De Magistris e l’”Assedio di Aleppo”

De Magistris e l’”Assedio di Aleppo”

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È stato tutto inutile! Accorate mail, appelli su Internet, interventi di autorevoli esponenti di quel “Movimento antagonista” al quale de Magistris affida il suo futuro politico, lamentele di docenti dell’Università l’Orientale... Niente da fare! Pur di non turbare gli equilibri interni della sua Amministrazione, il sindaco de Magistris si mangia fino all’ultima briciola la polpetta avvelenata che qualcuno nel Comune gli ha rifilato; la sequela di “patrocini” inaugurati con la delibera 878/2016 non si revoca e non la si disinnesca nemmeno con un qualche comunicato. E così “Napoli Città di Pace”, prima città italiana, durante le feste di Natale, ospiterà ben due eventi finalizzati esclusivamente al proseguimento della guerra alla Siria: già 250.000 morti e sei milioni di profughi.


Intanto, la mostra “Nome in codice Caesar: detenuti siriani vittime di tortura” ospitata – ovviamente gratis - nella prestigiosa sede di Castel dell’Ovo. Una mostra frutto dell'l’”Operazione Caesar", finanziata dal Qatar, sponsor dei “ribelli” che da cinque anni stanno insanguinando la Siria. Sulla credibilità di questa rimandiamo al dettagliato “Report sull’attendibilità dell’operazione Caesar e relativa mostra”, troppo lungo per potere essere qui anche solo sintetizzato. Ci basti dire che questa mostra, nella scorsa primavera, era stata proposta alla Camera e al Senato. Infruttuosamente, in quanto: “non aggiunge nulla a ciò che già si può sapere o ritenere verosimile (abusi e violazioni gravi o gravissime nelle carceri siriane)” e serve solo, per come è fatta, a “scatenare reazioni emotive facilmente strumentalizzabili”. Inoltre, le foto di cadaveri - scattate dal sedicente Caesar - celati (al pari dei cartellini mortuari) con rettangoli neri che impediscono ogni identificazione, hanno legittimato, anche in media mainstream, il sospetto che molte di esse non raffigurino “ribelli uccisi da Assad”, bensì, poliziotti e soldati siriani uccisi dai “ribelli”. Insomma, qualcosa di analogo alle “fosse comuni di Gheddafi” che servirono a spianare la strada della guerra alla Libia.




Ancora peggio è poi la “Giornata per Aleppo”, patrocinata dal Comune e ospitata dall’Università L’Orientale che, a nome di “diverse istituzioni”, chiede “la fine dell’assedio alla città di Aleppo”. Una richiesta – si badi bene - nata, non già nel 2012, quando i “ribelli” (quasi nessuno tra questi è siriano, tutti, comunque sono foraggiati dalle Petromonarchie e dalla NATO) trasformando la popolazione civile in scudi umani, si sono asserragliati ad Aleppo est per colpire da lì la restante parte della città. Ma nata, invece, nel luglio di quest’anno, quando, cioè, è cominciata la liberazione di Aleppo da parte dell’esercito siriano e dei suoi alleati.


E vale la pena di sottolineare che, per ben quattro anni, nessun governo filo-NATO, nessuna TV, nessuna “organizzazione umanitaria” (come Medici Senza Frontiere, patrocinante anch’essa la ”Giornata per Aleppo”) ha mosso un dito per chiedere la “fine dell’assedio” condotto dai “ribelli”. Lo fanno oggi. E lo fanno senza dire una sola parola sui corridoi umanitari aperti (numerose volte) dall’esercito siriano per permettere alla popolazione civile di Aleppo est di scappare (se non viene uccisa prima dai cecchini dei “ribelli”); senza dire una parola sull’amministia varata dal governo di Damasco che sta facendo arrendere innumerevoli “ribelli” scongiurando così un bagno di sangue; senza dire una parola sui 19 giorni di tregua dei bombardamenti a novembre nei quali i “ribelli” hanno continuato a colpire Aleppo e a sgozzare o utilizzare come scudi umani chiunque chiedesse di andarsene. E non hanno detto una parola neanche il 20 novembre quando un missile sparato dai “ribelli” ha colpito una scuola ad Aleppo ovest: otto bambini morti.
 

Chissà se dirà qualcosa al riguardo il rappresentante del Comune di Napoli quando – come recita il manifesto dell’iniziativa - il 15 dicembre, all’Università - presenzierà alla inaugurazione della “Giornata di Aleppo”. Sarebbe l’ultima occasione per scusarsi con la città di Napoli.

 

Francesco Santoianni

 

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