Lettera aperta ai dirigenti del Pci

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Stare in un Partito è un atto di fiducia. Diventarne militanti è sacrificio, abnegazione per l’idea. Assumere ruoli dirigenti è prendersi sulle spalle una responsabilità enorme, per sé e per gli altri, in un contesto storico in cui, nel nostro caso, comunismo significa tante cose, ma per la nostra breve esperienza quasi tutte cose che col comunismo non c’entrano assolutamente nulla.

Per chi come noi è entrato a far parte del Partito Comunista Italiano ricostituitosi a San Lazzaro di Sabena (Bologna) nel 2016 ha significato innanzitutto credere nel sogno di ridare una casa ai comunisti d’Italia, tentando di invertire la rotta delle divisioni e delle spaccature che si sono prodotte nel nostro paese da un certo momento in poi. Al centro era stato messo il glorioso simbolo del vecchio PCI, purtroppo solo evocato. Non a tutti, forse, ma alla maggioranza di loro, nel rispetto delle differenti letture di un periodo ormai passato, finito, mai pienamente analizzato e dunque compreso nella sua complessità e organicità.

A meno di tre anni, chi aveva ipotizzato come tale questo progetto, deve ammettere a se stesso e agli altri, che esso è miseramente fallito, distrutto dai soliti vizi, dai soliti limiti, dalle solite tristi dinamiche che son sempre quelle. Questo Partito che aveva suscitato spinte entusiastiche al suo esordio (ricordiamo i 12.000 iscritti nel giro di qualche mese) ha avuto la sua prima fase di arresto –come volevasi dimostrare – nel primo passaggio elettorale, quello delle passate nazionali.                             

In quell’occasione la dirigenza – dopo aver ascoltato i rappresentanti regionali, tocca dirlo, specie quelli del Nord Italia – decise di non tentare con la raccolta firme e pose alla votazione la partecipazione alle elezioni dentro la piattaforma di Potere al Popolo, nella quale erano entrati anche Eurostop e Rete dei Comunisti (coi quali il Partito era in ottimi rapporti). La mozione passò con una maggioranza risicata ma passò (non entriamo qui nel merito della diatriba che ne seguì sul numero legale). In quel tempo si scatenò una battaglia interna lacerante, furibonda, non consone affatto al costume dei comunisti: compagni che si lanciavano accuse reciproche per difendere la propria posizione. Chi, come anche alcuni di noi, decise di votare favorevolmente, lo fece in buona fede perché si era convinto che fosse una opportunità per il Partito e che fosse una scelta da vedere come ‘male minore’. Anche perché, si era visto già qualche mese prima con l’esperienza delle Regionali siciliane, che di parlare con l’altro partito comunista a noi più vicino (il PC con segretario Marco Rizzo) non vi era proprio volontà. Sappiamo tutti molto bene come sia andata: le elezioni, ovviamente, non hanno portato a nulla, se non a un 1.1% e alla perdita di intere sezioni nelle due regioni contrarie a quest’esperienza. I mesi seguenti sono stati molto, molto duri. Sentivamo tutti l’esigenza di un Congresso che mettesse le cose in chiaro sulla linea da seguire, sui rapporti fra i compagni, sul rispetto delle regole, sulla fiducia nei confronti della Dirigenza tutta. Abbiamo lavorato alacremente, chi più chi meno, alla preparazione e alla realizzazione di quel Congresso, cercando di fare in modo che riuscisse nel migliore dei modi.

Ed effettivamente sembrava corretta la linea uscita dal Congresso di Orvieto. E sembrava giusta anche la linea uscita dal primo Comitato Centrale, sopratutto la promessa della stretta sui dipartimenti e sul lavoro degli stessi. Ebbene, son passati pochi mesi e nulla di questo ha prodotto buoni risultati. O per meglio dire: nulla è stato eseguito per come ci si era prefissati. Ad esclusione di un paio di dipartimenti, c’è il vuoto più totale nella creazione di una politica attiva che tenda a esserci nei territori e nelle lotte: anzi, ad oggi non conosciamo il reale numero degli iscritti e delle sezioni esistenti. Non ci siamo nelle lotte vere: si è scelto – peraltro senza la discussione e la conseguente votazione in Comitato Centrale – di aderire a manifestazioni di dubbio significato politico, assieme a gente che, ad esempio, fa il verso all’imperialismo su Venezuela e Syria. Si è aderito alla manifestazione indetta dai sindacati confederali che hanno sfilato assieme a Confindustria e si denigra chi non la pensa alla stessa maniera e auspicherebbe nessun entusiasmo nei confronti di un sindacato come la CGIL che, negli ultimi trent’anni, ha sacrificato tutto sull’altare della concertazione. Come non si accettano critiche all’Anpi e a ciò che è diventata.

