Pino Arlacchi - L’economia reale è sulla Via della seta



di Pino Arlacchi - Il Fatto Quotidiano

È inutile minimizzare, e ridurre quanto accaduto nei rapporti tra Italia e Cina a un semplice scambio di cortesie commerciali e di finezze su Marco Polo e Matteo Ricci (il gesuita del 500 divenuto mandarino cinese). Una volta tanto, i governanti italiani l’hanno azzeccata in pieno, entrando per primi nel più grande gioco geopolitico messo in piedi dai tempi della Conferenza di Bretton Woods del 1944 in poi, e dalla fondazione delle Nazioni Unite l’anno dopo. Il progetto della Via della seta è l’impresa economica di maggiore respiro della storia umana. Per dimensione finanziaria (oltre 5 trilioni di dollari), impatto politico e ricadute culturali, esso incenerisce il Piano Marshall, che fu un affare da soli 130 miliardi di dollari tra Stati Uniti e un gruppo di 16 Paesi europei distrutti dalla guerra. L’esito dell’operazione lanciata da Pechino nel 2013 è scontato. La crescita della spina dorsale del mondo postamericano poggia infatti su forze di lungo periodo, quelle dell’integrazione eurasiatica, che è pressoché impossibile arrestare dopo il tramonto dei destini euroamericani. Le nuove forze superano di molto quelle che sono riuscite finora a bloccare l’apertura dell’Europa verso l’Iran e la Russia. La Via della seta è un gioco a somma zero solo per la parte perdente, rappresentata a) dalla finanza occidentale protetta dalla potenza americana e dai vertici dell’Ue, b) dal dollaro come valuta di riserva degli scambi mondiali, c) dalla concezione unipolare del governo del pianeta. Per i quasi 100 partecipanti (su 192 Stati membri dell’Onu), il progetto cinese offre vantaggi schiaccianti.

È la rivincita dell’economia reale, della produzione e del commercio di beni tangibili contro lo strapotere finanziario che lungo gli ultimi 50 anni ha condannato l’Occidente alla stagnazione e al regresso degli standard di vita del 90% della sua popolazione. Solo i banchieri che governano l’Unione europea attraverso Macron (banca Rothschild), Junker (lobby fiscale lussemburghese) e vari altri soggetti – commentatori di Repubblica inclusi – possono ignorare l’immensa opportunità che la Via della seta offre a nazioni manifatturiere come l’Italia e la Germania collegando direttamente l’Europa alla zona economica più vasta e dinamica del mondo, che produce la metà del Pil globale. Non si tratta infatti solo di Cina, ma di Asia Centrale, India, Indonesia, Vietnam, Corea del sud, e molti altri. Paesi di industria e di commercio, non succubi della finanza privata, dove la potenza del risparmio e dei mercati viene messa al servizio della produzione e della società, generando tassi di crescita impensabili nell’Europa di oggi.

La Via della seta è la proiezione estera di una formula vincente del rapporto Stato-mercato che a ben guardare non è affatto estranea né all’Italia né all’Europa. I miracoli economici realizzati durante l’età d’oro del capitalismo europeo – tra il 1945 e il 1970 – furono basati sugli stessi ingredienti dei successi orientali odierni: sottomissione della finanza all’industria e guida dei mercati da parte dell’ autorità pubblica. Il capitalismo finanziario che impoverisce l’Occidente non può tollerare un progetto che non può controllare e dal quale non può trarre che benefici marginali.

La Via della seta è un’entità autosufficiente dal punto di vista finanziario, potendo contare su una banca creata ad hoc nel 2015 assieme a tutti i principali Paesi europei – l’Aiib, Asian Infrastructure Investment Bank – e su un’altra banca multilaterale – l’Ndb, New Development Bank – partecipata dal gruppo dei paesi Brics. Il capitale di entrambe è di oltre 200 miliardi di euro ed eguaglia già quello della Banca Mondiale. E a questi erogatori di credito vanno aggiunti gli istituti finanziari interni alla Cina, che traboccano di disponibilità ancora più rilevanti. Ma l’incubo più inquietante dei padroni dell’Occidente è una Via della seta che diventa nel giro di una ventina di anni l’asse portante di un commercio mondiale che avviene in euro, renminbi, rubli, rupie, yen e non più in dollari. Accelerando il crollo del pilastro fondamentale della supremazia americana sul pianeta. Il dollaro è la risorsa che ha consentito agli Stati Uniti di vivere al di sopra dei propri mezzi per almeno mezzo secolo, stampando moneta a volontà e inviando il conto al resto del mondo.

Un pianeta de-finanziarizzato, de-dollarizzato e multivalutario, sarà anche un pianeta politicamente multipolare, con almeno 6 diversi centri di influenza, e nessuna potenza egemone. Ma dotato di un sistema di regole comuni che già esiste. Centrato sull’Onu e sullo scarso appetito per le armi e per le guerre da parte dei suoi partecipanti, con in primis l’Europa e la Cina. E nonostante l’ eccezione americana. La Via della seta, perciò, non è solo la strada verso una benefica integrazione eurasiatica. È un passo cruciale verso un mondo più prospero, pacifico e inclusivo, che va intrapreso senza esitazione.

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