GIOCO D’AZZARDO TRA MANCATE RISCOSSIONI E INFILTRAZIONI MAFIOSE

GIOCO D’AZZARDO TRA MANCATE RISCOSSIONI E INFILTRAZIONI MAFIOSE

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Reportage di Michel Fonte 
 
Il governo continua a produrre moratorie e sanatorie cedendo all’illegalità
 
In Senato con l’approvazione definitiva della legge di stabilità 2016, si è proceduto alla ratifica di un coacervo di raffazzonate misure su lotterie e giochi, palesando, ancora una volta, l’assenza di una legge organica di riordino del sistema e di efficaci sanzioni per gestori morosi, illegali e casi sempre più frequenti di riciclaggio di denaro legati al gioco d’azzardo, basti pensare che gran parte della materia è ancora disciplinata dal testo unico di cui al regio decreto 18  giugno 1931, n.  773. In parlamento si è sviluppata un’accesa discussione con relativa polemica politica sull’opportunità o meno di procedere all’apertura di nuovi punti scommesse, rivelatasi poi una bolla di sapone, perché la decisione dell’esecutivo è stata quella di riconfermare in toto il numero delle licenze attive, seppur con il solito walzer di titubanze e indiscrezioni. Per tutto il resto, però, si è scelto di adeguarsi al motto andreottiano di “meglio tirare a campare che tirare le cuoia.” 
Il governo Renzi, con la coerenza che lo contraddistingue dall’inizio del mandato, ai principi di legalità e trasparenza ha preferito cedere alle contingenti necessità. Con il dispositivo fissato dalla l. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, co. 926 (legge di stabilità 2016) si è procrastinata la sanatoria prevista dalla precedente l. 23 dicembre 2014, n. 190, art.1, co. 643 (legge di stabilità 2015), voluta sempre dallo stesso esecutivo per le sale scommesse illegali, i cosiddetti Ctd (centri di trasmissione dati) che operano la raccolta di puntate senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Si è, quindi, approvata, nei fatti, una sanatoria-bis. 
Nelle previsioni, la sanatoria del 2015 avrebbe dovuto portare a galla almeno 3500 punti di raccolta sui circa 7000 irregolari operanti sul territorio nazionale, ma alla data del 31 gennaio 2015, ultimo termine utile per la dichiarazione di regolarizzazione fiscale, solo poco più di 2000 avevano deciso di rispondere all’appello, per questa ragione il governo ci riprova fissando come nuova data utile per la legalizzazione il 31 gennaio 2016, lasciando peraltro invariati i termini economici del precedente provvedimento normativo. Occorreranno, infatti, 10.000 euro per la regolarizzazione, accompagnati dal versamento dell’imposta unica dovuta per i periodi d’imposta anteriori a quello del 2016 e per i quali non sia ancora cessato il termine di decadenza per l’accertamento, agevolata dalla riduzione di un terzo e senza applicazione di sanzioni e interessi, il tutto da versare in due rate di pari importo scadenti, rispettivamente, il 31 marzo e il 30 novembre 2016.
Si sarebbe dovuto discutere sull’opportunità di un simile provvedimento, ma a quanto pare, come accade da troppo tempo, ci si è persi in scaramucce e inutili zuffe verbali anziché guardare alla sostanza della questione. L’insipienza del rimedio normativo adottato appare fondata su almeno tre argomentazioni. 
La prima è di natura prettamente morale e chiama in causa la stessa coerenza politica del governo, dato che soltanto dodici mesi fa, nella relazione tecnica di accompagnamento al maxi-emendamento della legge di stabilità 2015, si dichiarava in maniera inequivocabile che in materia di raccolta illegale di scommesse agli “operatori non regolari (ai quali, allo stato,) non si presenta altro che una delle seguenti alternative: chiudere definitivamente le proprie attività, con dismissione di investimenti e posti di lavoro, ovvero rimanere in un regime di non regolarità, sfidando la capacità dello Stato di costringerli alla prima alternativa.” 
L’esecutivo Renzi con la sanatoria-bis smentisce se stesso e la capacità di far uso della ragionevole repressione per il rispetto della legalità.
