Il "mastino della guerra" degli Stati Uniti colpirà ancora

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Il "mastino della guerra" degli Stati Uniti colpirà ancora


di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico

Procedendo nell'analisi di questa enorme crisi che coinvolge il continente euroasiatico e africano ci siamo accorti di come fosse necessario suddividere le aree del conflitto in quattro diversi quadranti; quello europeo, quello caucasico, quello mediorientale e quello africano. Naturalmente questo va fatto senza mai dimenticare che il conflitto in corso vede sempre impegnati gli stessi protagonisti principali, con gli attori locali che cambiamo a seconda del quadrante che si vuole analizzare.

La logica proposta è valida – a nostro avviso - anche nel quadrante mediorientale, che, va detto, è comunque quello che offre il mosaico più complesso da ricomporre, a causa del fatto che al suo interno si intrecciano questioni storiche di lunga data, oltre che questioni di natura culturale e religiosa.

Come sappiamo, la crisi in Medio Oriente è deflagrata in tutta la sua violenza a causa dell'attentato del 7 Ottobre dell'anno scorso, quando i commandos di Hamas riuscirono a evadere i controlli israeliani attorno alla striscia di Gaza e a perpetrare alcune stragi in degli insediamenti israeliani e, addirittura, in un raduno per giovani appassionati della musica tecno. Un atroce atto di terrorismo che è costato la vita a circa mille e duecento israeliani ma che nelle sue dinamiche ha lasciato perplessi molti osservatori a partire dall'evidenza che i super tecnologici sistemi di intelligence e di controllo israeliani posizionati attorno a Gaza, hanno completamente fallito nel dare indicazioni sull'imminenza di una azione terroristica da parte di Hamas.

Comunque siano andate le cose relative a quel terribile attentato, possiamo affermare che la reazione del governo di Tel Aviv è definibile come abnorme ed ingiustificata perché ha causato (ad ora) oltre quarantamila morti tra i palestinesi oltre che la quasi totale distruzione degli insediamenti umani nella striscia di Gaza. Definisco ingiustificata la reazione israeliana non solo perché ha convinto molti paesi del mondo a presentare formale denuncia contro il governo di Tel Aviv per crimini di guerra presso la Corte Penale Internazionale dell'Aja ma anche perché essa appare assolutamente controproducente per la stessa tutela dei diritti e degli interessi degli israeliani, i quali ormai per lungo tempo dovranno rinunciare ad avere relazioni diplomatiche amichevoli con i paesi arabi vicini.

Eppure se si guarda a quanto è accaduto in questi mesi in Medio Oriente - ed in particolare alle mosse di Israele - attraverso il prisma della “guerra mondiale a pezzi” il comportamento irrazionale al limite della follia di Bibi Netanyahu assume una logica di ferro e soprattutto emergono tanti interessi – a nostro modo di vedere – accuratamente nascosti e dunque taciuti dai mass media.

La premessa fondamentale per capire è certamente il fatto che Israele è un paese ricchissimo (parliamo di circa 55000 dollari di Pil pro-capite) certamente non grazie ai commerci e alle buone relazioni con i paesi vicini, ma grazie ai trasferimenti finanziari e tecnologici degli USA, oltre che grazie alla protezione diplomatica e militare garantita sempre da Washington. C'è chi ipotizza che un simile supporto sia dovuto al fatto che una presunta “lobby ebraica” riesca ad influire in maniera potentissima sulle decisioni di Washington; io personalmente ritengo che questa sia una visione complottista e probabilmente legata anche a qualche fantasma antisemita di troppo presente nella cultura occidentale. La molto più probabile “Verità Vera” è che l'arma fondamentale di Washington è quella di riuscire a creare dipendenza nei propri vassalli, conseguentemente gli USA donano di tutto ai loro “alleati” più fedeli e più importanti. Questo vale per l'Italia (provate voi ad immaginare se improvvisamente si bloccasse il nostro export verso gli USA quanti milioni di disoccupati in più avremo?) e vale ancora di più per Israele.

