Litvinenko, Skripal e tutti i buchi nell'acqua di criminalizzare Putin

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Litvinenko, Skripal e tutti i buchi nell'acqua di criminalizzare Putin

 

Uno stinco di santo certamente non è visto che per anni ha diretto l’efferato FSB (ex KGB). Ma da questo ad inventarsi una serie pressoché infinita di fake news contro di lui ce ne corre. Ci riferiamo a Vladimir Putin in questi giorni incriminato come criminale di guerra dopo una “inchiesta” che non si regge in piedi (nonostante il vergognoso articolo de “il manifesto”) ma che, come tante altre contro di lui, servirà a cementare nell’opinione pubblica la leggenda di un mostro del quale sbarazzarsi al più presto.

Come l’essere il mandante dell’omicidio (7 ottobre 2006) di Anna Politkovskaja, una tra i tanti giornalisti uccisi in Russia in quegli anni, autrice di innumerevoli denunce, soprattutto contro gli oligarchi imperanti in Russia, ma che, solo per aver scritto qualche articolo anche sulla guerra in Cecenia, oggi viene universalmente ricordata come una “vittima di Putin.” Ma su cosa si basano le tante accuse contro Putin? Per quanto riguarda la Politkovskaja molte inchieste giornalistiche condotte in questi anni e lo stesso processo contro i suoi presunti killer non sono approdati a nulla. Certo. Le indagini giudiziarie sono state svolte dall’apparato investigativo della Federazione Russa; ma quali prove sarebbero emerse per altri crimini addebitati a Putin verificatisi in Occidente? Limitiamoci ad esaminarne due: il presunto avvelenamento, tramite Polonio, del “dissidente russo” Litvinenko e quello degli Skripal, avvenuto tramite il fantomatico Novichock.

Il 23 novembre 2006 muore in una clinica di Londra Aleksandr Litvinenko, ufficialmente per aver ingerito Polonio 210; la stessa sostanza che sarebbe stata usata per l’omicidio del leader palestinese Yasser Arafat.

Intanto, due parole sul Polonio 210. Rarissimo in natura, viene oggi ottenuto irradiando Bismuto (209Bi) con neutroni ad alta energia in reattori nucleari collegati a speciali apparati. In tutto il mondo, ogni anno, si producono appena 100 grammi di Polonio 210 (impiegato, per lo più, in congegni usati, negli USA, dall’industria della plastica) la maggior parte proveniente dalla Russia. Esistono 25 radioisotopi di Polonio, ma il 210 è il più pericoloso di tutti; penetrato in un organismo, si diffonde rapidamente diventando gassoso mentre le sue radiazioni alfa “bruciano” ogni cellula che incontra; bastano così appena 7 miliardesimi di milligrammo di questa sostanza per uccidere, quasi subito, una persona. Se una persona, invece, ne è irradiata dall’esterno sviluppa gravi patologie, tra cui leucemia e neoplasie, che, comunque, non si manifestano immediatamente. Arafat, ad esempio, morto l’11 novembre 2004, verosimilmente per radioisotopi di Polonio nascosti nella sua poltrona, aveva cominciato a sentirsi male già il 12 ottobre. Meglio tenere a mente questi dati per capire le assurdità della ricostruzione ufficiale della morte di Aleksandr Litvinenko, ovviamente, addebitata al Cremlino.

Ma chi era Litvinenko, e perché il Cremlino avrebbe dovuto ucciderlo?

Già funzionario dei servizi segreti russi, passa nell’entourage dell’oligarca Boris Abramovich Berezovskij con il quale si trasferisce in Gran Bretagna e dove, nel 2002, pubblica una serie di libri (un flop editoriale) contro Putin.

Il 1° novembre 2006 prende, da solo, un the all’Hotel Millennium di Londra conversando con tale Mario Scaramella poco prima di avere incontrato lì due ex agenti KGB: Dmitry Kovtun e Andrey Lugovoy (quest’ultimo porta all’incontro anche suo figlio). Litvinenko passa poi a trovare il miliardario esule Boris Berezovsky e torna a casa. Poche ore dopo, comincia a soffrire di vomito e diarrea. Tre giorni dopo viene ricoverato al London University College Hospital dove la situazione si aggrava sempre di più fino a portarlo alla morte il 23 novembre.