 
Le mafie puntano forte
 
La seconda, è che tenendo in conto le dimensioni assunte dal gioco con un giro d’affari che ne fa la terza industria del paese per fatturato (il secondo mercato dell’azzardo in Europa), non distante da quello di multinazionali come l’Eni, ma, al contempo, caratterizzata da diversi coni d’ombra, sarebbe stato appropriato dare un segnale d’inversione. A forza di inseguire l’urgenza e la precarietà degli equilibri di bilancio, la provvisorietà diventa l’ordinaria condizione per risolvere, ma sarebbe meglio dire tamponare, criticità di attività che per la loro crescente importanza dal punto di vista socioeconomico meriterebbero una discussione seria, approfondita e soprattutto l’elaborazione di misure legislative ben pianificate. Sono numerosi i casi di punti scommesse riconducibili direttamente alla criminalità organizzata – camorra, cosa nostra, ’ndrangheta, sacra corona unita – in odore di riciclaggio di denaro sporco. La relazione della Dia (Direzione Investigativa Antimafia) del primo semestre 2014 afferma che “il business del gioco d’azzardo è quello che più attrae le nuove leve per la velocità e facilità con cui procura denaro contante. Il settore che annualmente garantisce una cospicua fetta di guadagno, si alimenta attraverso l’imposizione e il piazzamento di slot machine alterate negli esercizi commerciali e offre, allo stesso tempo, l’opportunità di pulire i proventi delle attività criminali attraverso i paralleli canali del gioco legale (p. 17)… il settore del gioco d’azzardo a distanza, con particolare riferimento alle scommesse telematiche, dei video poker e dei casinò online, fornisce un terreno fertile per la criminalità organizzata che vede, nei settori economici a rischio più elevato, come questo, ampie possibilità di introiti (p. 250)…” 
Le preoccupazioni sul fenomeno sono rinnovate dalla stessa Dia nella relazione del secondo semestre 2014, in cui si evidenzia in Campania “il ritorno di storici esponenti della Nuova Camorra Organizzata (NCO n.d.a) e si assiste alla costituzione di gruppi che preferiscono agire in maniera defilata dedicandosi ad illeciti che destano minore attenzione da parte delle forze di polizia, quali la gestione di sale scommesse (pp. 122-123).” 
La presenza della camorra nel business del gioco d’azzardo è avvalorata da numerose indagini che hanno rilevato l’operatività in Lombardia, particolarmente nella provincia di Brescia, di diverse propaggini dei clan Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano, Moccia di Afragola, Gionta di Torre Annunziata, Mariano e Contini di Napoli, nello specifico, si sono individuati sul territorio notevoli investimenti a fini di riciclaggio attraverso la gestione di sale bingo, analogamente, nel Lazio, sono attivi diversi esponenti dei Casalesi e vari affiliati di clan del napoletano, nonché i Pagnozzi e i Cava della provincia di Avellino, che, da soli o in collegamento tra di loro, fanno affluire liquidità nel mondo legale della capitale considerato luogo privilegiato per ripulire i capitali di provenienza illecita. Anche in questo caso le sale giochi sono considerate centrali per il dispiego dell’attività di riciclaggio. Per quel che concerne la criminalità organizzata pugliese e lucana, la Dia conferma i suoi timori e non lascia spazio a fraintendimenti sull’importanza strategica del settore, rimarcando che “particolarmente sviluppato è l’interesse degli ambienti mafiosi per il settore delle scommesse abusive e dei videogiochi. La criminalità organizzata ha trovato il modo di trarre ingenti profitti mediante l’alterazione delle schede elettroniche, con la modifica delle caratteristiche tecniche, delle modalità di funzionamento e con l’interruzione del collegamento telematico con l’Azienda dei Monopoli, con danno per l’erario. Le organizzazioni criminali hanno provveduto altresì alla distribuzione ed installazione nei locali pubblici di propri apparecchi, tentando anche di determinare situazioni di vero e proprio monopolio, escludendo o imponendo quelli di altri clan. Queste attività illecite sono diffuse su tutto il territorio (p. 135).” 
