Iran e Arabia Saudita: un win-win cinese

Iran e Arabia Saudita: un win-win cinese

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di Pepe Escobar – The Cradle

 

 

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

La singola stretta di mano iraniano-saudita ha seppellito trilioni di dollari di investimenti occidentali divide et impera in tutta l'Asia occidentale e ha fatto sì che i leader mondiali si precipitassero a Pechino per trovare soluzioni globali.

 

 

L'idea che la Storia abbia un punto di arrivo la Storia abbia un punto finale, promossa dagli sprovveduti neoconservatori negli anni Novanta dell'unipolarismo, è errata, poiché è in un processo di rinnovamento senza fine. Il recente incontro ufficiale tra il Ministro degli Esteri saudita Faisal bin Farhan al-Saud e il Ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian a Pechino segna un territorio che in precedenza era ritenuto impensabile e che ha indubbiamente causato dolore alla macchina della War Inc.

 

Questa singola stretta di mano significa la sepoltura di trilioni di dollari spesi per dividere e dominare l'Asia occidentale per oltre quattro decenni. Inoltre, la Guerra Globale al Terrore (GWOT), la realtà inventata del nuovo millennio, ha rappresentato un primo danno collaterale a Pechino.

 

L'immagine di Pechino come capitale della pace è stata impressa in tutto il Sud Globale, come dimostrato da un successivo fenomeno da baraccone in cui un paio di leader europei, un presidente e un eurocrate, si sono presentati come supplicanti a Xi Jinping, chiedendogli di unirsi alla linea della NATO sulla guerra in Ucraina. Sono stati cortesemente respinti.

 

Tuttavia, l'ottica è stata suggellata: Pechino aveva presentato un piano di pace in 12 punti per l'Ucraina che era stato bollato come "irrazionale" dai neoconservatori di Washington. Gli europei -ostaggi di una guerra per procura imposta da Washington – hanno almeno capito che chiunque sia lontanamente interessato alla pace deve passare attraverso il rituale dell'inchino al nuovo capo a Pechino.

 

 

L'irrilevanza del JCPOA

 

Le relazioni tra Teheran e Riyad, ovviamente, avranno una strada lunga e irta di ostacoli – dall'attivazione dei precedenti accordi di cooperazione firmati nel 1998 e nel 2001 al rispetto, nella pratica, della reciproca sovranità e della non ingerenza negli affari interni dell'altro.

 

Tutto è lungi dall'essere risolto – dalla guerra guidata dai sauditi contro lo Yemen allo scontro frontale delle monarchie arabe del Golfo Persico con Hezbollah e altri movimenti di resistenza nel Levante. Eppure quella stretta di mano è il primo passo che porterà, ad esempio, all'imminente viaggio del ministro degli Esteri saudita a Damasco per invitare formalmente il presidente Bashar al-Assad al vertice della Lega Araba che si terrà a Riyad il mese prossimo.

 

È fondamentale sottolineare che questo colpo diplomatico cinese è iniziato molto tempo fa con l'intermediazione di Mosca nei negoziati a Baghdad e in Oman; si è trattato di uno sviluppo naturale dell'intervento della Russia per aiutare l'Iran a salvare la Siria da una coalizione di avvoltoi tra NATO e il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG).

 

Poi il testimone è passato a Pechino, in totale sincronia diplomatica. La spinta di seppellire definitivamente la GWOT e le miriadi di maligne ramificazioni della guerra del terrore degli Stati Uniti era una parte essenziale del calcolo; ma ancora più pressante era la necessità di dimostrare come il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), ovvero l'accordo sul nucleare iraniano, fosse diventato irrilevante.

 

Sia la Russia che la Cina hanno sperimentato, all'interno e all'esterno, come gli Stati Uniti riescano sempre a silurare un ritorno al JCPOA, così come era stato concepito e firmato nel 2015. Il loro compito è diventato quello di convincere Riyadh e gli Stati del CCG che Teheran non ha alcun interesse ad armare il nucleare – e che rimarrà un firmatario del Trattato di non proliferazione (TNP).

 

Poi è toccato alla finezza diplomatica cinese far capire che la paura delle monarchie del Golfo Persico per lo sciismo rivoluzionario è ora controproducente quanto il timore di Teheran di essere perseguitata e/o accerchiata dai salafiti-jihadisti. È come se Pechino avesse coniato un motto: abbandoniamo queste ideologie nebulose e facciamo affari.

