Venezuela, l'Internazionale dei popoli in lotta

Venezuela, l'Internazionale dei popoli in lotta

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di Geraldina Colotti
 

Questo 25 di luglio, partiti e organizzazioni popolari, provenienti da tutto il mondo, si sono dati appuntamento a Caracas per il Foro di San Paolo. Hanno risposto all'appello alla solidarietà internazionalista per avvolgere in un grande abbraccio la rivoluzione bolivariana, sotto attacco dell'imperialismo e delle sue marionette perché rappresenta un'alternativa concreta di pace con giustizia sociale.


Nessun compagno o compagna può negare quale sforzo gigantesco rappresenti per un paese che si trova nella morsa di un feroce blocco economico-finanziario ospitare un'iniziativa di portata simile. E' dunque compito di ogni internazionalista rispondere in maniera non rituale, ponendosi all'altezza dei compiti richiesti oggi per costruire un'alternativa strutturale nei pasi capitalisti, e confrontandosi sul modo per riuscirsi.


Dieci anni fa, Hugo Chavez, il principale simbolo della rivoluzione bolivariana, propose di costruire una Quinta Internazionale, e così si espresse: “Tocca a noi assumere il ruolo di avanguardia e dobbiamo assumerlo così, compagni e compagne, rendendoci conto, prendendo coscienza della gigantesca responsabilità che grava sulle nostre spalle, su quelle di ognuna di voi, compagne, di ognuno di voi compagni. A noi nel Partito Socialista Unito, nei partiti alleati, noi nel governo, tocca questa immensa responsabilità... Per questo, onestamente credo che sia arrivata l'ora di convocare la V Internazionale e la convochiamo da Caracas e facciamo un appello a tutti i partiti socialisti rivoluzionari, movimenti e correnti che lottano per il socialismo, contro il capitalismo, contro l'imperialismo per salvare il mondo”.


A quell'appello chiaro e diretto, molti si guardarono intorno come per chiedersi da dove cominciare, visto lo stato di disgregazione e di disorientamento esistente dopo la caduta dell'Unione Sovietica, soprattutto nei paesi capitalisti. I più vecchi ricordarono le lotte di linea, le battaglie di componente che avevano portato a schieramenti e divisioni, in base a quel che stava accadendo nel “paese guida”.


Si voleva tornare a questo? E poi, quale forma avrebbe potuto prendere la V Internazionale se mancava in ogni paese quell'”unità dei comunisti”, già così difficile ai tempi in cui a dirsi comunista era una bella fetta di mondo organizzato? Servivano forse associazioni di sostegno come quelle sopravvissute in Europa, in cui imbarcare di tutto come una squadra di tifosi e non come attori di un gioco da compiere principalmente in casa propria contro i propri governi capitalisti?


Furono più o meno queste le paure provocate dalla proposta di Chavez, che vedeva lontano, perché manteneva anche lo sguardo all'indietro, ovvero lo sguardo rivolto alla storia. Quell'appello rimase perciò sospeso nell'aria: incubando, però, come un seme, come un germoglio che spunta a ogni propizia occasione.


E, a ben vedere, di occasioni in questi ultimi dieci anni il socialismo bolivariano ne ha organizzate parecchie: a partire da quel Foro di San Paolo che si è svolgo a Caracas nel 2012, i cui punti espressi nella dichiarazione finale rimangono in gran parte attuali.


Resta attuale l'analisi sulla natura sistemica della crisi capitalista e sulla tendenza alla guerra. Resta centrale l'affermazione del Chavez che si era dichiarato “femminista” aggiungendo la propria voce a quella delle compagne, e che disse anche in quella sede: “la liberazione della società deve passare per la liberazione dal giogo del maschilismo contro la donna”.


Forse, la più grande mostra di internazionalismo si ebbe proprio un anno dopo, durante il funerale del Comandante quando, per oltre una settimana, sfilarono per 17 km ogni giorno persone provenienti da tutto il mondo, mentre altre lo piangevano in ogni angolo del pianeta. Anche i nemici hanno dovuto togliersi il cappello.