A sostegno di quanto appena detto, i dati investigativi segnalano un’effervescenza dal sud al nord del paese dei sodalizi criminali nell’ambito delle attività ludiche a fini di lucro. 
Con riferimento alla mafia nissena si sottolinea che “permane l’interesse della criminalità associata verso i settori tradizionali del gioco d’azzardo e dei videogiochi, la gestione delle sale scommesse… (p. 41)”, al contempo, si afferma il radicamento di cosa nostra al nord, specificamente in Piemonte, dove “le attività investigative hanno, infatti, evidenziato, che i componenti della famiglia palermitana dei Magnis, operavano all’interno di un’articolazione della ’ndrangheta nella provincia di Torino (locale di Giaveno), finalizzata ad acquisire il controllo delle attività economiche, sottoponendo ad una pressione estorsiva imprenditori e gestori di sale da gioco, ai quali imponevano l’installazione di apparecchi di gioco automatico in cambio di protezione (p. 58).”
Il consuntivo delle azioni condotte dalle forze dell’ordine per contrastare il riciclaggio di denaro in attività di gioco non può che preoccupare, dato che la lista delle operazioni è particolarmente lunga così come l’entità dei patrimoni in ballo. 
Nel febbraio 2014, l’operazione “Metastasi” ha portato alla luce l’infiltrazione di cosche calabresi nel mondo economico, politico e amministrativo della provincia di Lecco, che agivano in maniera violenta per imporre la distribuzione di terminali di gioco all’interno di locali pubblici, sempre in Lombardia, in aprile, con l’operazione “Hazard”, si è proceduto all’arresto di sei individui nati in provincia di Reggio Calabria ma residenti nel bresciano, tra cui due fratelli imprenditori nel settore delle sale da gioco e considerati vicini alla ’ndrina Pesce di Rosarno. Le accuse, molto gravi, vanno dalle lesioni personali passando per la tentata estorsione fino al sequestro di persona. In maggio, l’operazione “Game Over” ha portato al sequestro della società che gestiva la locale sala bingo di Ferentino, in provincia di Frosinone, per un controvalore pari a 20 milioni di euro, direttamente riconducibile a soggetti appartenenti al clan dei Casalesi e alla famiglia mafiosa dei Santapaola. Nel luglio 2014 c’e stato un nuovo sviluppo dell’operazione “Hermes”, partita nel 2009, che determinò l’arresto e la detenzione del catanese Antonio Padovani, imprenditore operante nel settore dei giochi e delle slot machine, a un primo sequestro per un importo complessivo di 45 milioni di euro se n’è aggiunto un secondo di 10 milioni di euro, accertandosi al contempo gli stabili legami delle imprese, sparse tra Campania, Lazio, Toscana, Sicilia ed Emilia Romagna, con il sodalizio dei Casalesi ed esponenti della ’ndrangheta. Da ricordare, poi, l’esito della megaoperazione “Black Monkey”, condotta nel gennaio del 2013 in Emilia Romagna, che ha stroncato un giro di slot machine truccate con il sequestro di 90 milioni di euro e 34 avvisi di fine indagine, si tratta anche in questo caso di un affare illegale, riconducibile direttamente a Nicola Femia, ’ndranghetista condannato nel 2002 per narcotraffico. Il processo, ancora in corso, dovrebbe concludersi nei primi mesi del 2016. Infine le ultime attività del 2015, in luglio l’operazione “Gambling” condotta dalla Dda (direzione distrettuale antimafia) di Reggio Calabria che ha portato al coinvolgimento di 54 sale scommesse collegate al bookmaker maltese b2875 (in seguito dissequestrate), l’arresto di 41 persone legate alla ’ndrangheta e il sequestro di beni per un valore complessivo di 2 miliardi di euro, compresi 82 siti internet per il gioco online, e l’azione, in settembre, della Dda di Napoli, che ha smantellato la riorganizzazione del clan dei Casalesi attraverso i reggenti della famiglia Russo, anche in questo caso videopoker e slot machine erano al centro degli affari, tanto che si è proceduto al sequestro di ben 3200 apparecchi distribuiti tra Campania, Toscana e Lazio, 30 immobili in quel di Marano, e all’esecuzione di 44 misure cautelari.
