La crisi strutturale dell'UE accelera la fine del ciclo “AmeriKano”
Alba euromediteranea e LatinAmerica. Achille Lollo intervista Luciano Vasapollo
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di Achille Lollo*, Contropiano
Gli sviluppi della crisi greca dimostrano chiaramente la spaccatura all'interno dell'UE con la Germania che guida il processo di neo-colonizzazione dei paesi europei mediterranei. Per questo la rottura politica e l'abbandono dell'Euro possono diventare una parola d'ordine per complementare l'evoluzione del conflitto capitale/ lavoro. Nel frattempo, in America Latina i paesi dell’ALBA, nonostante la reazione sviluppata dai gruppi al servizio dell’imperialismo, dinamizzano i processi di transizione socialista approfondendo con la teoria bolivariana il concetto di sovranità nazionale.
Intervista di Achille Lollo per il Brasil De Fato con il professore Luciano Vasapollo
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Il dramma della Grecia ha fatto cadere il mito dell'opulenza economica dell'Unione Europea e nello stesso tempo ha dimostrato che i valori aggregati all'economia reale sono diventati del tutto insignificanti quando entrano in ballo gli interessi del mercato, che oggi assumono una dimensione tentacolare, in termini globali. In realtà, il mercato non è più quello degli anni ottanta o novanta, quando con una apparente timidezza, l'allora primo ministro britannico, Tony Blair presentò la “Terza Via” come alternativa social-neoliberista ai differenti processi di finanziarizzazione e di attacco generale al costo del lavoro.
Oggi, il mercato, dopo aver alimentato la speculazione e giocato con gli effetti delle crisi di natura fiscale è finalmente riuscito a controllare gli Stati e, in particolare, la sovranità politica e finanziaria degli stessi.
Un mercato che, quando vuole, impone la sua logica sovrapponendosi all'etica della democrazia borghese e agli stessi meccanismi di crescita dell'accumulazione capitalista. Il “diktat” della Troika al governo di Alexis Tsipras e al popolo greco sono il “pass par tout” del nuovo scenario geopolitico europeo e anche di quello mondiale.
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Per quale motivo, i partiti di destra e di centrosinistra, nelle loro campagne elettorali, promettono sviluppo e investimenti per l'economia reale, che poi nella programmazione dei nuovi governi scompaiono perché prevalgono gli argomenti finanziari del mercato, pur sapendo che i processi di finanziarizzazione sterilizzano l'economia e la stessa crescita dell'accumulazione capitalista?
La chiusura del ciclo speculativo dell’estate 2007, con il connesso crollo del mercato del credito mondiale, ha portato ad un rigenerato interventismo degli Stati dei paesi a capitalismo maturo, indirizzato però non al rilancio della produttività nell’economia reale, ma al salvataggio del sistema bancario e finanziario.
Tali operazioni, che puntano a ridare ossigeno alle banche, innalzano pesantemente il deficit fiscale dei paesi centrali, sia per l’entità delle somme impiegate, sia per la diminuzione degli introiti fiscali, dovuta alla decelerazione degli investimenti produttivi causati dalla riduzione del credito alla produzione, che di fatto blocca i processi di crescita dell’accumulazione capitalista. In proposito la Commissione Europea indicava che nel 2009 i paesi dell’Unione Europea si sono letteralmente giocati il potenziale di circa un terzo del loro PIL nell’aiuto delle banche in crisi, considerando complessivamente le immissioni di capitale, le garanzie per le banche e il ripristino di liquidità e la bonifica di quegli impieghi finanziari di cattiva qualità.
Si tratta in effetti di una gigantesca operazione a favore di banche, sistema finanziario e imprese, per lo più medie e grandi, per trasformare il debito privato in debito pubblico; si porta così la crisi del capitale in una direzione più pesante che è quella relativa alla crisi economica e politica degli Stati sovrani sotto forma di crisi del debito pubblico.
In tal modo il processo di privatizzazione, in atto fin dall’inizio della fase neoliberista come ulteriore tentativo per occultare gli effetti della crisi di accumulazione del capitale, che è legata ai processi di finanziarizzazione e di attacco generale al costo del lavoro, torna ad essere attuale nel momento in cui la crisi di natura fiscale piega la sovranità degli stati.
Perché il mercato, e quindi la sovrastruttura politica che lo rappresenta, è riuscito a convincere l'opinione pubblica che i punti deboli dell'economia europea sarebbero il costo del lavoro, il deficit fiscale e il debito pubblico?
