Le migrazioni contemporanee a Lampedusa

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Le migrazioni contemporanee a Lampedusa

 

di Giacomo Sferlazzo

 

Le migrazioni contemporanee a Lampedusa iniziano nei primi anni novanta a seguito della Convenzione di Schengen (1990) e della legge Martelli (1990). Il primo sbarco ufficiale avviene nel 1992. In quel momento l’isola era attraversata da un altro cambiamento che avrebbe stravolto la comunità  in ambito economico e sociale: il turismo di massa.  Questo processo non avrebbe risparmiato  l’isola stessa, sia sul piano del paesaggio che su quello urbano, con uno sviluppo scomposto e caotico che ha fatto danni irreparabili. 

Negli stessi anni, e in maniera speculare e parallela allo sviluppo del turismo, Lampedusa assumeva un ruolo fondamentale nella gestione delle migrazioni. Alla mancanza di strumenti urbanistici e della volontà politica in grado di regolare il moltiplicarsi veloce di alberghi, case e attività commerciali legate al turismo, si associava, in maniera violenta, il proliferare di radar, antenne e caserme, spesso in zone naturali protette. 

Nello stesso periodo, che non si è ancora concluso, l’isola subisce un altro stravolgimento. Lampedusa diviene luogo di creazione di retoriche e narrazioni funzionali alla gestione delle migrazioni e all’enorme giro di soldi connesso. All’opinione pubblica vengono date in pasto immagini preconfezionate e racconti che sono nel novanta per cento dei casi, costruzioni artificiali o distorsioni della realtà. Il “pubblico” ha finito per polarizzarsi in due schieramenti contrapposti ma assolutamente complementari e noi lampedusani non siamo riusciti a sottrarci a questo schema. 

"Porti aperti" o "porti chiusi", "pro o contro le migrazioni", "a favore dell’accoglienza" o "per i respingimenti" divengono facce di una stessa medaglia. Questo schema bipolare lascia fuori la sostanza del problema e la sua complessità a partire dalle cause che spingono migliaia di persone a lasciare il proprio paese e le responsabilità che i paesi occidentali hanno in questo. 

Un altro tema che viene omesso quasi sempre nel dibattito pubblico sulle migrazioni è la riduzione drastica di canali d’ingresso regolari per entrare in Europa. Questo ultimo punto si collega al lavoro, alla riduzione in schiavitù di migliaia di persone e all’abbassamento complessivo di diritti e salari per tutti i lavoratori. Tutto questo non avviene per una ineluttabile forza del destino, o come qualcuno vorrebbe far passare, come un processo naturale ma è dovuto alle leggi, che a partire dalla metà degli anni ottanta, l’UE ha imposto ai suoi stati membri. 

Leggi, politiche e deregolamentazioni varie che andrebbero viste nel quadro generale della liberalizzazione del commercio a livello mondiale (globalizzazione). I risultati sono sotto gli occhi di tutti: aumento della povertà, inquinamento, guerre, distruzione del pubblico in favore del privato, riduzione in schiavitù dei migranti, abbassamento dei diritti e dei salari dei lavoratori, crisi economiche. Una vera e propria guerra contro le masse da parte di una minoranza di banchieri, finanzieri e capi d’industria che detengono la stragrande maggioranza di ricchezza economica e il controllo di governi e dei mezzi d’informazione di molti paesi. 

Tutto questo ha investito la comunità di Lampedusa in maniera profonda. Le fratture all’interno della comunità sono aumentate sia per interessi legati al turismo che per quelli legati alle migrazioni, arrivando al paradosso che oggi tra i sostenitori più accaniti della presenza dell’hotspot sull’isola sono proprio i più intolleranti. 

La gestione delle migrazioni e la militarizzazione dell’isola, hanno creato un indotto non indifferente, e a detta di alcuni lampedusani, di una notevole pubblicità, che alla fine, non ha fatto altro che fare aumentare il turismo. Sono gli stessi che erano a favore dei respingimenti, oggi, a tifare per la narrazione dell’isola dell’accoglienza, della terra di salvezza, di eroi accovacciati a piangere sotto la Porta d’Europa, perché hanno capito che in termini d’immagine funziona. Per loro l’importante è che non si veda nulla delle operazioni legate alle migrazioni e che le persone migranti siano invisibili, rinchiuse nell’hotspot e oggi sulle navi quarantena. 

Sulla natura stessa dei centri per migranti, invece andrebbero dette molte cose e ci vorrebbe molto spazio ma una cosa va chiarita sono dei luoghi in cui si privano le persone della propria libertà e  in cui si fa profitto sulla loro pelle. I centri di detenzione per migranti sono la diretta conseguenza della mancanza di canali d’ingresso regolari e di garanzie e diritti per i lavoratori.  Noi lampedusani non siamo stati ancora in grado di elaborare una linea condivisa su questo tema cadendo spesso nelle contrapposizioni di cui parlavo prima e i governi hanno saputo mettere in atto una strategia di controllo e divisione della popolazione e delle amministrazioni locali che hanno collaborato in maniera più o meno cosciente al processo di “frontierizzazione” dell’isola. 

La comunità ha avviato un primo radicale cambiamento dalla seconda metà degli anni ottanta con l’avvento del turismo di massa e il passaggio da isola di pesca a isola turistica, e dai primi anni novanta con la presenza del centro di detenzione per migranti e delle forze militari, ha visto convivere l’economia turistica con l’utilizzo militare e carcerario che i vari governi (subordinati alla volontà dell’UE) hanno fatto di Lampedusa. Questi processi hanno frammentato la comunità rendendo più difficile, se non impossibile, un'opposizione e un'alternativa di sviluppo dell’isola.

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