Cina e Sri Lanka: la logica della “Via della seta marittima”
di Diego Angelo Bertozzi
Quello con lo Sri Lanka potrebbe essere solo l’ultimo, in ordine di tempo, degli accordi di libero scambio che la Repubblica popolare cinese ha promosso e sottoscritto negli ultimi anni con i Paesi vicini. E che si aggiunge a quelli in discussione con Australia, Corea del Sud e Giappone.
Quello con lo Sri Lanka potrebbe essere solo l’ultimo, in ordine di tempo, degli accordi di libero scambio che la Repubblica popolare cinese ha promosso e sottoscritto negli ultimi anni con i Paesi vicini. E che si aggiunge a quelli in discussione con Australia, Corea del Sud e Giappone.
Ma quello tra Pechino e Colombo ha una portata geopolitica diversa: si inserisce a pieno titolo nella strategia cinese della “Maritime Silk Road” - parallela alla terrestre “Nuova via della Seta” - che prevede la costruzione di infrastrutture lungo le principali rotte marittime che dal Mar cinese meridionale portano, via Oceano Indiano, alla turbolenti acque del Mar Rosso. Una intelaiatura di rapporti e alleanze che dovrebbe rendere sicuro l’approvvigionamento energetico al sempre assetato ex Celeste Impero: sul Mar cinese meridionale, passando dallo stretto di Malacca, navigano le petroliere che garantiscono il 70% del fabbisogno cinese di oro nero.
Per alcuni studiosi la “Via della Seta marittima” altro non sarebbe che una versione più melliflua della cosiddetta “Collana di perle” - costruzione di insediamenti portuali in Paesi rivieraschi quali Myanmar, Pakistan, Malesia e Sri Lanka - che insiste sulla necessità della collaborazione commerciale e della costruzione di infrastrutture finalizzate a migliorare i collegamenti in nome di un “destino comune”, come ebbe a dire il presidente cinese Xi Jinping nel suo viaggio in Malesia nel novembre 2013.
La riappropriazione e trasformazione cinese di una definizione - quella del “filo di perle” - partorita a Washington nel 2005 - dovrebbe rendere più tranquilli vicini sospettosi come l’India che temono di essere rinchiusi in una maglia sempre più stretta.
Un linguaggio meno militare e più consono alla definizione di “ascesa pacifica”, che contraddistingue a livello ufficiale la progressiva crescita economica e politica cinese, e che secondo secondo Zhou Bo (membro onorario dell'Accademia delle Scienze Militari cinese)recupera un illustre precedente: a suo avviso il percorso delle Task Forces cinesi impegnate nella lotta anti-pirateria nell’Oceano Indiano, sotto bandiera Onu, non è dissimile dalla "Maritime Silk Road" che l'ammiraglio Zheng He e la sua flotta intrapresero nel 1405. Allora come oggi, nessuna volontà di dominio, di occupazione o di presenza militare permanente, ma la costruzione di legami economici in un'area strategica per lo sviluppo della Cina.