Otto anni dopo, il governo britannico istituì una Commissione di indagine parlamentare sulla morte di Litvinenko, diretta dal giudice sir Robert Owen, che, nel 2016 pubblicò un ponderoso Rapporto così sintetizzabile: i due “ex” agenti dei servizi segreti russi, Dmitry Kovtun e Andrey Lugovoy, su incarico del Cremlino, sono gli esecutori materiali dell’omicidio commesso versando nella teiera destinata a Litvinenko di una dose enorme di Polonio 210: 10 microgrammi, con i quali si sarebbero potute uccidere almeno 200 persone.

Le prove? Intanto le accuse a Putin espresse da Litvinenko sul letto di morte. Accuse, comunque, attestate esclusivamente dal suo autonominato portavoce (il microbiologo Alex Goldfarb, che a New York dirigeva l’International Foundation for Civil Liberties di Berezovsky e già collaboratore di George Soros, nemico dichiarato di Putin). Accuse alle quali non crede affatto Maksim Litvinenko, fratello di Aleksandr, residente da anni a Rimini, il quale in almeno due occasioni ha rilasciato interviste spiegando che non solo non ritiene il governo russo colpevole dell’assassinio del fratello, ma che Aleksandr, in realtà era un infiltrato del governo russo nell’entourage di Berezovskij.

Ancora più sospetta l’altra “prova” riportata nel Rapporto della Commissione Owen; tracce dei raggi Alfa emessi dal Polonio sarebbero state rintracciate da Scotland Yard non solo sulla teiera usata da Litvinenko all’Hotel Millennium ma anche: nella camera di albergo dove alloggiavano Kovtun e Lugovoy; allo stadio Emirates a Holloway, dove Lugovoy è andato a vedere una partita dell’Arsenal; in un appartamento di Amburgo, dove Kovtun ha soggiornato alcune settimane dopo…

 Si chiede a tal riguardo il giornalista investigativo Luca Longo.

<<Possibile che la dinamica dell’assassinio sia stata così pasticciata da lasciare quantità così significative di veleno addosso agli stessi avvelenatori?  (…) Ma le tracce sono state seguite anche all’indietro. Ad esempio è risultato contaminato il night club Hey Jo frequentato da Kovtun la settimana precedente. Sono risultati contaminati aerei, auto, locali, alberghi; praticamente tutti i posti in cui è stato, anche fugacemente, Lugovoy. Ad esempio la camera 848 dell’Hotel Sheraton in cui è passato la settimana precedente sarebbe risultata contaminata in numerosi punti: sul pavimento, le pareti, il water, i cestini. Persino le poltrone degli aerei in cui ha volato (nelle settimane precedenti è arrivato ed è ripartito da Londra altre tre volte) sono risultate altamente contaminate. Possibile che l’agente incaricato di una missione così pericolosa fosse un idiota capace di sparpagliare ovunque un veleno potentissimo anziché tenerlo ben chiuso e al sicuro in una semplice fialetta fino al momento in cui avrebbe dovuto impiegarlo? Inoltre, una persona con un minimo di intelligenza avrebbe portato proprio suo figlio all’appuntamento dove, finalmente, avrebbe dovuto aprire la fialetta e versare il contenuto nella teiera col rischio di contaminare anche le persone circostanti? (...) Ma non sono solo queste le assurdità contenute nel rapporto della Commissione di indagine parlamentare. L’inchiesta avrebbe rivelato dall’analisi dei capelli di Litvinenko che il Polonio 210 è entrato nel suo corpo ben due volte a distanza di qualche settimana. La prima volta, il 16 ottobre 2006, l’ex agente segreto aveva attribuito il forte malessere proprio ad una intossicazione alimentare. Quella volta, gli assassini avevano tentato di raggiungerlo negli uffici della compagnia di sicurezza Erinys di Mayfair. È stato detto che un avvelenamento così anormale sarebbe stato scelto apposta per dare un preciso segnale: gli assassini di Litvinenko hanno accesso a uno dei più potenti veleni esistenti, sono protetti – anzi, diretti – da una potenza nucleare. Per essere precisi, sono “certamente” agenti russi. Allora perché scegliere un metodo che avrebbe potuto passare, al contrario, completamente inosservato come nel primo caso di avvelenamento?