Per capire quello che oggi accade bisogna ritornare alle modalità di costruzione del polo imperialista europeo che si è realizzato intorno all’asse franco-tedesco e che ha privilegiato soprattutto gli interessi economici, finanziari e geopolitici della Germania. Di conseguenza, manipolare l’opinione pubblica dicendo che gli Stati europei sono sull’orlo del fallimento, serve a mascherare la crisi economica generale di accumulazione del sistema capitalistico e il disastro dei mercati creditizi e finanziari.
Uno scenario che permette al mercato di richiedere ai governi la “socializzazione” delle perdite del sistema bancario, usando poi lo Stato per appropriarsi del denaro ottenuto dalle imposte e dalle tasse pagate dai lavora-tori. Inoltre sono sempre gli “uomini” del mercato che “suggeriscono” ai governi i tagli nell’amministrazione pubblica, le ristrutturazioni dei costi sociali e “dulcis in fundo” la riduzione dei cosiddetti costi del lavoro.
In pratica salvare l’Unione Europea significa salvare il modello di export tedesco e distruggere le possibilità autonome di sviluppo dei paesi europei dell’area mediterranea. E’ in questo ambito che si è scatenata la speculazione dei mercati finanziari internazionali sui titoli dei paesi volgarmente chiamati PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
L'acutizzarsi dei problemi finanziari nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea e la perdita di rappresentatività da parte dell'Euro, hanno messo a nudo l'essenza di una profonda crisi sistemica, determinando, tra l'altro, la fine del ciclo politico e economico degli Stati Uniti. Ciò significa che le “eccellenze” della Casa Bianca cercheranno di imporre rapidamente delle soluzioni geostrategiche, capaci di sostenere nel prossimo futuro il potere imperiale. Oggi, la guerra manovrata dell'IS in Iraq e Siria è un chiaro esempio.
D'altra parte con la rapida affermazione dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) si è creata una nuova posizione dominante, che, anche se in maniera diversificata, presenta nuove forme di potere politico del capitale. Ugualmente importante è il consolidamento dell'ALBA in America Latina, che già comincia a manifestare con forza le posizioni anti-capitaliste e anti-imperialiste. Un contesto che permette alle componenti del movimento operaio e di classe che non si erano mai arrese, di affermare che esistono solide perspettive per trasformare la crisi economica e politica in crollo del sistema di produzione capitalista, introducendo nuovi processi di costruzione di sistemi di relazioni socialiste.
La situazione di crisi politica che oggi si vive in Portogallo, Grecia, Spagna e Italia riapre il discorso sull'esistenza di due blocchi all'interno dell'Unione Europea, quella ricca, al nord, capeggiata alla Germania e quella povera del sud mediterraneo. Questo contesto può promuovere un movimento di rottura con l'Unione Europea? Può sopravvivere un'ALBA Mediterranea fuori dall'Euro?
Innanzitutto la risposta a questi interrogativi dipende da come viene gestita la capacità politica di combattere gli interessi associati dei capitali finanziari e produttivi europei e statunitensi. In secondo luogo l’uscita dall’euro dovrebbe realizzarsi in forma concertata tra i paesi della periferia mediterranea con quattro momenti, intimamente relazionati, senza i quali tale processo potrebbe risultare un disastro per tutti. Vale a dire:
a) La determinazione dei paesi dell’Europa mediterranea di creare una nuova moneta comune libera dai vincoli monetari imposti anteriormente per la costruzione dell’euro.
b) La rideterminazione del concetto di debito nella nuova moneta dell’area periferica relazionata al cambio ufficiale che si stabilisce;
c) L'azzeramento almeno di una parte consistente del debito, a partire da quello contratto con le banche e le istituzioni finanziarie, e la rinegoziazione del residuo;
d) La nazionalizzazione delle banche e la stretta regolazione sulla fuoriuscita dei capitali dall’area stessa.
E' importante sottolineare che questi elementi si devono però realizzare simultaneamente, per evitare la descapitalizzazione dell’intera regione periferica e per assumere il necessario controllo sulle risorse disponibili per gli investimenti.
Dal 2010 la disoccupazione che imperversa nei paesi dell’Europa mediterranea (in particolare Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) è diventata un problema strutturale. In Italia, per esempio, 13,05% della forza lavoro è disoccupata. Di questi 44% sono giovani tra i 18 e i 35 anni. Con le nuova leggi sulle pensioni, nel 2050 più del 50% dei lavoratori italiani pensionabili rischiano “di non aver diritto alla pensione”. Una situazione drammatica creata “ad hoc” grazie al collaborazionismo delle tre confederazioni sindacali (UIL, CISL e CGIL) che hanno implementato un compromesso storico con il capitale, senza avere nulla in cambio.