Caratteristica inquietante della mafia del gioco è che è piuttosto trasversale sia per le alleanze tra i vari sodalizi criminali autoctoni sia per la presenza di associazioni delinquenziali straniere interessate al settore, infatti, sempre dalla stessa relazione antimafia del primo semestre 2014 si rileva la “progressiva affermazione dei gruppi cinesi nella gestione del gioco d’azzardo (p. 178)”, mentre con riguardo ai gruppi mafiosi dell’ex Urss si evince che “fenomeni che si ritiene debbano essere monitorati nella loro evoluzione sono i forti investimenti patrimoniali – per le possibilità di celare attività di riciclaggio – effettuati da parte di cittadini russi, nonché l’ingresso e l’espansione del gioco d’azzardo e nel mondo delle scommesse clandestine già radicate in territorio italiano. Tale ultimo fenomeno risente delle criticità tipiche del sottobosco delinquenziale delle bische e dei presta – valuta clandestini e non mancano le iniziative criminali nello sfruttamento della prostituzione e del riciclaggio di denaro, spesso operato proprio ricorrendo al business dell’azzardo (p. 187).” 
Il risvolto più preoccupante, però, si apprende dalle conclusioni sulle linee evolutive del fenomeno mafioso, laddove si evidenzia che “il settore del gioco d’azzardo, tramite una grande disponibilità di denaro liquido e radicamento nel territorio, permette al crimine organizzato di offrire molteplici servizi. I sodalizi, attraverso dei prestanomi, ottengono concessioni di sale bingo e punti scommesse, impongono ai commercianti l’installazione di videogiochi truccati, si inseriscono nel segmento del gioco d’azzardo online – con particolare riferimento alle scommesse telematiche – riciclano denaro acquistando partite di biglietti vincenti in modo fraudolento, concedono prestiti ai giocatori, con cospicui e rilevanti introiti, arrivando persino a condizionare veri e propri eventi sportivi al fine di massimizzare i propri ricavi connessi al circuito delle scommesse clandestine (pp. 226-227).”
 
I concessionari scommettono sulla giustizia per non pagare e vincono facile.
 
Ci si domanda, senza retorica, se sulla scorta di tutte queste informative, investigazioni e processi giudiziari in corso, fosse il caso di un doppio colpo di spugna nel giro di due anni. Il dibattito politico avrebbe dovuto sviscerare questi pericolosi aspetti delittuosi e appetiti insani piuttosto che perdersi in diatribe a volte boccaccesche, oltretutto trascurando, e veniamo alla terza argomentazione, che la macchina amministrativa appare incapace di riscuotere quanto dovuto anche dai concessionari con regolare licenza. Dati alla mano, seppur non definitivi, si evidenzia che i concessionari operanti in Italia hanno versato complessivamente soltanto il 70% dell’imposta dovuta, vale a dire 350 milioni sui 500 previsti dalla finanziaria 2015, alcuni poi hanno a malapena versato poco più del 50% del dovuto (Gamenet S.p.A. il 50%, Cogetech S.p.A. il 55%, Lottomatica Videolot Rete S.p.A. il 50%). Senza tanti giri di parole, i concessionari hanno scelto di non pagare procedendo nell’iter giudiziario dinanzi al Tar del Lazio, sez. II, che, in data 17 novembre 2015, ha deciso, a sua volta, di rinviare la questione alla Corte Costituzionale con ordinanze in cui “ritiene che la norma di cui all’art. 1, comma 649, della legge di stabilità per il 2015 presenti altri profili che rendono la questione di legittimità costituzionale non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 41, comma 1, Cost.” nello specifico “ritiene che la norma contestata presenti dubbi di compatibilità costituzionale con riferimento sia al profilo della disparità di trattamento sia al profilo della ragionevolezza.”