Litvinenko, poi, sarebbe stato avvelenato da una dose enorme di Polonio 2010: 2 GBq (50 mCi) corrispondenti a 10 microgrammi di Polonio. Questa dose, che potrebbe essere nascosta in un granello di sale da cucina, rappresenta oltre 200 volte la dose letale, che si valuta attorno ai 238 µCi pari a 50 nanogrammi. Perché impiegare un dosaggio sufficiente a sterminare un’intera compagnia di soldati?>>

 Ci sarebbe, poi, da domandarsi che motivo avrebbe avuto Mosca (ad un mese dall’assassinio in Russia della giornalista Anna Politkovskaja) ad ordinare una così plateale esecuzione di un suo ex agente, (tra l’altro, di basso rango e scappato ben sei anni prima)? E, visto che ci siamo, perché mai i servizi segreti russi (che, certamente, vantano una terrificante professionalità in omicidi) avrebbero messo su una talmente sgangherata operazione? Comunque, nonostante le sue evidentissime contraddizioni, la leggenda di Litvinenko ucciso con il Polonio 210 su ordine di Putin è diventato un dogma, servito anche a consolidare la bufala dell’avvelenamento di Sergei Skripal e di sua figlia Yulia (su questa saga si veda - oltre che qui - qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui) effettuato tramite il fantomatico Novichok.

Il 4 marzo 2018, su una panchina nella cittadina inglese di Salisbury, venivano trovati, privi di sensi, Sergei Skripal e sua figlia Yulia. Comincia così una bufala costellata da talmente tante illogiche ipotesi (tutte finalizzate ad accusare Putin) che, accettata pienamente dai media mainstream, riteniamo sia la prova più evidente della loro malafede.

Intanto, due parole su Serghei Skripal. Già agente del GRU (un servizio segreto russo) era passato al soldo del MI6 (il servizio segreto britannico); nel 2006 i russi avevano scoperto il suo doppio gioco: incarcerato, nel 2010 era stato rimandato in Inghilterra in uno scambio di spie. Già questo bastava al Primo ministro britannico per dichiarare, il 9 marzo 2018, che dietro l’attentato a Sergei Skripal e alla figlia c’erano i russi.

 E perché mai i russi avrebbero dovuto colpire una spia che avevano liberato otto anni prima? I media pretendono di avere la risposta: “C’è chi ricorda come al Gru si vocifera che le reclute siano avvertite fin dal primo giorno di servizio di non farsi illusioni: non è previsto uscirne da traditori o transfughi impunemente”. Ad essere pignoli (e, magari, appassionati di thriller) si sarebbe potuto trovare una spiegazione più logica di quella della tardiva (e incomprensibile) vendetta dei russi. E cioè che era stato un avvertimento del MI6 britannico per ammonire un suo agente (al quale avevano già garantito il rifugio in Gran Bretagna) che - poniamo – deluso del trattamento avuto dai suoi padroni britannici minacciava di spifferare una qualche informazione ai giornali (ad esempio, come – già il 13 marzo - rivelava il Telegraph, la sua collaborazione con Christopher Steele, autore di un dossier diffamatorio contro Trump). Ci sembra un’ipotesi ragionevole, spiegando anche il perché, oltre a Skripal, era stata colpita la figlia Yulia. Ma visto che i colpevoli dovevano, per forza, essere i russi, mentre il governo inglese mandava 140 soldati in tuta NBC a fare scena a Salisbury, ecco che spunta l’arma del delitto.

Sergei Skripal e la figlia sono stati colpiti con Novichok: un gas nervino prodotto solo in Russia, cento volte più letale del Sarin.” Questi i titoli dei giornali dopo le “analisi” compiute dai laboratori del Centro armi biologiche di Porton-Down (per capirci, quello che attestava delle Armi di Distruzione di Massa in mano a Saddam). Già, ma perché mai i russi avrebbero dovuto utilizzare per l’attentato l’unica sostanza che li avrebbe ricondotti a loro? E, soprattutto, perché mai, considerato che il Novichok è “cento volte più letale del Sarin” Skripal e la figlia non sono morti?