E che la rivoluzione abbia resistito a ogni tipo di attacco con Nicolas Maduro e con il gruppo dirigente che lo accompagna, è motivo d'orgoglio e di speranza per tutti i popoli che hanno accompagnato il proceso bolivariano in tutti questi anni.


Ascoltare messaggi di appoggio non rituali espressi in tutte le lingue durante le giornate internazionaliste del Movimento Todos Somos Venezuela è stata una grande occasione. Condividere la polifonia di voci dell'Assemblea dei popoli che si è svolta l'anno scorso a Caracas, è stata una grande emozione. Molte delle organizzazioni popolari, presenti in quell'iniziativa, avevano partecipato anche ai tre Incontri dei Movimenti popolari, organizzati dal papa Bergoglio, che ha posto a suo modo la questione di una nuova Internazionale dei popoli, e sempre con l'appoggio del Movimento dei Senza Terra.


Ma è soprattutto all'ultimo congresso del PSUV, diventato poi permanente, che hanno guardato quante e quanti sanno che il partito, come organizzazione cosciente e disciplinata del proletariato e del popolo, resta lo strumento per portare a sintesi l'espressione più alta ed efficace delle rivoluzioni.


Nelle parole rivolte da Nicolas Maduro e da Diosdado Cabello ai guerriglieri che hanno lottato contro le democrazie camuffate della IV Repubblica; nelle proposte femministe di Maria Leon; nelle analisi di Adan Chavez che ha illustrato l'attività internazionale del PSUV; nel lavoro di Tania Diaz con la Comunicazione e nell'Assemblea Nazionale Costituente; nelle proposte dei giovani e delle giovani, si è meglio definito il quadro di quel che potrebbe darsi per rispondere alle aspettative di Chavez espresse nel 2009.


Unire gli sforzi contro l'offensiva imperialista è più che mai necessario, più che mai necessario è preservare quegli esempi in cui il socialismo è una speranza concreta: da Cuba, al Nepal, dal Nicaragua, alla Bolivia, al Venezuela.


Con la globalizzazione capitalista e con i vari organismi che la supportano, a livello economico, politico, finanziario, ci troviamo di fronte a un'internazionale degli oppressori, in perenne competizione fra loro, ma pronti a compattarsi in nome del nemico comune.


Quanto più ti rinchiudono nel localismo e ti fanno perdere i nessi generali che consentano di vedere cause e responsabilità, tantopiù coinvolgono altri governi nei loro organismi militari (vedi la Colombia nella Nato), impongono ai paesi vassalli nuove basi militari, e lasciano, come in Italia, in consegna le loro armi nucleari. Intrecciano continenti nella morsa mefitica di trattati segreti. Manovrando la banda di Guaidó, riesumano organismi artificiali come il TIAR, il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR) in cui cercano di incorporare a forza il Venezuela.


Il loro compito principale è quello di impedire la rinascita di qualcosa di altrettanto forte e articolato com'è accaduto nel grande Novecento, un movimento in grado di contrapporsi e sotterrarli, come meritano, nella spazzatura della storia. La paura del comunismo, che si rinnova con l'odio e la persecuzione di qualunque nuova esperienza di cambiamento strutturale della società, come nel caso del socialismo del XXI secolo, mostra che quello spettro che s'aggirava per l'Europa e che, nelle parole di Marx, era lo spettro del comunismo, continua ad agitare i sonni della borghesia.


Tocca a noi stabilire un'agenda di lotta comune contro questo modello di sviluppo predatore, respingere le sanzioni criminali degli USA e della UE, contrastare la guerra mediatica con la comunicazione popolare. Tocca a noi difendere il diritto all'autodeterminazione dei popoli, accompagnando l'azione del Venezuela negli organismi internazionali.


Tocca a noi, donne e uomini che non si rassegnano al capitalismo come ultima parola della storia, tornare a essere dei moltiplicatori di coscienza e di pratica, l'incubo delle classi dominanti.

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