Secondo la giustizia amministrativa, essendo l’importo complessivo di 500 milioni di euro una somma fissa legata al numero di apparecchi nella disponibilità dei concessionari alla data del 31 dicembre 2014 e pertanto indipendente dal gettito e quindi all’effettivo volume di raccolta delle giocate, sarebbero stati violati sia il principio di ragionevolezza sia quello di uguaglianza, nonché messo in discussione il principio di libertà dell’iniziativa economica privata. Stabilito ciò, è anche vero che il Tar del Lazio ha espresso un diniego tassativo alla sospensione del pagamento della seconda rata da parte dei concessionari con scadenza il 30 ottobre 2015, diniego reiterato dal Consiglio di Stato chiamato a esprimersi sulla richiesta presentata dagli appellanti in data 2 dicembre 2015. L’organo amministrativo di secondo grado ha confermato l’obbligo dei concessionari a pagare quanto stabilito dall’erario, poiché non individuava alcun rischio di danno grave e irrimediabile per i concessionari ricorrenti e per l’intera filiera del gioco pubblico dal pagamento dell’addizionale di 500 milioni. Secondo alcuni giuristi sarebbe stato opportuno negoziare un nuovo contratto con gli operatori imponendo una riduzione dei compensi, peraltro provvedimento inserito nella legge di stabilità 2016, in cui il Preu (prelievo erariale unico) è stato innalzato dal 15% al 17,5% a fronte, tuttavia, di un abbassamento contestuale del pay out (la percentuale delle vincite è, infatti, scesa al 70% rispetto al precedente 74% con un saldo positivo dell’1,5% a favore dei concessionari, differenza risultante tra aumento del prelievo [2,5%] e diminuzione del tasso di vincita [4%]), ma nelle stanze dei Monopoli e del Ministero delle finanze, nell’approntare la legge di stabilità 2015 si era pensato che fosse più semplice incassare attraverso il meccanismo adottato tenendo in conto l’abitudine, piuttosto verosimile, che una parte degli introiti venga raccolta e occultata anche dagli operatori legali attraverso macchine non collegate alla rete statale di gioco o che non consentono la lettura dei dati riguardanti le somme giocate. D’altra parte, come stabiliva l’art. 1 comma 646 della stessa legge di stabilità 2015, ad essere colpiti in tal caso non erano i proprietari degli apparecchi bensì i titolari degli esercizi commerciali in cui sono ubicati, con una grave sottovalutazione del fatto che spesso i concessionari delle licenze sono anche proprietari degli apparecchi, seppur forniti da società con una propria autonomia giuridica. Proprio di fronte ad una simile incongruenza con la legge di stabilità 2016 il governo ha da un lato sancito la responsabilità anche del proprietario (co. 923 art. 1 l. 28 dicembre 2015 n.208) degli apparecchi punendolo con una sanzione amministrativa pecuniaria di 20.000 euro, la stessa misura gravante sul titolare dell’esercizio commerciale, che però è anche chiamato a corrispondere l’imposta unica sull’apparecchio su un imponibile medio forfettario giornaliero (co. 646 lett. a e b art. 1 legge di stabilità 2015), ma dall’altro si è alzata bandiera bianca dinanzi ai ricorsi alla giustizia amministrativa dei concessionari non aspettando nemmeno la pronuncia della Consulta. Il governo Renzi con l’approvazione del co. 920 art. 1 della l. 28 dicembre 2015 n. 208 ha abrogato il co. 649 dell’art. 1 l. 23 dicembre 2014 n. 190, sollevando i concessionari dall’obbligo di versare i 500 milioni previsti. In questo modo, la lobby del gioco d’azzardo ha vinto su tutta la linea confermando la debolezza di uno Stato, e in particolare, di un esecutivo fautore di un nuovismo privo di sostanza su temi etici e fiscali, che non riesce che a racimolare pochi spiccioli rispetto all’enorme giro di affari dell’industria del gambling. Come si comprende dal successivo co. 921 art.1 della l. 28 dicembre 2015 n. 208, si ritorna al precedente principio proporzionale, non più commisurato al numero di apparecchi in funzione ma all’effettiva partecipazione alla distribuzione del compenso, ossia al volume delle giocate raccolte sulla base degli accordi contrattuali tenuto conto della loro durata nell’anno 2015. 