A questo si aggiunga l’assoluta ambiguità teorica. Se infatti da un lato ci si professa contro questa Ue finanziaria e si proponga l’uscita dalla stessa, dall’euro e dalla NATO , dall’altro non si accettano critiche che riguardano il vecchio P.C.I. del quale si dice di voler riprendere le cose migliori. Ma in realtà quella storia è assolutamente intoccabile, i suoi protagonisti dei santini scevri da errori, e quel Partito finito per colpa di un destino cinico e baro. Chiunque ne affronti criticamente gli avvenimenti meno chiari, proprio quelli che avrebbero dato vita a quell’altro P.C.I., quello che si tramuterà nel mostro chiamato PDS, è immediatamente attaccato come si trovasse dinnanzi l’Inquisizione. In pratica: ogni qualvolta si fanno notare delle contraddizioni in seno al Partito, alle esternazioni ufficiali dei suoi dirigenti, alle manifestazioni cui prende parte, alla sua immagine pubblica (che quando non è legata ad eventi elettorali è quasi del tutto centrata su presentazioni di libri che poco o niente interessano alla maggioranza dei cittadini italiani) noi stiamo facendo del male a questa piccola organizzazione che vorrebbe dirsi Partito.

Ora, in termini di tempo, ci si avvicina alle Europee, ed anche in questo caso si è assistito all’ennesima pantomima. Prima si fa di tutto per fare un’operazione elettorale con Pap (ma come? Non ne eravamo usciti?), ma Pap non ci ha voluti. Quindi ci si presenta alle elezioni europee da soli. Da soli. Fateci capire: per le elezioni politiche del 2018 non potevano farcela a presentarci da soli e per le Europee, ove le firme sono ben 5 volte di più, invece sì? E con quali forze, di grazia? Con quali e quanti militanti?

Crediamo che questo sia solo un atto momentaneo umilierà di nuovo il simbolo a cui teniamo come minimo, a meno che questo, nei prossimi giorni, non si trasformi in altro, e allora sarebbe l’ennesima beffa. Questo Partito si è lentamente trasformato in tutto ciò che volevamo combattere. Lo spettro dell’elettoralismo ha preso piede e non esistono ragionamenti di ordine teorico e pratico da attuare. Le espressioni egemonia e far scoppiare le contraddizioni vengono utilizzate ad ogni piè sospinto per giustificare accordi con realtà che non solo non c’entrano nulla con noi ma che, al

contrario, finiscono per egemonizzarci e far scoppiare le nostre di contraddizioni. Ma d’altronde come può un Partito così piccolo con una incerta presenza territoriale permettersi di pensare di poter egemonizzare una qualsiasi altra forza? Qui non si tratta più di “ottimismo della volontà che supera il pessimismo della ragione”, ma di numeri e capacità, di possibilità reali e non di mere illusioni. Alla luce di tutto questo, in quanto dirigenti, riteniamo doveroso il portare a conoscenza di tutto quanto il Partito il fatto che ogni sforzo che è stato attuato in questi mesi per orientare in senso autenticamente marxista-leninista il PCI è miseramente fallito e la colpa è da addurre, principalmente, alla classe dirigente centrale, incapace di sviluppare il potere – laddove si dovrebbe – e di considerare il Comitato Centrale per quello che dovrebbe essere, ovvero il massimo organo politico decisionale del Partito, e non una giuria di sprovveduti ai quali tocca di votare decisioni già prese, incontri già avvenuti, rapporti già stretti.

Facciamo appello infine a tutti i militanti nella richiesta di un Congresso straordinario da tenersi prima dell’ennesima scadenza elettorale e cioè il 27 maggio, scrivendo per adesioni mailgiusigreta.dicristina@gmail.com

 

 

GIUSI GRETA DI CRISTINA, Comitato Centrale, Piemonte, .                                                         
ANTONELLA LICHERI, Comitato Centrale, Sardegna.                                   
VINCENZO RANDAZZO, Segretario Provinciale Palermo.                  
ANDREA COSTANZO, Presidente  Federale  Palermo                                                           
ALESSANDRO CATALISANO, Tesoriere Federazione Palermo

     CORRADO PINNA, Comitato Regionale Sardegna

     EROS CALCARA, Responsabile Scuola e Università Federazione                    Palermo

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