Bene comune nuclearizzato

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di Anna Lombroso per il Simplicissimus

 

A 34 anni dal referendum con il quale gli italiani risposero a quesiti diretti ad abolire le norme sulla realizzazione e gestione delle centrali nucleari, i contributi a Comuni e Regioni sedi di centrali nucleari, le procedure di localizzazione delle centrali nucleari, con il nullaosta dei ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, la Sogin (la società pubblica responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi) ha reso pubblica la mappa con i luoghi potenzialmente idonei  ad accogliere un sito nazionale di raccolta e trattamento delle scorie.

Ora è accertato che la pazienza ci difetta solo nel caso della sperimentazione e somministrazione di vaccini confezionati in quattro e quattr’otto per rispondere alla richiesta del mercato, mentre pare diventata una italica virtù quando si tratta di scuola, cure, trasporti, servizi, risarcimenti, aiuti.

E quindi possiamo far finta che i più di 30 anni di riflessione, studi, indagini compresa quella richiesta pressantemente da sei anni dall’Isin, l’ispettorato per la sicurezza e la radioprotezione rispetto al rischio sismico, test condotti nel più rigoroso riserbo siano stati suggeriti dall’opportunità di fare le cose come si deve, che le scelte fossero ispirate al principio di precauzione, al rapporto costi/benefici oltre che ai più elementari criteri di sicurezza.

 Così è trascorso quel tempo senza che, salvo  qualche intemperanza di esuberanti ambientalisti e disfattisti Nimby, si conoscessero  le localizzazioni del nucleare “vicino a casa” in una ventina di depositi temporanei, le misure  di salvaguardia applicate a tutela dei cittadini e dell’ambiente, i costi per la collettività dei queste sistemazioni temporanee e i profitti dei soggetti che se le sono prese benevolmente in carico.

Adesso però è  tempestivamente pronta la Carta con l’individuazione dei siti candidati alla realizzazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco Tecnologico che non può mai mancare come compensazione “morale” ed ecologica, il tutto oggetto di una densa documentazione offerta dal 21 gennaio alla consultazione popolare, dopo cioè che il ventaglio di localizzazioni è già state identificato.

Difatti le reazioni non si sono fatte sentire: le aree  candidate per accogliere l’ospite indesiderato sono 67 in base ai criteri previsti dall’Ispra, alla congruità con i requisiti indicati dall’International Atomic Energy Agency (Iaea), e dovrebbero “funzionare” a partire dal 2025. Si tratta di 8 siti in Piemonte,  2 in Toscana, 22 in Lazio tutte in provincia di Viterbo, 14 in Sardegna, e 4 in Sicilia, 12 e 2 in Puglia cui se ne aggiungono 4 a cavallo tra le due regioni.  

Esiste una gerarchia – ma siamo ormai abituati all’impiego del cromatismo del rischio tra giallo arancione  e rosso –  in modo da distinguere le “molto buone” che si concentrano in Piemonte (due in provincia di Torino e cinque in provincia di Alessandria) e nel Lazio (cinque in provincia di Viterbo), e le “buone”, a Alessandria, in Val d’Orcia, tra Pienza e Trequanda, a Campagnatico nel Grossetano, e poi tra Altamura e Matera e a Taranto. Infine quelle che insistono in territori insulari o in zona sismica, quindi meno idonee, in provincia di potenza, in Sardegna e in Sicilia, nel viterbese e in Basilicata.

Si capisce subito a una prima occhiata che l’elenco delle candidature non abbia incontrato il gusto del pubblico. C’era da aspettarsi che la capitale della cultura Matera, che la Val d’Orcia con i suoi gioielli d’arte e paesaggio, che le geografie die vigneti piemontesi, si volessero sottrarre a una importuna presenza incompatibile con un destino di meta turistica per eccellenza. Ma sarà legittimo no? che città e luoghi segnati e feriti da altre condanne al brutto, o al malato dicano no a un incremento di pena, se guardiamo a Taranto, alla Basilicata ingannata da anni di promesse di industrializzazione. O che la Campania della Terra dei fuochi, il Veneto che dopo aver distribuito in altre destinazioni i rifiuti avvelenati, se li vede restituire in intere zone ormai ridotte a discariche avvelenate a ridosso dei vigneti del prosecco e a cura della stessa criminalità,  non vogliano prestarsi anche a questo.