 
Gioco e alta finanza, il binomio del rischio in un mercato in espansione
 
I concessionari nella loro battaglia oltre a sollevare questioni di legittimità del dispositivo della l. 23 dicembre 2014, n. 190, art.1, co. 649, hanno insistito e insistono sul fatto di vivere un periodo di grande difficoltà, tale da non poter corrispondere le imposte dovute, eppure i segnali che vengono dal mercato globale del gioco d’azzardo sono di una costante crescita. Le statistiche elaborate dal 10° report GBGC (Global Betting and Gaming Consultants) riportano che il totale del fatturato dell’industria del gioco a livello globale ha raggiunto i 453 miliardi di dollari nel 2014 con un aumento dell’1.1% rispetto al 2013 e del 50% in dieci anni, Bloomberg stima che il mercato dei casinò è la dodicesima industria sulla faccia della terra, mentre l’European Gaming & Betting Association comunica che per quanto riguarda il gioco on-line le stime del 2015 nell’UE a 28, non ancora ufficialmente diramate, parlano di una quota che dovrebbe passare dal 13% a quasi il 15%, limitatamente, invece, al mercato italiano, il rapporto Coop 2015 su distribuzione e consumo, rimarca che il volume del gioco legale ha raggiunto gli 84,4 miliardi nel 2014, anche se altre fonti parlano di un giro d’affari vicino ai 90 miliardi, con una sostanziale tenuta rispetto agli ultimi due anni e con un fatturato quadruplicato dal 2004. Ovviamente, il dato in questo caso va interpretato alla luce dei singoli mercati, non è trascurabile che quasi tutti i concessionari siano delle multinazionali operanti in numerosi paesi, con implicazioni sui propri conti secondo l’andamento del settore e delle forme d’imposizione cui sono sottoposte le attività del gioco d’azzardo nelle varie realtà nazionali. È indicativo, però, che ci sia un notevole fermento, in grado di spiegare come gran parte dei bilanci di tali aziende risulta appesantita da debiti e perdite d’esercizio. Da qualche anno è in corso un processo di concentrazione che ha spinto i concessionari a fondersi o rilevare altri soggetti concorrenti, con un notevole esborso finanziario che comporta adeguamenti di capitale e contrazione di prestiti. Se si guarda all’elenco delle società individuate nelle selezioni a evidenza pubblica del 2014, si nota che la famiglia del gambling inizialmente formata da tredici concessionari (Admiral Gaming Network, B Plus Giocolegale Ltd., Cirsa Italia S.p.A., Codere Network S.p.A., Cogetech S.p.A., Gamenet S.p.A., HBG Connex S.p.A., Intralot Gaming Machine S.p.A., Lottomatica Videolot Rete S.p.A., Netwin Italia S.p.A. operativa dal 2013, NTS Network S.p.A. operativa dal 2013, Sisal Entertainment S.p.A., Snai S.p.A.) si è assottigliata e lo sarà ancora di più continuando di questo passo, ovviamente, senza tener in conto gli operatori del gioco a distanza il cui mercato è molto più affollato. Solo sei mesi fa, nel luglio del 2015, Snai S.p.A. ha proceduto all’acquisizione del 75,25% di Cogemat S.p.A, a sua volta detentrice del 100% del capitale sociale di Cogetech S.p.A. e Cogetech Gaming S.r.l., una delle originarie tredici sorelle del gioco d’azzardo italiano, analogamente, nell’aprile 2015, dalla fusione tra Gtech/Lottomatica e l’americana International Gaming Technologies è nato il colosso IGT controllato dalla D’Agostini S.p.A. Anche il Gruppo Codere, pur trovandosi al cospetto di una montagna di debiti stimata intorno ai 1300 milioni di euro, continua come se nulla fosse nell’acquisizione di altre società del gambling, infatti, negli stessi giorni in cui lasciava pendente parte del dovuto all’erario italiano (scadenza al 31 ottobre 2015 della seconda rata pari al 60% dell’importo stabilito) la multinazionale madrilena rilevava attraverso Codere Italia il 51% di due società, la Garet S.r.l. e la Game Over S.r.l., attive nel settore dei giochi in Toscana e Umbria, operazione che faceva seguito all’acquisizione in luglio dello stesso anno del 100% di Pgo Service S.r.l. per il tramite della consociata Gap Games. In particolare, su Codere si sono addensate diverse ombre a seguito di denunce presentate dagli stessi sindacati dei lavoratori circa la sua acquisizione da parte del gruppo di private equity Blackstone, e sul ruolo che tali fondi di investimento svolgono concentrandosi su azioni puramente speculative prive di connessione con la realtà industriale del settore. Se tali dichiarazioni rispondessero al vero, sarebbe piuttosto angosciante, dato che, oltre a Codere S.A., altre due corporazioni del gioco sono nelle mani di fondi di private equity, nello specifico, Gamenet S.p.A., uno dei maggiori operatori italiani per il gioco pubblico, è parte integrante del fondo Trilantic Capital Partners, mentre Snai S.p.A. è controllata da Investindustrial. 
