Quella di Fedez non è carità ma una presa in giro

Quella di Fedez non è carità ma una presa in giro

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di Valeria Finocchiaro - La Fionda

Ci sono cose molto ovvie che ogni nuova generazione ha il compito di ribadire oppure di combattere. Per esempio: quelli che hanno fatto il ’68 sono riusciti molto bene a ribadire che la guerra era una cosa assurda, quelli che hanno fatto il ’77 hanno dimostrato che una certa guerra era una cosa giusta, quelli nati dopo Hegel hanno impiegato molte energie a superare la metafisica, eccetera.

La mia generazione, per quanto ne so, non ha fatto la guerra proprio a un bel niente. D’altronde non è colpa di nessuno se siamo vissuti in un periodo storico che offre ben poco dal punto di vista del pathos politico: si tratta di quel lasso di tempo che va dal vuoto pneumatico cominciato con la caduta del Muro di Berlino, e arriva al periodo del grande nulla cosmico dominato da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.

Una nuova guerra fredda è all’orizzonte, quella fra USA e Cina, ma è ancora davvero troppo fredda perché possa infiammare gli animi di qualcuno. Insomma, per farla breve, mi annoio da morire.

Mi annoio soprattutto perché penso che è già stato detto e fatto tutto: la presa della Bastiglia, la rivolta di Haiti, la trasgressione sessuale, la decapitazione di zar e famiglia. Quindi, deduco, alla mia generazione non è rimasto più niente da fare: nessuno che valga davvero la pena insultare o decapitare.

Poi un giorno, quasi alla vigilia del santo Natale, scopro che Fedez se ne va in giro per Milano a bordo della sua Lamborghini a distribuire buste piene di soldi, mille euro secondo i giornali, a persone a caso fra rider, camerieri, fattorini eccetera, filmando tutto col telefono e condividendo l’evento con i suoi milioni di follower. Non so quale sia il criterio scelto da Fedez, ma di sicuro si tratta di individui che non rientrano nell’imposta patrimoniale di recente proposta.

D’accordo, ma cosa c’entra questo fatto con la riflessione iniziale, quella secondo cui alla mia generazione non è rimasto più nulla? Ebbene: se qualche miliardario pensa ancora che la carità, per giunta esibita, ostentata, sfacciata, possa essere una buona idea, senza porsi nemmeno il problema che essa è, al limite, qualcosa che non dovrebbe essere pubblicizzato affinché sia un atto moralmente onesto, allora vuol dire che alla mia generazione è rimasto ancora qualcosa da dire.

Io pensavo che dopo la grande stagione dell’orgoglio operaio e contadino, quella in cui gli umili hanno alzato la testa e cambiato la storia, nessuno si sarebbe mai più sognato di elargire gli spiccioli con l’arroganza di chi può permetterselo, dall’alto del proprio privilegio economico, perché questo sarebbe dovuto essere percepito come altamente offensivo nei confronti di chi vive del proprio lavoro in modo autonomo, libero, e senza implorare l’elemosina di nessuno. Ero convinta, fino a ieri, che la carità verso i poveri fosse qualcosa che il secolo breve avesse relegato alla “preistoria”, come direbbe Marx; o al limite, che fosse rimasta la carità di tipo religioso, che è uno dei metodi principali con cui la religione cattolica intende guarire i mali del mondo. Nel caso della carità religiosa, però, è molto importante che essa sia fatta senza eccessiva esposizione o pubblicità: solo così si dimostra che essa muove da sincero altruismo, altrimenti diventa vanagloria, ipocrisia, compiacimento.

Che si sia trattato di carità cristiana è da escludere, data la condizione di cui sopra, quella che prevede la non ostentazione dell’atto. Di cosa si è trattato quindi? Forse, nella migliore delle ipotesi, della semplice leggerezza di ragazzo molto ricco che non ha avuto l’intelligenza di guardarsi dall’esterno: altrimenti avrebbe visto una macchina che vale più di quanto i destinatari della beneficenza possano mai pensare di risparmiare durante l’intera vita girare allegramente in una Milano stremata dall’epidemia, con il conducente a distribuire somme di denaro per un valore complessivo inferiore a quello di ognuna delle numerose borsette che sua moglie Chiara ama mostrare continuamente sui social.

Per una coppia che ha fatto dello sfoggio del lusso il proprio tratto distintivo, d’altronde, non ci si aspetta certamente morigeratezza; ma in ogni caso, la vita e gli acquisti dei “Ferragnez” mi hanno sempre lasciata del tutto indifferente, e ho sempre trovato le critiche nei loro confronti puerili almeno quanto il loro esibizionismo. Eppure sta volta il gesto è troppo eclatante, e i “Ferragnez” sono riusciti per la prima volta ad attirare la mia attenzione: ne avrei volentieri fatto a meno.

A guardarlo bene sembra, più che un atto di carità, una gigantesca presa in giro. Qualche giorno fa ho letto su un giornale che la ricompensa di Ferragni per un post pubblicitario su Instagram è di circa 52 mila euro, e immagino che quella di Fedez non debba essere molto inferiore. Se si pensa che il numero delle sponsorizzazioni giornaliere oscilla da zero a infinito, ci si può fare un’idea di quanto il nucleo familiare in questione fatturi ogni mese, e che di conseguenza i cinque mila euro complessivi elargiti da Fedez sono nient’altro che spiccioli.

Ma il problema, a dire il vero, non è nemmeno il fatto che la somma in beneficenza sia irrisoria; ognuno è libero di fare quello che gli pare con i propri soldi: può darli tutti ai poveri, oppure non regalare nemmeno un centesimo. Ciò che disturba è piuttosto il fatto che il cantante abbia deciso, in barba a qualsiasi galateo filantropico, di farsi pubblicità mentre distribuiva denaro: si è trattato dunque di una carità quantomeno “sospetta” per usare le parole di Manzoni, e che avrebbe fatto impallidire l’intero ancien régime. Sorge infatti il dubbio che il fine reale di Fedez non fosse tanto quello di aiutare qualcuno (cosa che avrebbe potuto fare all’ombra dei riflettori), ma quello di nutrire la vanità del proprio ego smisurato.

Sono sicura che fra un paio di giorni sentiremo il cantante scusarsi e piangere lacrime di coccodrillo, mentre spiegherà le ragioni di questo gesto infelice: probabilmente dirà che quei soldi li avevano raccolti i suoi fan per mezzo dei suoi social, e che lui si è limitato a fare da tramite. Bene: questo non diminuisce il senso di profonda ingiustizia e di cattivo gusto provocato dallo spettacolo di un uomo a bordo di una Lamborghini che fa la carità a quelli meno fortunati di lui. Avrebbe almeno potuto avere, che so, il buon gusto di farsi prestare un’auto normale da qualche amico, nel caso lui possegga solo macchine dai trecentomila euro in su.

Qualche anno fa Fedez si prendeva gioco di quelli che lui chiamava i “comunisti col rolex”: si trattava di una parodia insulsa e poco originale di una categoria di individui del tutto inesistente, o quasi; oggi invece il cantante può aggiornare il suo campionario di bersagli polemici attingendo direttamente dal proprio profilo Instagram: potrebbe cominciare a prendere in giro, per esempio, il San Francesco in Lamborghini, sarebbe un ottimo titolo per una canzone di Natale.

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