Per questo il movimento sindacale e la stessa sinistra italiana hanno vissuto difficili momenti di smobilitazione che però hanno prodotto un effetto reattivo, soprattutto in alcuni sindacati dove la lotta per il rispetto dei benefici acquisiti ha risvegliato le emozioni della lotta di classe. E' il caso della confederazione nazionale USB (Unione Sindacale di Base) che, oggi rappresenta il polo più avanzato e combattivo del movimento dei lavoratori (occupati, precari e disoccupati) in Italia.
Com’è possibile spiegare la dinamica delle lotte dell'USB (reddito sociale, rinnovo dei contratti nel servizio pubblico, lotta ai ritmi ecc.), contrapposta all'arrendevolezza del PD berlingueriano e peggio ancora a quello di Matteo Renzi. Come è possibile convivere con il “double face” dei seguaci di Bertinotti nel PRC e l'opportunismo dei nuovi “euro-non-più-comunisti” di SEL?
Il modello sociale europeo è sempre più in crisi, solo in Germania e in Francia si mantiene in piedi. Nel resto dell'Unione Europea, ma soprattutto nei quattro paesi dell'area mediterranea (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), la disoccupazione è divenuta un fattore endemico e il potere d’acquisto salariale ei lavoratori è stato compresso fortemente per cercare di sanare le finanze pubbliche e rinforzare l’economia dei “patti di stabilità” e le politiche di aggiustamento.
Un contesto in cui la situazione politica e economica continua avversa ai lavoratori, grazie anche all’operato dei mass-media che fanno di tutto per dissuadere la creazione di nuove forme di lotta. D'altra parte, non dobbiamo dimenticare che l'USB nacque, nel 23 maggio del 2010, scontrandosi prima con gli uomini dei governi di Berlusconi e poi con quelli del PD, che hanno fatto di tutto per esercitare un effettivo controllo sul movimento sindacale, cercando di relegarlo ad un ruolo sempre più condizionato ai paradigmi istituzionali.
Una manovra che non è passata perché le esperienze di lotta dei sindacati di base glielo hanno impedito. Questo fatto ha ampliato la volontà di resistere per poi avviare un processo di riformulazione e soprattutto di ridefinizione ideologica dei programmi di lotta che non si limitano ai soli lavoratori occupati.
Sono forme di lotta che si estendono nella società. Per esempio l'USB, oggi porta avanti proposte concrete sul reddito sociale che si sono concretizzate, oltre che con iniziative di lotta e di mobilitazione, anche con reiterate proposte di legge sostenute con migliaia di firme raccolte in tutto il paese. Comunque, voglio precisare che la proposta del reddito sociale fu lanciata negli anni novanta quando la confederazione dell’USB ancora non esisteva. All'epoca la proposta del reddito sociale era sostenuta da tre aggruppamenti sindacali indipendenti, la SdL intercategoriale, la RdB e i CUB. Organizzazioni che, poi, nel 2010, formarono l'USB con il tesseramento iniziale 250.000 militanti. Oggi l'USB è diventata una confederazione di ambito nazionale che difende i lavoratori del servizio pubblico e quelli delle macro-aree industriali, mentre a livello internazionale è legata alla Federazione Sindacale Mondiale.
Il Venezuela, l’ALBA, Cuba e la Colombia sono i soggetti di uno scenario politico in cui gli Stati Uniti stanno perdendo influenza. Per questo le “Eccellenze” della Casa Bianca tentano di recuperare consensi in America Latina accettando di negoziare con Cuba e di appoggiare le trattative tra il presidente colombiano, Juan Manoel Santos e la guerriglia (FARC ed ELN). Nello stesso tempo la CIA inasprisce la” Guerra Permanente” (economica e psicologica) in Venezuela per destabilizzare il governo boliviano, mentre in Colombia alimenta le operazioni dell’esercito e dei gruppi paramilitari per rendere più complesse le trattative che da due anni si realizzano a Cuba. Anche in Bolivia e in Ecuador, paesi dell’ALBA, esiste il rischio di una destabilizzazione, con le “antenne” della CIA che cercano di organizzare l’opposizione. Soltanto Cuba vive un momento di relativa tranquillità, anche se i mass-media statunitensi cercano di manipolare il clima delle trattative con gli USA dicendo che: “… Presto la dittatura castrista sarà democratizzata!”.
C’è una relazione diretta tra i mass-media, la Casa Bianca e la CIA nell’evoluzione della guerra psicologica e di quella economica contro il governo bolivariano di Maduro?
