzioni arbitrarie, isolamenti, irruzioni violente e illegali. Nei confronti di chi è sospettato di appoggiare i comunisti prigionieri, lo Stato peruviano non è mai andato per il sottile, e ha calpestato ogni parvenza di legalità spiccando nuovi mandati di cattura per lo stesso reato a chi finiva la pena dopo anni di isolamento e tortura.

In questo caso, si tratta di una evidente e ulteriore provocazione, che si configura come strategia di distrazione di massa. Il paese, infatti, è scosso dalle proteste, che hanno già provocato la morte, prima di due giovani, e poi di un operaio diciannovenne che manifestava insieme ai contadini, e centinaia di feriti. Dal 30 novembre è cominciato uno sciopero agricolo nella regione di Ica. I lavoratori chiedono il miglioramento delle condizioni di lavoro e l’abolizione della Legge di Promozione agraria, approvata come misura temporanea nel 2000 e invece promulgata per altri 10 anni dal governo Vizcarra. Anche in questo caso, la polizia ha represso duramente la protesta, uccidendo il giovane stagionale Jorge Yener Muñoz Jiménez. Solidarietà ai contadini in lotta e anche agli arrestati del MOVADEF è arrivata da alcuni collettivi femministi e, dal Messico, da alcuni familiari dei 14 studenti di Ayotzinapa, scomparsi a Iguala nel 2014.

In Perù è giunta una delegazione della Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh), che si è riunita sia con le autorità peruviane che con i manifestanti che hanno denunciato le brutali cariche della polizia durante le manifestazioni contro il governo, dopo l’ennesimo “golpe istituzionale” che ha disarcionato per corruzione l’ex presidente Manuel Merino, seguito a Martin Vizcarra, a sua volta accusato di corruzione. La notizia della morte dell’operaio diciannovenne è arrivata durante l’assunzione del nuovo gabinetto di governo del presidente Francisco Sagasti, che dovrà guidare il paese perso le elezioni del luglio 2021. Per cercare di placare la rabbia dei manifestanti, il 24 novembre, Sagasti ha ordinato una riforma della polizia. Ha anche pensionato 18 generali e il ministro degli Interni Vargas, il sesto dall’inizio dell’anno, ulteriore riflesso della crisi istituzionale che attraversa il paese. Contro la riforma e la prospettiva di perdere un po’ di terreno, i poliziotti hanno annunciato sciopero, lamentando anche di essere particolarmente esposti al covid-19. Secondo cifre ufficiali, il virus ha ucciso oltre 500 agenti e ne ha contagiati 33.700, su un totale di 60.000 morti per la pandemia.

Il Perù non si è ancora lasciato alle spalle l’influenza del fujimorismo, che continua a avere un forte peso nel sistema di potere. La delegazione della Corte Interamericana per i Diritti Umani (Cidh) ha incontrato anche un gruppo di donne vittime delle sterilizzazioni forzate del governo fujimorista tra il 1995 e il 2000. Si calcola che furono oltre 300.000 le donne sterilizzate a forza, e circa 1.300 i procedimenti ancora aperti che non trovano ascolto e soluzione.

In tutte le manifestazioni, emerge dai movimenti popolari una richiesta politica forte e chiara: Assemblea Nazionale Costituente. La stessa che risuona in tutta l’America Latina dove il vento del socialismo bolivariano non è ancora arrivato.

“Basta con le persecuzioni politiche! Nuova costituzione!”, dicevano i cartelli dei manifestanti che sono scesi in piazza in diverse parti dell’America Latina e anche in Europa, in solidarietà con gli arrestati. Uno dei volantini, diffuso dai movimenti popolari subito dopo la retata, sintetizza i contenuti della protesta e gli obiettivi: “Abbasso la politica di odio e di vendetta dello Stato peruviano – dice - Esigiamo la libertà degli avvocati, studenti e lavoratori detenuti dalla polizia politica e mercenaria dello Stato capitalista e corrotto che domina la società peruviana. Questa repressione ha l’obiettivo di soffocare la voce della protesta del popolo in lotta contro la putrefazione dello Stato, le sue lotte intestine, il suo indebitamento a favore della sua mafia, il saccheggio vigliacco e, soprattutto, i crimini di lesa umanità commessi contro il popolo negandogli le medicine e l’ossigeno per combattere il Covid-19 che ha già provocato oltre 60.000 morti: peggio di qualunque guerra abbia vissuto il Perù. Oggi, per ordine dell’agente dell’imperialismo, il nuovo capobastone di turno, si scagliano contro i lottatori sociali che, nel loro pieno diritto, chiedono un cambiamento dell’abietta e neoliberista costituzione politica del Perù attraverso un’Assemblea Popolare Costituente”.

Sabato 5 alle 13 ora del Perù, alle18 ora italiana, si svolgerà una conferenza stampa internazionale virtuale.

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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