Nessun media mainstream si pose queste banalissime domande. Anche perché erano tutti impegnati a sbandierare il come i russi avevano potuto colpire Skripal e la figlia. Secondo fantomatiche “fonti” dei servizi segreti britannici, il Novichok era stato spruzzato (ovviamente, dai russi) su indumenti posti nella valigia di Julia Skripal, arrivata in aereo da Mosca.

Già, ma fate attenzione a questa time-line pubblicata in un Rapporto ufficiale del governo britannico.  Julia Skripal, il 3 marzo, atterra all’aeroporto di Heathrow alle 14.40; il giorno dopo, alle 9.15, Julia Skripal (che certamente già indossava l’indumento “avvelenato”) viene vista con il padre in macchina; alle 14.20 i due vanno a mangiare al ristorante Zizzi; ne escono alle 15.35  per andarsi a sedere sulla famosa panchina dove saranno trovati entrambi riversi e privi di sensi. Si, ma se il Novichok sull’indumento (i giornali avevano parlato di uno slip) indossato da Julia ha impiegato più di sei ore per agire, perché i due sono svenuti   contemporaneamente? Indossavano entrambi gli slip arrivati da Mosca?  Davvero improbabile.

Ancora più strampalata la seconda “ricostruzione dell’attentato”, divulgata qualche settimana dopo da Scotland Yard e presa, anch’essa, come Vangelo da tutti i media. Il contatto con il Novichok è avvenuto non già attraverso un indumento contaminato ma toccando la maniglia del portone di casa. Davvero bizzarro che due persone, per uscire di casa, afferrino entrambi la maniglia del portone. E allora, sempre da Scotland Yard, arriva un’altra ricostruzione: il Novichok è stato messo nel sistema di ventilazione dell’automobile. Si, ma se l’attentato è stato realizzato a Salisbury e non in Russia, (come suggerivano le ultime due ricostruzioni) perché mai si continuava ad accusare soltanto i russi?  Ovviamente, sui media, non se lo domandava nessuno. Fin quando non spuntò la storia di Alexander Petrov e Ruslan Boshirov, due turisti russi in visita a Londra. Avevano fatto perdere le loro tracce nella notte del 3 marzo, (giusto il giorno prima dell’attentato agli Skripal!) quando erano stati buttati fuori dal City Stay Hotel per il chiasso di un’orgia che i due stavano consumando nella stanza con alcune escort. Strano davvero che due agenti segreti, la notte prima di compiere un segretissimo attentato, si esponessero, così, al rischio di essere fermati dalla polizia.

Ma ad attestare la loro colpevolezza provvide Eliot Higgins un “esperto” l’idolatrato dai media mainstream che essendo riuscito, non si sa come, a entrare nel data base della polizia russa, aveva scoperto sulla pratica del passaporto rilasciato ad Alexander Petrov il timbro con la dicitura “Non fornire alcuna informazione” sulla quale, per di più, era stata aggiunta a mano pure la sigla “S.S.”: “Sovershenno Sekretno”, top secret in russo. Insomma, roba da thriller di quart’ordine.  Altra “rivelazione” dal giornale Mirror: Alexander Petrov e Ruslan Boshirov erano accompagnati da un medico russo, sorprendentemente soprannominato “Dr. Novichok”, «incaricato di intervenire se uno dei due assassini si fosse accidentalmente avvelenato.» E pensare che, un tempo, erano gli agenti segreti trovatisi scoperti ad avvelenarsi.  Il caso Skripal, trascinatosi per due anni, (prima di concludersi con l’intervista alla Reuters di Julia Skripal che dichiarava che sarebbe andata a vivere in Russia) nonostante le sue evidenti incongruenze è servito all’Unione Europea e agli USA ad infliggere sanzioni alla Russia, nonostante questa avesse chiesto l’istituzione di una Commissione internazionale sul caso. Nell’agosto 2020 torna alla ribalta il fantomatico Novichock con la bufala del tentato avvelenamento in Russia del paladino dell’Occidente Aleksej Navalny. Un caso surreale. Magari, ve lo raccontiamo un’altra volta.

 

Da Avanti.it

Francesco Santoianni

Francesco Santoianni

Cacciatore di bufale di e per la guerra. Autore di "Fake News. Guida per smascherarle"

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