Al quadro così delineato si aggiunge un ulteriore dato, importante soprattutto se si tiene in conto la recente e sarebbe il caso di dire benvenuta lotta della Commissione Europea, dopo anni di placida connivenza, contro le residenze fiscali di comodo di numerosissime multinazionali. Il riferimento è al labirinto di società operanti nel gioco d’azzardo dietro le quali c’è sempre una holding la cui cassaforte è ben custodita in uno dei molti paesi dal regime fiscale privilegiato, ad esempio, la Gaming Invest S.à.r.l, che possiede l’intero pacchetto azionario di Sisal Group S.p.A., ha la sua sede in Lussemburgo, la Novomatic Group, proprietaria dell’italiana Admiral Gaming Network ex G.matica S.r.l., ha ben due holding svizzere, Ace Casino Holding AG e Gryphon Invest AG, riconducibili al socio di maggioranza nonché fondatore del gruppo Johann F. Graf, la Global Starnet Limited ex B Plus Giocolegale Limited ha la sua sede in Regno Unito, la Masampe Holding B.V. della famiglia Martínez Sampedro, detentrice del 51% di Codere S.A., ha sede in Olanda, e a sua volta è controllata al 100% da Mabloem Ontwikkeling BV domiciliata in Amsterdam. Quest’ultimo paese è dagli anni ’70 la patria delle letterbox company, le compagnie a casella postale esistenti solo su carta ma senza alcuna operatività in loco, le quali trattengono il denaro giusto il tempo per trasferirlo a costo zero (l’Olanda lo permette) ad un’altra impresa domiciliata nei nuovi paradisi fiscali dove i capitali entrano e soggiornano esentasse, ruolo svolto da Investments & Securities Panama fino al 2012, prima di essere riportata in territorio spagnolo e assorbire nel 2013 la Necos Services Limited, una società unipersonale con nazionalità irlandese (in Irlanda la tassazione è al 12,50%), adesso sembra che le sue funzioni continui a svolgerle la sola Buenos Aires Entertaiment S.A., con sede nelle Bahamas, che si accredita come unico forziere del gruppo Cirsa Gaming Corporation dell’impresario catalano Manuel Lao Hernández, il quale sicuramente godrà della compagnia di altri magnati che fanno scomparire i loro lauti guadagni nel ventre di anonime società dimorate in Belize, Vanuatu, Andorra, Liechtenstein, Seychelles, Antigua, e altri degli oltre 30 paesi che a giugno 2015 comparivano nella black list dell’UE (Action Plan for Fair and Efficient Corporate Taxation Bruxelles, 17 giugno 2015: Europa, Andorra, Liechtenstein, Guernsey, Monaco; Africa, Liberia, Mauritius, Seychelles; Asia, Brunei, Hong Kong, Maldive; Oceania, Isole Cook, Nauru, Niue, Isole Marshall, Vanuatu; America, Anguilla, Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Bermuda, Isole Vergini Britanniche, Isole Cayman, Grenada, Montserrat, Panama, Saint Vincent e Grenadine, Saint Christopher e Nevis, Turks e Caicos e Isole Vergini Statunitensi.)

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