In altri termini il ruolo di Israele in Medio Oriente è quello di “mastino della guerra” degli Stati Uniti, pronto ad essere lanciato contro qualsiasi paese o entità che, in qualche modo, intralci gli interessi e i disegni di Washington in quell'area del mondo.

Il Medio Oriente è, appunto, l'area vitale per eccellenza degli USA, ben più dell'Europa: in quest'ottica, per Washington, qualsiasi investimento per tenersi Israele come alleato è da ritenersi accettabile. In cambio Israele agirà a comando pronto ad esaudire ogni richiesta del padrone.

In politica estera, nulla è gratis e l'amicizia – come peraltro diceva Kissinger – non esiste; esistono solo soci in affari. Questo è il reale rapporto esistente tra Tel Aviv e Washington.

Se si guarda ciò che sta succedendo in Medio Oriente in questa cornice si vede facilmente come non sia necessario spiegare le mosse di Israele attraverso l'uso di categorie opinabili, quale appunto la presunta follia di qualche leader politico. Basta capire che non esiste egemonia mondiale del dollaro senza il petrodollaro, ovvero senza l'accordo tra Arabia Saudita ed USA per il quale Riyad si fa pagare il petrolio in dollari (e li reinveste in USA) mentre in cambio gli USA offrono sostegno totale ed illimitato alla monarchia dei Saud. In questa fase, con la reggenza del principe Bin Salman l'Arabia Saudita si sta staccando dal vecchio accordo con gli USA e sta allacciando enormi rapporti con la Russia, con la quale concerta l'output di greggio attraverso l'OPEC+ e con la Cina alla quale Riyad vende il petrolio in yuan. Siamo cioè di fronte ad una potente penetrazione di Russia e Cina nel Sancta Sanctorum del potere del Dollaro.  E questo rappresenta un pericolo esistenziale per gli USA che, infatti, hanno immediatamente lanciato il proprio mastino della guerra di Tel Aviv in azioni apparentemente folli (pensiamo al bombardamento dell'ambasciata iraniana a Damasco, o alla sanguinaria rappresaglia a Gaza); ma si tratta di azioni che sono folli solo se si guarda al ringhio del mastino di Tel Aviv ma che invece assumono le fattezze della razionalità se si guardano gli interessi del padrone di Washington.

Dunque in questa logica Israele è un semplice agente provocatore che ha, in questa fase, il compito di ricordare a tutti gli altri paesi fondamentali dell'area che qualora continuasse la progressiva penetrazione sino-russa a discapito degli USA e del Dollaro, provocheranno inesorabilmente la destabilizzazione completa dell'area e anche la guerra totale se necessario. In cambio di questo servizio Tel Aviv sta ottenendo da Washington protezione totale anche sul fronte della Corte Penale Internazionale oltre che supporto militare assoluto.

E' per questo che se anche ci sarà pace nella Striscia di Gaza, come tutti ovviamente auspichiamo, ciò non significherà che il compito di Israele sia concluso. Non a caso rullano sempre più forte i tamburi di guerra rivolti dallo stato ebraico, contro il Libano di Hezbollah...

Giuseppe Masala

Giuseppe Masala

Giuseppe  Masala, nasce in Sardegna nel 25 Avanti Google, si laurea in economia e  si specializza in "finanza etica". Coltiva due passioni, il linguaggio  Python e la  Letteratura.  Ha pubblicato il romanzo (che nelle sue ambizioni dovrebbe  essere il primo di una trilogia), "Una semplice formalità" vincitore  della terza edizione del premio letterario "Città di Dolianova" e  pubblicato anche in Francia con il titolo "Une simple formalité" e un  racconto "Therachia, breve storia di una parola infame" pubblicato in  una raccolta da Historica Edizioni. Si dichiara cybermarxista ma come  Leonardo Sciascia crede che "Non c’è fuga, da Dio; non è possibile.  L’esodo da Dio è una marcia verso Dio”.

 

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