 

E di affari si tratta e si tratterà: meglio ancora, con la mediazione di Pechino e la garanzia implicita delle due superpotenze nucleari Russia e Cina.

 

 

Saltare sul treno della de-dollarizzazione

 

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS) può mostrare alcuni tratti da Soprano, ma non è uno sciocco: ha visto immediatamente come l'offerta cinese si inserisse perfettamente nei suoi piani di modernizzazione interna. Una fonte del Golfo a Mosca, che ha familiarità con l'ascesa e il consolidamento del potere di MbS, descrive la volontà del principe ereditario di fare appello alle giovani generazioni saudite che lo idolatrano. Lasciare che le ragazze guidino i loro SUV, vadano a ballare, si sciolgano i capelli, lavorino sodo e facciano parte della "nuova" Arabia Saudita di Vision 2030: un hub globale del turismo e dei servizi, una sorta di Dubai sotto gli steroidi.

 

E, cosa fondamentale, questa sarà anche un'Arabia Saudita integrata nell'Eurasia; futuro, inevitabile membro dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e dei BRICS+ – proprio come l'Iran, che siederà agli stessi tavoli comuni.

 

Dal punto di vista di Pechino, tutto questo riguarda la sua ambiziosa e multimiliardaria Belt and Road Initiative (BRI). Un corridoio di connettività chiave della BRI va dall'Asia centrale all'Iran e poi oltre, verso il Caucaso e/o la Turchia. Un altro – in cerca di opportunità di investimento – attraversa il Mar Arabico, il Mare di Oman e il Golfo Persico, parte della Via della Seta Marittima.

 

Pechino vuole sviluppare progetti BRI in entrambi i corridoi: chiamatela “modernizzazione pacifica” applicata allo sviluppo sostenibile. I cinesi ricordano sempre come le antiche vie della seta percorrevano la Persia e parte dell'Arabia: in questo caso, la Storia si ripete.

 

 

Una rivoluzione geopolitica

 

E poi arriva il Santo Graal: l'energia. L'Iran è il principale fornitore di gas della Cina, una questione di sicurezza nazionale, inestricabilmente legata al loro accordo di partnership strategica da oltre 400 miliardi di dollari. E l'Arabia Saudita è un fornitore primario di petrolio. Le relazioni sino-saudite più strette e l'interazione in organizzazioni multipolari chiave come la SCO e i BRICS+ anticipano il fatidico giorno in cui il petroyuan sarà definitivamente sancito.

 

La Cina e gli Emirati Arabi Uniti hanno già concluso il loro primo accordo sul gas in yuan. Il treno della de-dollarizzazione ad alta velocità ha già lasciato la stazione. L'ASEAN sta già discutendo attivamente su come bypassare il dollaro per privilegiare i regolamenti in valuta locale, cosa impensabile fino a pochi mesi fa. Il dollaro USA è già stato gettato in una spirale di morte per mille tagli.

 

E questo sarà il giorno in cui il gioco raggiungerà un nuovo imprevedibile livello.

 

L'agenda distruttiva dei leader neocon a capo della politica estera statunitense non dovrebbe mai essere sottovalutata. Hanno sfruttato il pretesto della "nuova Pearl Harbor" dell'11 settembre per lanciare una crociata contro le terre dell'Islam nel 2001, seguita da una guerra per procura della NATO contro la Russia nel 2014. La loro ambizione finale è quella di scatenare una guerra contro la Cina prima del 2025.

 

Tuttavia, ora stanno affrontando una rapida rivolta geopolitica e geoeconomica dell'Heartland mondiale – dalla Russia e dalla Cina all'Asia occidentale, estendendosi all'Asia meridionale, al Sud-est asiatico, all'Africa e a latitudini selezionate dell'America Latina.

 

Il punto di svolta si è verificato il 26 febbraio 2022, quando i neoconservatori di Washington – in un'abbagliante dimostrazione della loro scarsa intelligenza – hanno deciso di congelare e/o rubare le riserve dell'unica nazione del pianeta dotata di tutte le materie prime che contano davvero, e con l'ingegno necessario a scatenare un passaggio epocale a un sistema monetario non ancorato alla moneta fiat.

 

Questo è stato il giorno fatidico in cui la cabala, identificata dal giornalista Seymour Hersh come responsabile dell'esplosione dei gasdotti Nord Stream, ha effettivamente dato il via alla partenza del treno della de-dollarizzazione ad alta velocità, guidato da Russia, Cina e ora – benvenuti a bordo – Iran e Arabia Saudita.

 

 

 

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