Bolivia: Luis Arce rinuncia alla rielezione, lo scontro con Evo Morales e la corsa al voto del 2025
Polarizzazione e rischio frammentazione: la posta in gioco
In un colpo di scena che ridisegna il panorama politico boliviano, il presidente Luis Arce ha annunciato la rinuncia alla candidatura per le elezioni generali previste ad agosto 2025. La decisione, motivata dalla volontà di evitare una frattura nel campo della sinistra socialista, arriva in un contesto di crescente contrasto con l’ex presidente Evo Morales, espulso dal Movimento al Socialismo (MAS-IPSP), il partito che entrambi hanno contribuito a rendere egemone in Bolivia negli ultimi venti anni.
Un passo indietro per "salvare lo Stato Plurinazionale"
Hay que poner en alto los intereses de la Patria y del pueblo, antes que las ambiciones personales y electoralistas de corto plazo, pues hay un bien mayor a cuidar. No podemos poner en riesgo el porvenir y el bienestar del pueblo por apetitos individuales.
— Luis Alberto Arce Catacora (Lucho Arce) (@LuchoXBolivia) May 14, 2025
En un momento de… pic.twitter.com/UjIJIhQHbU
Arce, già ministro dell’Economia sotto Morales tra il 2006 e il 2017, ha spiegato la sua scelta come un sacrificio per scongiurare la vittoria della destra: «Non sarò un fattore di divisione del voto popolare e tanto meno permetterò che si realizzi un progetto fascistoide di destra», ha dichiarato, sottolineando che la posta in gioco non è solo la presidenza, ma la sopravvivenza stessa dello Stato Plurinazionale, modello istituzionale e sociale introdotto da Morales nel 2009. In un discorso appassionato, Arce ha invocato l’unità della sinistra e delle organizzazioni sociali, definendo la dispersione del voto un «regalo alla destra e all’imperialismo».
Il MAS cerca nuovi leader, Morales fuori dai giochi
La mossa di Arce arriva poche ore dopo che il MAS ha avviato la selezione del suo binomio presidenziale, escludendo esplicitamente Evo Morales. Grover García, presidente del partito, ha spiegato che l’ex leader, al potere per 14 anni fino alle proteste golpiste del 2019 che ne decretarono la caduta, «ha concluso il suo ciclo». Tra i possibili candidati spiccano il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, il governatore di Chuquisaca Damián Condori, la deputata Deysi Choque e Andrónico Rodríguez, presidente del Senato, a cui Arce ha personalmente rivolto un appello per «lavorare all’unità». García non ha escluso candidati esterni, purché allineati con le basi del partito.
Morales sfida Arce: "Solo il popolo può fermarmi"
La reazione di Evo Morales non si è fatta attendere. In un post sui social, l’ex presidente ha respinto ogni ipotesi di ritiro: «Solo il popolo può chiedermi di rinunciare», ha scritto, rivendicando i successi del suo governo (crescita economica, stabilità valutaria, redistribuzione della ricchezza) e invitando gli ex alleati a «tornare in famiglia» per riconquistare il potere. Morales, che nel 2019 fu costretto a dimettersi dopo accuse di brogli elettorali e proteste violente, rimane una figura carismatica, ma la sua ambizione di ricandidatura si scontra con limiti costituzionali (dopo 14 anni di mandato) e con l’ostilità della corrente cosiddetta 'arcista'.
Uno scontro che rischia di favorire la destra
La spaccatura nel partito MAS riflette tensioni profonde. Arce ha denunciato la divisione del partito in tre fazioni (la sua, quella di Morales e quella di Rodríguez), con il rischio che la frammentazione del voto di sinistra favorisca una coalizione conservatrice. L’attuale presidente ha accusato la destra di voler «distruggere il modello economico sociale» boliviano e di privatizzare le risorse naturali, tema sensibile in un paese storicamente segnato dallo sfruttamento straniero.
Verso un’elezione cruciale
Con Arce fuori dalla corsa e Morales ai margini, il MAS punta a rinnovarsi, ma il fantasma del passato rimane. La sfida per la sinistra socialista sarà trovare un candidato in grado di unire un elettorato ancora legato al mito di Morales, ma tentato da nuove leadership. Intanto, la destra, finora divisa, potrebbe capitalizzare il caos interno al MAS. Le parole di Arce suonano come un monito: «La dispersione è il nostro peggior nemico». Ma in assenza di un progetto unitario, la Bolivia rischia di rivivere gli spettri dell’instabilità che nel 2019 portarono a una crisi istituzionale.