Innanzitutto bisogna dire che i mass-media non hanno mai sopportato Maduro, per il fatto di essere comunista, sindacalista e di origine proletaria, un semplice autista della metropolitana di Caracas. Comunque, l’avversione nei confronti di Maduro toccò il massimo della riprovazione quando lui vinse le ultime elezioni con un margine di 300.000 voti. Persino “Repubblica” gridò allo scandalo, dimenticando, però che Romano Prodi fu eletto con una differenza di soli 18.000 voti!
Bisogna riconoscere che la riduzione del prezzo del petrolio, quasi 60%, ha creato una serie di problemi al governo bolivariano nel momento in cui le conseguenze della “Guerra Permanente” degli Stati Uniti diventavano sempre più dure. Infatti l’ultimo progetto politico di Barak Obama è quello di destabilizzare il governo bolivariano e, quindi, mettere fine a un’esperienza che contrasta gli interessi geopolitici ed economici degli Stati Unti. Infatti, il processo di destabilizzazione cominciò subito dopo la prima vittoria elettorale di Chávez con la guerra monetaria che usò la quotazione del dollaro nel mercato parallelo per cercare di rompere l’equilibrio monetario in Venezuela.
Oggi, il dollaro nel cambio ufficiale è quotato 6,5 bolivar, mentre nel parallelo è arrivato a 400 bolivar. In questo modo sono riusciti a minimizzare il potere di acquisto dei lavoratori, oltre a far esplodere la spirale inflazionista sui prezzi di tutti i prodotti. Nello stesso tempo si sono moltiplicate le operazioni di sabotaggio economico, con i grandi distributori commerciali che esportano illegalmente in Colombia i prodotti dell’industria venezuelana. Con la copertura della DEA americana, i narcotrafficanti colombiani stoccano i prodotti venezuelani - dal formaggio ai mobili - fino a quando sono ricomperati, ma in dollari dagli stessi grandi distributori che l’hanno esportata. In questo modo i prodotti basici scompaiono dai supermercati statali per riapparire in quelli privati a prezzi assurdi.
A questo punto la stampa venezuelana e l’opposizione sono scese in campo per moltiplicare gli effetti della guerra psicologica dicendo che “…In Venezuela si muore di fame, … Il regime chavista è il responsabile della carestia, … Bisogna chiudere con la dittatura di Maduro….”. In questo modo l’opposizione crea una permanente psicosi del colpo di stato. Una situazione che diventa sempre più complessa con gli attentati terroristi e gli attacchi armati dei “guarimba” che sparano per strada ai militanti del PSVU o del PCV. Negli ultimi otto mesi i “guarimba” hanno ucciso più di ottanta persone!”.
Per quali motivi gli USA stanno portando avanti questa Guerra Permanente contro il Venezuela?
Il Venezuela è il quinto esportatore di petrolio greggio, ma è anche il primo per quanto riguarda le riserve, che sono di molto superiori a quelle dell’Arabia Saudita. Prima l’85% del profitto ricavato con la vendita del petrolio andava alle multinazionali. Oggi, il governo bolivariano lo reinveste nelle Missiones, che sono dei programmi che a costo zero offrono alla grande maggioranza della popolazione i benefici dell’istruzione, dei servizi medici e ospedalieri, la costruzione di abitazioni, trasporti, oltre alla diffusione della cultura e dello sport. Quindi, per gli USA lo smantellamento della rivoluzione bolivariana in Venezuela è un obiettivo geopolitico e geostrategico, perché oltre che a riappropriarsi del petrolio pretendono far morire questa grande esperienza di transizione per il Socialismo del Secolo XXI, nei paesi dell’ALBA, per l’appunto il Venezuela, la Bolivia e L’Ecuador”.
La riapertura delle rispettive ambasciate significa che le problematiche politiche tra Cuba e gli USA sono state risolte? Perché ilNew York Timesafferma che con queste trattative Cuba va in direzione di una democratizzazione?
Quello che i mass-media non dicono è che Cuba si è seduta al tavolo dei negoziati ponendo delle condizioni minimali che poi gli USA hanno accettato. Vale a dire: a) pari dignità nel tavolo delle trattative; b) il corpo diplomatico statunitense non deve far politica a l’Avana, come quello cubano non la farà a Washington; c) Deve essere risolta l’annosa questione del blocco commerciale perché distrugge qualsiasi tentativo di espansione della pianificazione socio-economica in Cuba; d) Il governo cubano esige che la base di Guantanámo sia smantellata per permettere che quel territorio – occupato dagli USA fin dal 1901 -, torni a far parte della sovranità cubana. Inoltre la “Grande Stampa” non dice che la trattativa sarà molto lunga perché il governo cubano non cederà una sola virgola sulla questione del socialismo”.