Il piano maturato in tutti questi anni prevede il solito repertorio di piccoli risarcimenti, le chiamano compensazioni, per le popolazioni interessate, sotto forma di alberelli decorativi, vari camouflage, sponsorizzazioni di squadrette locali, e il solito inganno, quello della creazione di un formidabile bacino occupazionale sicure e garantito.

E c’è poco da criticare lo scarso senso di responsabilità, materia come al solito delegata in uso esclusivo alla cittadinanza,  dei potenziali ospiti, poco persuasi, malgrado da mesi tutto concorra a fortificare l’autorevolezza della scienza e la fiducia nel progresso che determina, dell’adozione e attuazione di misure intese a tutelare sicurezza e salute. Quando per anni il senso di responsabilità del ceto politico e imprenditoriale si è manifestato mandando i veleni via nave oltre il Mediterraneo in posti e tra popolazioni che se li meritano nel quadro della nostra esportazione di democrazia e civiltà, facendo attraversare Venezia da Grandi Navi, trivellando l’Adriatico, tagliando le risorse per ospedali, scuole, consegnando la ricerca all’industria, demolendo l’edificio di garanzie e conquiste del lavoro, usando come carburante per opere infrastrutturali la corruzione mentre il territorio era in stato di incuria e abbandono.

Invece è lecito rimproverare che certe preoccupazioni si materializzino solo ora, con rischio alle porte, avendo trascurato in rischio entro le mura, quello di innumerevoli “prodotti” ad alto rischio, collocati da noi da quella “democrazia americana” che tanto ci fa palpitare di solidale vicinanza, in Sicilia, in Sardegna, in nostre geografie convertire in poligono e laboratori di sperimentazione.

O che la minaccia nucleare si faccia palpabile ora,  mentre si è taciuto quando il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg ha voluto ricordare che «in un mondo così incerto, le armi nucleari continuano a svolgere un ruolo vitale nella preservazione della pace», come c’è da aspettarsi da Biden, dimostrando che si tratta di una “tecnologia” e di materiali preoccupanti in Iran ma confortanti in Israele e che se poi sono pericolosi basta trasferirli in stati satelliti, cialtroni ma obbedienti, colonizzati anche nell’immaginario.

E d’altra parte non è un caso che adesso sia arrivato il momento giusto, quello nel quale si deve provvedere a mettersi in riga con la procedura di infrazione aperta dalla Commissione.

E non tanto perché bisogna spicciar casa per meritarsi la partita di giro della beneficenza coi nostri soldi, ma perché alla faccia dell’economia sostenibile, dei  business green friendly, del keynesismo verde, e in grazia di Greta, che non certo  inconsapevolmente ha contribuito a riproporre un nucleare affidabile “che  può essere la piccola parte di una grande soluzione per avere energia non carbon” ( sono le sue parole), l’Ue è determinata a “affrontare” il cambiamento climatico con una decarbonizzazione largamente affidata al business nucleare, quello che si presta meglio alla finanziarizzazione della salvaguardia ambientale.  

Adesso possiamo aspettarci le solite reprimende, quelle contro i disfattisti, gli ignoranti che rifiutano il progresso e le responsabilità che ne derivano per tutti, ovviamente i tutti di serie B, ai quali si rimprovera esplicitamente di essersi espressi con l’ultima forma di partecipazione concessa, il referendum che in certi casi si dimostrerebbe una sterile rivendicazione di sovranismo e populismo, no al nucleare, si all’acqua pubblica, a conferma della incompatibilità dello sviluppo e della democrazia.

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