Nel 2013 le FARC e poi anche l’ELN hanno intrapreso delle trattative con il governo colombiano un possibile trattato di pace. Cosa manca per arrivare alla firma finale?
Come in tutte le trattative che contrappongono un governo e una guerriglia che rappresenta una guerra di classe in atto, il nodo principale da sciogliere è la situazione dei prigionieri politici e quella del cessar fuoco bilaterale. Le FARC e L’ELN hanno inizialmente dichiarato il cessar-fuoco unilaterale per convincere il presidente Santos a fare lo stesso. Infatti, è difficile parlare di pace se poi l’esercito e i paramilitari entrano nei villaggi arrestano, torturano e uccidono chi è sospettato di avere contatti con la guerriglia.
Nelle prigioni colombiane ci sono all’incirca 8000 prigionieri politici e un terzo di questi sono sindacalisti, militanti dei movimenti contadini per la terra e per i diritti umani. Quindi, se il governo non apre le prigioni decretando un’amnistia per i prigionieri politici, se poi la magistratura non garantisce ai guerriglieri delle FARC e dell’ELN l’incolumità per il riciclo politici e se l’esercito e i gruppi paramilitari continueranno con le operazioni di “tierra queimada” le trattative falliranno e la guerra ricomincerà”.
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* Achille Lollo è il corrispondente in Italia del giornale Brasil De Fato, Editor del programma TV “Quadrante Informativo” articolista del "Correio da Cidadania. Collabora con “ALBA Informazione” e “L’Antidiplomatico”.
Luciano Vasapollo. Oggi, 60 anni, è professore di Analisi Dati di Economia Applicata all’Università di Roma “La Sapienza”, disimpegnando l'incarico di Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con i Paesi dell’ALBA. È anche professore nelle Università cubane di La Habana (Cuba) e Pinar del Río.
È “Miembro de Honra” del Consiglio Accademico del Centro di Ricerca del Ministero dell’Economia e della Pianificazione della Repubblica di Cuba.
Profondo studioso del marxismo, oggi, è considerato uno dei principali analisti europei della rivoluzione bolivariana e del processo di transizione al Socialismo del Secolo XXI. Insieme a Attilio Boron, (Argentina), Riccardo Antunes (Brasile) e James Petras (USA) è considerato uno dei pochi teorici marxisti che hanno affrontato il problema del modernità rivoluzionaria del marxismo. Pe questo fu invitato da Fidel Castro e Hugo Chávez per identificare il potenziale politico dell'ALBA.
Militante, in gioventù, dell’organizzazione “Potere Operaio” a Roma e poi membro attivo del Movimento ha partecipato in tutte le lotte dei sindacati di base. Nel 2010, ha contribuito alla fondazione dell'Unione Sindacale di Base (USB), la confederazione sindacale indipendente che “...resiste all'attacco del neoliberalismo...”.
Insieme a Rita Martufi dirige il Centro Studi CESTES dell’USB e le riviste “Proteo” e “Nuestra Amèrica”. Svolge l'attività di Advisor Board nella rivista “Historical Materialism” e quella di Editor nei Comitati, nei Consigli editoriali e nelle Commissioni di Redazione di diverse riviste internazionali, tra le quali la “Revista de Ciências Sociais, Politica e Trabalho” dell’Università Federal di Paraiba (Brasile), la “Revista Outubro” dell’Istituto di Studi Socialisti di São Paulo (Brasile); la rivista “Sociedade Brasileira de Economia Politica” ; la “Revista Laberinto de Filosofia, Politica y Economia”, della Università di Malaga (Spagna). Ed è anche consigliere editoriale della casa editrice Jaca Book (Milano, Italia) per l’area “Macroeconomia e statistica economica”.
Ha scritto 18 libri, e in altri 32 è co-autore. Insieme a Rita Martufi), nel 2012, ha pubblicato “Il risveglio dei Maiali -PIIGS, Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia Spagna”, pubblicato da Jaca Book e poi tradotto in spagnolo. Ultimamente ha pubblicato “L’ALBA di una futura umanità, dieci anni dell'Alleanza Bolivariana dei Popoli di Nuestra America”, con la collaborazione di Efrain Echevarria, Gloria Martinez Gonzalez, Rita Martufi e Alejandro Valle.